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Vite da ridefinire
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Vite da ridefinire

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Il macabro ritrovamento del corpo di una giovane ragazza nelle campagne del Cremasco, per l'ignaro testimone del suo rapimento, fece da idealistico spartiacque tra l'apatica esistenza nella quale si era sempre rintanato, per evitare ogni rischio, e l'inizio di quella che finalmente avrebbe potuto chiamare vita. Ma il suo coinvolgimento sarebbe rimasto comunque marginale, se il caso non avesse fatto incrociare la strada dei due litigiosi figuri, che riteneva artefici di quel misfatto, con quella degli stupendi occhi verdi protagonisti della quasi totalità dei suoi sogni.

Come l'inarrestabile valanga prodotta dal rotolamento di un innocuo sassolino, incautamente lanciato lungo il ripido pendio di una montagna, così la disperazione che lo travolse si abbatté con un'impropria furia su tutti gli ostacoli che, via via, gli si pararono davanti, costringendolo a compiere gesta del tutto estranee alla sua pavida indole, che lo portarono a scoprire gli arcani retroscena di quella vicenda e gli insospettabili suoi autori.

Fu proprio l'altisonante rispettabilità di quei nomi, soprattutto quella dell'esoterica figura denominata il “ maestro “, ad impedire a lui e al giovane tenente dei carabinieri, nel quale fu obbligato a confidare, di rivelare la loro non provabile verità e a trasformarlo in un fuggiasco.

Sostenuto dall'incondizionata fiducia che i due stupendi occhi verdi, che avevano dovuto condividere la sua sorte, non smisero mai di riservargli, dovette affrontare una nuova serie di ardue prove, che il destino, o chi per lui, posizionò sul loro cammino.

Ma quando il giovane ufficiale che lo spalleggiava, anch'esso chiamato a districarsi tra i pericoli che il suo coinvolgimento implicava, venne estromesso da quel mortale gioco, ciò che la disperazione gli suggerì, non fu di certo lo stesso consiglio che gli avrebbe dato solo fino a qualche giorno prima, ma l'esatto contrario. Ora che sentiva di avere una vita a cui tornare, non poteva più aspettare che fossero gli altri a decidere per lui, ma doveva andarsela a conquistare.
LanguageItaliano
PublisherBurtone Marco
Release dateSep 8, 2013
ISBN9788868555191
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    Vite da ridefinire - Burtone Marco

                            CAPITOLO 1

    In lontananza i lampeggiatori sui tetti delle pattuglie proiettavano fasci di luce bluastra contro i nuvoloni grigi che oscuravano completamente il cielo di quella fredda mattinata di fine estate. Anche se era solamente l'otto di settembre: L'estate particolarmente afosa appena passata e la siccità che durava ormai da parecchi mesi, facevano si che quella prima giornata di pioggia sembrasse molto più cupa e gelida.

    L'acqua scendeva in abbondanza da parecchie ore ed il terreno, riarso dalla prolungata penuria idrica, non aveva più la capacità di drenarla, tanto che: sia il campo, che il ristretto sentiero che lo costeggiava, si confondevano diventando un'unica palude.

    Le due nere camionette procedevano lentamente, sobbalzando vistosamente ogni volta che incappavano in una delle profonde buche ormai completamente sommerse e perciò impossibili da rintracciare, dondolando verso la loro destinazione.

    A metà del sentiero, sotto un grande albero, le cui foglie erano stese a terra a formare un fitto tappeto dai variopinti colori autunnali, due uomini con il loro cane, un giovane setter bianco e nero che in continuazione ringhiava ed abbaiava contro quei mostri metallici che si avvicinavano, erano in trepidante attesa.

    Alla vista delle due nere vetture il più corpulento dei due abbandonò l'ormai spoglio riparo e si preparò a riceverle.

    Era un uomo di circa settanta anni, più alto di un metro e ottanta e anche se leggermente in soprappeso non era affatto grasso. Capelli di un grigio lucente, nascosti quasi interamente dal largo cappello verde, un giaccone impermeabile completamente allacciato e lunghi stivali di gomma, che gli arrivavano ben oltre la coscia.

    < Siete arrivati finalmente! > Esordì. Ma il dialetto che usò, ormai parlato soltanto dai più anziani del paese, era del tutto intraducibile per chi non fosse del posto.

    < Siete arrivati. > Ridisse lentamente, questa volta in una lingua decisamente più comprensibile, per farsi capire dal giovane ufficiale che, sceso precipitosamente dall'auto, era fermo davanti a lui e lo guardava con aria accigliata.

    I capelli nero corvino, gli occhi scurissimi e l'olivastro colorito della sua pelle, non lasciavano dubbi sulle origini partenopee del tenente dei carabinieri Domenico Di Gioia. Avellinese di nascita, Costretto suo malgrado a trasferirsi nel Cremasco per carrieristiche velleità da più di cinque anni. Il tenente aveva da poco iniziato a capire la lingua del posto, perdendo quasi interamente il suo spiccato accento, ma riuscire a decriptare quello strano idioma era ancora un impresa impossibile per lui.

      < Venite, seguitemi. >  Riprese l'uomo, prestando attenzione al linguaggio che usava.

      < E° mio figlio che l'ha trovata. > Precisò, girandosi per indicare il ragazzo ancora fermo sotto il grande albero.

    Il giovane, rimasto immobile a fissare un punto preciso all'interno del campo, non visibile da quella posizione se non che con gli occhi della mente, non si era accorto degli agenti che gli si pararono intorno.

    Luca aveva poco Più di trent'anni. Decisamente più basso e minuto del padre. Capelli a spazzola di un assurdo colore, a metà tra il rosso e l'arancione acceso, che risaltavano dal cappuccio della mantellina trasparente che lo copriva interamente. La pelle bianchissima, gli occhi azzurrognoli e i muscoli

    della faccia tirati, contribuivano a conferigli un aspetto spiritato, ancor più spettrale ogni volta che il suo viso veniva illuminato dalla fredda luce dei lampi.

    Le grida e i violenti strattoni del padre riuscirono parzialmente a strapparlo da quel profondo stato catalettico che lo aveva colpito. Alla vista degli uomini in divisa, il ragazzo ebbe un sussulto improvviso, come se risvegliatosi da un profondo sonno avesse realizzato che ogni suo agghiacciante ricordo fosse realmente accaduto. Scosso da incontrollabili brividi, più per l'orrore che per il freddo, cadde in ginocchio ai piedi del padre, singhiozzando disperatamente. Lady, la giovane setter, si accovacciò al suo fianco incominciando, a sua volta, a guaire sempre più forte all'unisono con il pianto del suo padrone. Luca la prese amorevolmente tra le braccia tirandola a se e accostando il suo viso al muso del cane iniziò a dondolarsi avanti e indietro dicendo, con voce flebile, parole apparentemente senza senso.

    < Maledizione! Smettila! Smettila! > Imprecò contro di lui l'anziano padre, scuotendolo con forza.

    < Alzati. Muoviti! > Esclamò ancora, prima di strattonarlo, tirandolo verso l'alto.

    Il ragazzo si trovò così involontariamente in piedi, sostenuto a fatica dalle tremolanti gambette che esanimi cedettero quasi subito, facendolo ricadere pesantemente al suolo. E ritrovato L'amorevole calore dell'espansivo cane, riprese a singhiozzare.

      < Maledizione! Maledizione! > Imprecò per l'ennesima volta Adelmo Pavesi.

    L'uomo, che era da poco andato in pensione dopo aver dovuto passare gli ultimi cinquant'anni in una delle fabbriche della zona, avrebbe voluto trasmettere al figlio la sua passione per la caccia, l'unico sfizio che si era concesso in quella vita di sacrifici, e ormai da anni lo costringeva a mattiniere levatacce domenicali. Accampava come scusa la possibilità di condividere un esperienza che li avrebbe avvicinati, ma invece era il suo sistema per cercare di spronare il ragazzo, così diverso da lui da fargli più volte dubitare della sua paternità. Una delusione questo era sempre stato e questo continuava ad essere.

      < Maledizione. > Imprecò ancora una volta.

      < Venite. Seguitemi. Vi ci porto io. > Li rassicurò, prima di incamminarsi tra le ormai alte e mature piante di granturco.

    L'anziano cacciatore avanzava lentamente e con estrema difficoltà nel campo diventato un vero e proprio acquitrino seguito dal tenente Di Gioia e da tre militari, due carabinieri restarono invece vicino alle auto con il tremolante ragazzo ed il suo cane accucciato sulle ginocchia.

    Il vento e la forza dell'acqua, caduta per tutta la notte, avevano piegato ed intrecciato tra loro le flessibili piante di mais, pronte per la mietitura, rendendo più arduo il passaggio della sparuta spedizione. Ogni tre o quattro passi, il cacciatore si fermava dubbioso, apparentemente per controllare che il suo seguito non si fosse dissolto ma in realtà nel tentativo di orientarsi, cercando di ritrovare il percorso che avevano compiuto soltanto pochi minuti prima, ma del quale non c'era più traccia.

    < C'è forse qualche problema? > Chiese Di Gioia, posando una mano sulla spalla dell'uomo, ormai immobile e con l'aria persa di chi vedesse quei luoghi per la prima volta.

    < No! No! E' qui. E' qui da qualche parte. Sono sicuro. Deve essere qui. Si! Deve essere laggiù. Seguitemi. >

    Spostando e calpestando le verdi piantine, che però si rialzavano dopo il suo passaggio schiaffeggiando il suo seguito, si inoltrò sempre più nell'intricato campo.

    < Ecco! Ci siamo! > Gridò l'uomo, chinandosi e raccogliendo un fucile, la cui canna, sebbene lorda ed infangata, brillava ancora ai forti lampi di luce del temporale.

      < Questo è di mio figlio. > Asserì, urlando sempre più forte per sovrastare il cupo rimbombo dei tuoni, mentre orgoglioso mostrò l'arma ai militari, come se si trattasse di un trofeo.

      < Lei è la dietro. > Riprese l'uomo, abbassando rispettosamente la voce.

    Rispetto per i morti e comprensione per i vivi. Questo era quello che aveva appreso dagli insegnamenti della vita. Solo questo. E solo questo era tutto ciò che avrebbe voluto insegnare al figlio.

      < Io vi aspetto qui. Non voglio rivederla. >

    L'uomo, assorto a ripensare alla scena che si sarebbe trovato davanti per la seconda volta quel giorno, esitò qualche istante.

    < No! Non voglio rivederla. > Concluse, indicando ai militari una direzione ben precisa e scuotendo la testa nel vano tentativo di scacciare quell'orribile visione.

    Fu il maresciallo Monti il primo a prendere l'iniziativa. Era il più anziano e sicuramente il più esperto del gruppo. Nei trent'anni che aveva trascorso al servizio dell'arma aveva visto ogni sorta di atrocità. Lo si poteva scorgere dai suoi occhi duri ed inespressivi, che una volta, però, dovevano essere di un limpido azzurro.

    < E° qui signore. L'ho trovata! > Urlò il sottufficiale, richiamando su di sé l'attenzione del suo giovane superiore.

    LO fai solamente per preservare eventuali prove. Continuava a ripetersi il tenente Di Gioia avvicinandosi, con esagerata cautela, al suo subalterno. Ma in realtà L'ufficiale stava solo cercando di prepararsi all'orrendo spettacolo che si sarebbe presto trovato davanti. C'era il cadavere di una donna oltre la fitta vegetazione. Il suo primo cadavere.

    Durante gli anni d'addestramento alla scuola per ufficiali aveva preso parte ad alcune simulazioni. Aveva visto cruenti fotografie riguardanti casi passati. Aveva persino assistito ad una vera autopsia. Ma la realtà, però, sarebbe potuta essere ben diversa e non sapeva di certo come la sua mente, o il suo stomaco, avrebbero reagito. Inspirando profondamente, per attenuare quel nascente senso di nausea, scostò con la mano le ultime frasche.

    Il corpo della ragazza era disteso a terra sopra un letto di piante di mais appiattite dal peso. La testa piegata all'indietro in una posizione innaturale e i lunghi capelli castani che le coprivano interamente il viso, lasciando, però, ben visibile il collo solcato da profondi lividi rossastri. Sula camicetta, completamente allacciata, grosse macchie di terra e sangue rappreso nascondevano i vistosi motivi floreali. Un profondo squarcio, all'altezza del cuore, ne divideva uno quasi perfettamente a metà. Sia ai polsi che sulle caviglie, lasciate scoperte dagli ormai sudici e inzaccherati pantaloni che una volta dovevano essere di un candido bianco, tagli ed escoriazioni lasciati da una corda o da una catena che li serrava saldamente. Entrambi i piedi, ben curati e senza visibili escoriazioni o ferite, fatta eccezione per un piccolo taglio quasi completamente rimarginato, erano scalzi.

    < Tenente! > Tuonò il maresciallo Monti, vedendo che il suo superiore si stava avvicinando al corpo senza le dovute attenzioni, come ipnotizzato dal macabro spettacolo.

      < So che con questo tempo sarà un'impresa impossibile. > Continuò.

    < Ma penso che quelli della scientifica vogliano fare i propri rilievi senza troppe contaminazioni da parte nostra. > Concluse, avvicinandosi e tentando, almeno con lo sguardo, di confortare il superiore che, respirando ritmicamente, stava cercando di riprendere il controllo sulle proprie azioni.

    < Calmati Domenico. Calmati. > Continuava a ripetersi sottovoce mentre, questa volta con molta attenzione, si chinava per esaminare la vittima più da vicino.

    La ragazza doveva avere tra i venti ed i venticinque anni. Decisamente carina, con i tratti del viso fini e molto delicati. La pelle morbida e perfettamente abbronzata faceva risaltare le graziose lentiggini sulle guance. Le unghie delle mani erano limate ad arte e smaltate di un colore vivace, ma non volgare. All'anulare della mano destra portava un anello in stile antico e a quello della sinistra una sottile veretta d'oro.

    Di ottima fattura. Pensò il tenente, ammirando l'antico monile, anche se le sue conoscenze del settore non erano poi così attendibili, mentre la pioggia, nonostante fosse decisamente calata d'intensità, gli infradiciava l'uniforme appiccicandogliela come un'indelebile tatuaggio alla pelle e l'acqua aumentava notevolmente il suo senso di disagio confluendo fastidiosamente nel colletto della sua camicia dai rigagnoli formatisi tra le pieghe del leggero tessuto estivo del berretto.

    Ancora chino sul corpo, Di Gioia si voltò verso il suo sottoposto cercando aiuto nella sua maggiore esperienza.

    < Che ne pensa Monti? > Chiese. Ma dal tono che utilizzò e dall'umile posizione che involontariamente assunse, inginocchiato ai piedi del subalterno, più che una domanda sembrava una supplica.

    < Che ne pensa? > Ridisse più forte, schiarendosi la voce in modo da simulare un'improvviso disturbo fonetico.

    < Brutta faccenda. > Rispose pensieroso, accarezzandosi il mento ricoperto da una corta barba bianca, l'anziano sottufficiale.

      < Direi che è qui da almeno ventiquattro ore. > Continuò.

      < E quasi sicuramente non è stata uccisa qui. >

    < Da cosa lo deduce? > Lo interruppe Di Gioia, interessato a comprendere la logica deduttiva dell'esperto militare.

      < Per terra non c'è traccia di sangue. > Spiegò, continuando a passare la mano

    sulla bianca peluria.

    < E poi mancano le scarpe. > Aggiunse indicando, inarcando le sopracciglia, i piedi scalzi della ragazza.

      < Perché l'assassino avrebbe dovuto portarsele via? >

      < E lei di certo non è arrivata fino a qui senza. Con quei delicati piedini? > 

    Di Gioia era ammirato dalla facilità con la quale il maresciallo vagliava gli indizi e, dall'alto della sua esperienza, ne traeva plausibili conclusioni.

    < I lividi sulle caviglie, sui polsi e al collo, ci dicono che è stata tenuta legata ed immobilizzata. > Riprese il sottufficiale, accovacciandosi di fronte al cadavere.

    < Direi che sono stati lasciati da una catena. > Asseri il giovane ufficiale, infilandosi un paio di guanti in lattice e avvicinandosi al corpo con ritrovata professionalità.

    Pian piano stava riuscendo a riprendere il controllo sulle proprie emozioni, così che la sua mente potesse razionalmente osservare ed analizzare la scena, elaborando personali ipotesi e formulando proprie teorie.

      < L'unica ferita è quella al petto. >

    Orgoglioso del ritrovato senso investigativo del superiore, Monti indicò il taglio che deturpava il fiore stampato sulla camicetta.

      < Non vedo altri segni di violenza. Ne di difesa. >

      < Segni di difesa? > Lo interrogò Di Gioia.

      < Nei casi di accoltellamento frontale. > Spiegò Monti.

      < La vittima tenta sempre di coprirsi e proteggersi con le

    mani o con le braccia. E' istintivo. >

    < Probabilmente era ancora incatenata quando è successo. > Asserì l'ufficiale, prendendo tra le mani guantate quelle della giovane ragazza ed esaminandole meticolosamente prima di riporle esattamente nella posizione originale.

    < Sarà meglio aspettare che siano gli uomini della squadra scientifica o l'unita del medico legale a trarre conclusioni prima di fare congetture più precise. > Concluse il tenente, rialzandosi ed invitando l'anziano maresciallo a raggiungere il cacciatore e gli altri due militari, rimasti a pochi metri da loro.

    Sebbene si trovassero a breve distanza dai due superiori, quell'ultima vegetale barriera aveva nascosto ai due giovani agenti la macabra vista del corpo. Ma: Sia l'incontrollabile curiosità, che la snervante agitazione trasmessagli dall'anziano cacciatore, che continuava involontariamente a giocare

    col fucile del figlio, mettevano una frenetica ansia addosso agli inesperti militari.

      Alla vista dei volti sconsolati del tenente e del suo sottoposto il cacciatore cessò i suoi ripetitivi movimenti.

      < E' morta? > chiese, nel suo incomprensibile dialetto.

    Eludendo l'inutile domanda dell'uomo e l'angosciato sguardo dei due giovani carabinieri al suo fianco, il tenente ordinò alla comitiva di tornare al grande albero.

    < Aspettiamo gli esperti. > Disse, mettendosi a capo della fila per guidarli il più velocemente possibile fuori da quel naturale labirinto.

    All'arrivo della grossa auto blu, un ora più tardi, aveva completamente smesso di piovere. Qua e là coni di luce solare bucavano la spessa coltre di nuvole biancastre donando al paesaggio un aspetto ancor più sinistro.

    Le vetture in sosta ai piedi del grande albero erano aumentate di numero, alla coppia di nere camionette si erano aggiunte due station wagon bianche ed un furgone scuro della mortuaria. All'imboccatura del sentiero, che costeggiava due

    lati del campo, si erano appostate altre due gazzelle con il loro contenuto umano. Nastri di plastica bianco-rossi furono tirati su tutto il perimetro del campo ed all'interno uomini in tute e calzature bianche erano impegnati in rilevamenti e nell'ardua ricerca di possibili reperti. Tutto il materiale ritrovato veniva inizialmente fotografato, affiancato da un numerino, per poi essere catalogato ed imbustato. Due uomini in tute blu stavano trasportando la barella con il corpo coperto da un lenzuolo, sintomo che il medico legale aveva già completato il suo lavoro, o perlomeno aveva concluso quello preliminare sul campo prima di passare a quello più completo in laboratorio.

      Il tenente si fece frettolosamente incontro all'auto appena arrivata salutando militarmente l'alto ufficiale disceso.

      < Colonnello. > Disse, quasi con un sospiro, sollevato dal fatto di non essere più l'ufficiale di maggior grado presente sul posto.

      Il colonnello Giovanni Moreschi ricambiò, distrattamente, il saluto portandosi frettolosamente una mano alla visiera e riabbassandola di scatto.

    < Mi faccia un primo rapporto. > Esordì l'alto ufficiale, fissando brutalmente il suo sottoposto.

    La voce bassa e potente dell'uomo si incastonava perfettamente nel suo corpo alto e massiccio, nei ruvidi e squadrati lineamenti del viso, nei ravvicinati e gelidi occhietti, nonostante fossero di un caldo blu.

    Il sollievo che l'inesperto ufficiale aveva provato alla vista dell'auto blu svanì quasi subito, rigettandolo in una sorta di limbo dove le parole da dire e le cose da fare erano annebbiate dal dubbio.

      < Allora! > Ringhiò Moreschi spazientito.

      < Sto aspettando. >

    Quasi balbettando e distogliendo lo sguardo, diventato insopportabile, dai freddi occhi del colonnello, Di Gioia incominciò con la sua confusa relazione.

    < Si.. Sissignore. Vede. Si, dunque, lei. Cioè la vittima. Si, vede, è morta da, si da almeno trentasei ore. E non qui. Si, cioè, l'hanno uccisa altrove, non qui. >

      < Tenente. > Sbraitò il colonnello, sorridendo compiaciuto dello stato d'ansia nel quale aveva fatto precipitare il suo giovane subalterno.

    < Smetta di balbettare e cerchi di essere più chiaro. Cristo santo! Lei dopo tutto è un'ufficiale dell'arma e non un ragazzino al suo primo appuntamento. >

    < Sissignore. > Gridò il tenente, scattando meccanicamente sull'attenti e restando fermo con i piedi uniti e le braccia rigide lungo i fianchi, cercando di riordinare le idee e di trovare le giuste parole da dire.

    < Vede signore. > Riprese, sempre immobile e con lo sguardo basso a fissare uno dei bottoni d'ottone della giacca del colonnello.

    < La scientifica ha iniziato ora i rilevamenti. Quindi non abbiamo ancora nessun riscontro certo sull'accaduto. >

    Il tenente scandiva le parole molto lentamente tentando di riacquistare un minimo di controllo.

    < Riposo. > Disse, questa volta in tono più amabile, il colonnello, totalmente appagato dallo stato di soggezione e prostrazione nel quale aveva fatto cadere il giovane ufficiale.

    < Bene! Mi dica allora quello che hanno appurato sino ad ora. > Aggiunse, oltrepassandolo e dirigendosi verso il furgone blu dove i due portantini stavano sistemando la barella col corpo della ragazza.

      Di gioia lo seguì a qualche passo di distanza estraendo da una delle tasche della camicia un taccuino marrone sul quale aveva scarabocchiato, nel corso di quella tragica mattinata, alcuni preziosi appunti.

    < Stando alle prime ipotesi formulate dal medico legale la vittima aveva tra i venti e i venticinque anni. La morte risalirebbe ad almeno trentasei ore fa ed è dovuta ad un unica coltellata al cuore. Presenta una serie di ecchimosi e tagli al collo ai polsi ed alle caviglie. >

    Provvidenzialmente il tenente alzò lo sguardo dal taccuino giusto in tempo per fermarsi prima di andare a sbattere contro l'immobilizzato superiore, intento a guardare gli uomini in tuta blu che stavano richiudendo il portellone posteriore

    del furgone.

    < Continui pure. > Lo esortò l'alto ufficiale, senza voltarsi e continuando a fissare il furgone mentre, sobbalzante, si allontanava.

      < Il corpo è stato trovato per caso da due cacciatori della zona. > Riprese Di Gioia in tono autoritario.

    Ma le pagine del taccuino, inzuppate dall'acqua, si erano ormai incollate tra loro rendendo la sua scrittura, prima chiara e decisa, solamente un confuso susseguirsi di sbavate linee che richiedevano lunghe e silenziose pause per essere decifrati.

    < Adelmo Pavesi. Sessantotto anni. Pensionato. Sposato con figli. Residente a Bagnolo Cremasco. Incensurato. >

      Facendo attenzione che la carta indebolita non si rompesse voltò delicatamente pagina.

    < Luca Pavesi. Ventinove anni. Disoccupato. Scapolo. Anche lui residente a Bagnolo Cremasco. Ha un precedente per furto di quando era ancora minorenne. Da allora non abbiamo più avuto il dispiacere di incontrarlo. >

    Il giovane ufficiale era faticosamente riuscito a riprendere il controllo del suo respiro e ormai parlava con un'accettabile sicurezza.

      < Sappiamo chi è la ragazza? > Gli chiese Moreschi, sempre senza guardarlo.

    < No! Signore. non è ancora stata identificata. Non abbiamo trovato alcun documento sul corpo. Stiamo controllando le impronte digitali e tra le denunce di persone scomparse. >

      < Speriamo di essere fortunati. > Concluse sospirando.

    Era ormai pomeriggio inoltrato quando gli uomini in bianco caricarono le loro valigie, con l'attrezzatura e le numerose buste dei reperti, sulle station wagon. Moreschi aveva ormai lasciato il campo da molto tempo. Andandosene aveva, come al solito, salutato frettolosamente e in modo militare Di Gioia mentre aveva riservato una calorosissima stretta di mano per l'amico maresciallo.

      < Che stronzo. > Aveva pensato il tenente, scuotendo furiosamente la testa.

    L'anziano cacciatore e suo figlio erano stati accompagnati in caserma, dove avrebbero trascritto le loro deposizioni. Ai pochi carabinieri rimasti era toccato il compito di mantenere oltre i nastri delimitatori le numerose troupe televisive che avevano interamente circondato il campo. Arrivati con le loro mastodontiche parabole fissate sui tetti dei furgoni, i giornalisti, distinguibili ognuno dai loghi delle principali emittenti nazionali segnati sui microfoni e sui registratori tascabili, stavano assaltando chiunque, incautamente, si avvicinasse troppo al segnalato confine bianco e rosso. Mentre nugoli di uomini armati di cineprese e macchine fotografiche si aggiravano sparsi alla ricerca della loro preda, come uno stormo di voraci avvoltoi.

    < Sono arrivati gli sciacalli. > Bisbigliò confidenzialmente l'ufficiale, avvicinandosi all'orecchio del maresciallo.

      Monti alzò le spalle in segno di rassegnazione.

      < Non tutti lo sono. > Sentenziò.

    Di Gioia, dopo tutto, era d'accordo con l'affermazione del sottufficiale. Sapeva che in molti casi l'intervento dei media era stato necessario, o addirittura determinante, per il buon fine delle indagini. Ma era stanco, bagnato e frustrato e doveva pur prendersela con qualcuno.

    Deciso, per una volta, a servirsi del maggior peso del suo grado, assegnò al maresciallo il compito di rilasciare una prima dichiarazione su quanto era accaduto. Confidando nella sua pluriennale esperienza, il sottufficiale avrebbe di certo trovato le giuste parole da dire. Accontentandoli senza che, però, rivelasse importanti particolari. Mentre lui, sedutosi sul sedile posteriore della camionetta che apriva il corteo, comprendente una volante e le due bianche station wagon della scientifica, lo abbandonava.

    Procedendo in fila indiana, il piccolo corteo fu costretto a passare in mezzo a due ali di affamati giornalisti e fotografi. La serie infinità di flash accecò

    momentaneamente gli occupanti delle auto, che rischiarono di investire i più spregiudicati. Giunti alla fine del sentiero sterrato, prima di immettersi sulla statale, Di Gioia si voltò e dal lunotto posteriore vide il maresciallo accerchiato dai cronisti che si spintonavano, l'un l'altro, nel tentativo di guadagnarsi una migliore posizione.

    < Come api sul miele. > Disse, sottovoce, sprofondando nel comodo sedile e chiudendo gli occhi alla ricerca di qualche attimo di pace.

    Sapeva che una volta giunto in caserma avrebbe dovuto stilare un dettagliato rapporto. Sapeva che si sarebbe, purtroppo, trovato nuovamente faccia a faccia col colonnello. Ma confidava nel fatto che: Dopo essersi cambiato quella fradicia uniforme ed essersi fatto una lunga doccia calda, il resto della giornata non poteva che essere migliore.

    CAPITOLO 2

    La lieve brezza, opportunamente intiepidita dal calore del sole, donava una stupenda sensazione di benessere a chiunque le si presentasse in quella chiara mattinata domenicale.

    Per un appassionato ciclista, abituato ad uscire nei grigi e freddi pomeriggi autunnali o nelle calde e afose mattinate estive, quella giornata aveva la stessa valenza, e le stesse probabilità, di una vincita al totocalcio, rara e irripetibile. E anche se Marco non era tra i più accaniti, certamente non si poteva lasciare scappare quella occasione.

    Marco, più che altro, adorava quel senso di tranquillità e d'indipendenza che immancabilmente provava ogni volta che si trovava in sella alla sua mountain bike. Non riusciva bene a spiegarsi il perché, ma solamente in quei momenti si sentiva realmente libero. Riusciva facilmente ad allontanare dalla sua mente tutti i pensieri che lo opprimevano. Più si impegnava, più sbuffava, e più era avvolto da un rasserenante senso di pace.

    Erano tre o quattro gli itinerari che percorreva nelle sue uscite domenicali. Solitamente duravano poco meno di quattro ore, tutta l'autonomia dimostrata dal suo carente fisico, e si sviluppavano su stradine sterrate, divertenti e molto impegnative, o sulle ampie statali, a suo avviso molto meno pericolose delle normali strade cittadine e sicuramente con una maggiore possibilità di sfogarsi lanciandosi a tutta velocità.

    Che fosse un tipo decisamente strano ormai ne era consapevole. Non che questo gli importasse più di tanto, ma si era sempre domandato se strano venisse considerato come un pregio o un difetto dalla maggior parte della, cosiddetta, gente comune. Aveva i capelli castani tagliati sempre corti, rigorosamente a macchinetta, punteggiati

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