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Gayum

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“Gayum”, personaggio avvolto nel mistero più fitto, compare in scena nella Milano dei giorni nostri, compiendo una serie di misteriosi delitti con particolari rituali dal sapore mistico e religioso. Alcuni bambini vengono trovati morti in un crescendo continuo, causando il panico nella città. Il lettore si appassiona nella lettura scorrevole del racconto seguendo l’impegno messo dal commissario Camussi per fermare la mano a questo spietato assassino. Chi si nasconde dietro la maschera d’argento che egli indossa? Come mai usa rituali che conducono a sangue ed elettricità? La mente brillante del poliziotto darà la caccia a questo avversario capace sempre di anticiparlo in un susseguirsi di emozioni insolite. Immancabile nella bocca di Patrizio Camussi la sigaretta, elemento fondamentale per riordinare le idee. Come spesso accade nella vita, l’amore inaspettatamente piomberà addosso al commissario nel bel mezzo dell’indagine, con una forza capace di disturbare la logica dei suoi ragionamenti. Da leggere tutto d’un fiato fino al suo epilogo, un finale imprevedibile capace di sorprendere anche il lettore più attento.

 
LanguageItaliano
PublisherAntropoetico
Release dateJul 6, 2013
ISBN9788868552268
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    Gayum - Antropoetico

    fine

    Prefazione

    Gayum, personaggio avvolto nel mistero più fitto, compare in scena nella Milano dei giorni nostri, compiendo una serie di misteriosi delitti con particolari rituali dal sapore mistico e religioso. Alcuni bambini vengono trovati morti in un crescendo continuo, causando il panico nella città. Il lettore si appassiona nella lettura scorrevole del racconto seguendo l’impegno messo dal commissario Camussi per fermare la mano a questo spietato assassino. Chi si nasconde dietro la maschera d’argento che egli indossa?Come mai usa rituali che conducono a sangue ed elettricità? La mente brillante del poliziotto darà la caccia a questo avversario capace sempre di anticiparlo in un susseguirsi di emozioni insolite. Immancabile nella bocca di Patrizio Camussi la sigaretta, elemento fondamentale per riordinare le idee. Come spesso accade nella vita, l’amore inaspettatamente piomberà addosso al commissario nel bel mezzo dell’indagine, con una forza capace di disturbare la logica dei suoi ragionamenti. Da leggere tutto d’un fiato fino al suo epilogo, un finale imprevedibile capace di sorprendere anche il lettore più attento.

    Un delitto insolito

    Era una delle solite mattine in quel tre settembre 2011. Le scene di sempre uguali a ripetersi di anno in anno. Alla radio la discussione sulla politica di funambolici politicanti, bravi a parlare e a fare i loro sporchi affari.

    -Cazzate, le solite cazzate.

    Il giudizio del commissario Patrizio Camussi fu lapidario. Meglio, molto meglio sintonizzarsi su di una radio capace di trasmettere musica, certamente una compagnia più rilassante. La cena gli era rimasta sullo stomaco e ogni tanto dalla sua bocca prendeva aria un bel rutto, di quelli con il gusto pieno della vita. Cercò di emetterli a ritmo con la melodia. La cosa lo fece sorridere. A volte pensava che davvero per lui il tempo non fosse mai passato. Uomo fatto, rigoroso nelle analisi e nei giudizi, si sentiva ancora, ogni tanto, un piccolo bambino. Non concepiva essere inscatolato nei ruoli che la vita pretendeva. Non gliene fregava proprio nulla che gli altri pensassero di lui che fosse un bamboccione. La strada era intasata da altri bravi concittadini, arrabbiati come serpi per la fine delle vacanze e il dover tornare al lavoro. Quella mattina i clacson suonavano a manetta.

    -Gente, la solita gente.

    Patrizio li osservava tutti, uno per uno anche quelli che lo mandavano a quel paese a motivo del suo guidare calmo e senza condizionamenti, ignari che lui fosse un commissario di polizia. L’operaio con la punto turbo, taroccata, il venditore in giacca e cravatta e auricolare, già intento in chissà quali ragionamenti, la madre che accompagnava i bambini a scuola con i capelli per aria intenta a sistemarsi il trucco. C’erano proprio tutti. La classica giornata del lunedì fino a quando non lo chiamarono dalla centrale.

    -Commissario, buon giorno.

    -Ciao, Teresa, cosa succede per chiamarmi alle 08.19 mentre sono imbottigliato sulla tangenziale?

    -Cazzi amari!

    -Teresa! Suvvia un linguaggio più consono per un funzionario di polizia!

    -E’ successa una cosa orribile, sono sconvolta. Cazzi amari le dico!

    Patrizio si allertò. La voce della donna conteneva la sensazione di rabbia, di disgusto e di sgomento in un mix che poteva aver avuto origine solo da un accadimento veramente devastante.

    -Dimmi che è successo.

    -Ma come fa certa gente a commettere certe cose?

    -Dimmi cosa è successo e dove, ci vado subito. Teresa! Per favore!

    -Hanno ucciso un bambino a Milano, in Via Tadini 4 ma non riesco a dirle altro. Ho voglia di piangere e vomitare.

    -Ok, faccia venire anche il tenente Mario Panucci.

    Una certa perplessità unita all’angoscia avvertita e assimilata da Teresa cancellarono di colpo tutte le intenzioni bonarie con cui aveva iniziato la giornata. Il Commissario appiccicò il lampeggiante sul tetto della macchina e accese la sirena facendosi largo alla meglio nel traffico. Quando arrivò la zona era già picchettata dagli agenti e come al solito c’erano i fastidiosi sguardi dei curiosi di turno.

    A riceverlo il sergente scelto Massimo Ponti che subito gli corse incontro con il suo modo di fare scoordinato.

    -Commissario, venga presto.

    -Un attimo, fammi almeno parcheggiare.

    -Non ho mai visto una cosa simile!

    -Ma cosa avete tutti oggi? Eppure di morti ne avete già visti abbastanza, no? Anche tu, non sei più una recluta. Per la miseria dovresti essere abituato ai delitti.

    -Capo questo è un bambino di appena sette anni.

    -Sette anni?

    -Sì, ma quello che gli hanno fatto è orribile, non riesco a trovare le parole per raccontarglielo.

    -Cosa ti ha turbato in particolare?

    -Come ha fatto quel che ha fatto, deve essere stato molto tempo con la vittima per conciarlo in quel modo.

    -Portami subito sulla scena del delitto, amico mio.

    Patrizio si sentì mancare l’aria, tutta quella preoccupazione e disperazione intorno cominciavano a creargli difficoltà di respirazione. Vide i genitori del bambino tirati a forza lontani dal luogo dove era stato ritrovato dopo averlo identificato.

    -Massimo, chi ha trovato il cadavere?

    -Il nonno.

    -Il nonno? Ah.

    -I genitori erano andati fuori a cena ieri sera e lo avevano lasciato in custodia al vecchio che se l’è portato al circolo. Come tutte le sere andava a giocare a carte con gli amici.

    -L’ha perso di vista lì?

    -Il vecchio rimbambito si è messo a fare la sua partita e, indovini un po’, non se l’è mica dimenticato?

    Ormai mancava poco allo scantinato sottostante alla palazzina che ospitava il circolo. Patrizio si sentì tremare le gambe scendendo le scale in quel buio cunicolo. Si trattava di un interrato risalente agli anni trenta, di quelli fatti con i mattoni a vista e il soffitto a volte. Infilò dietro al sergente la corsia di destra. Vedeva le porte di tante cantine su entrambi lati. Del salnitro saliva all’incrocio tra pavimento e parete. L’aria puzzava di umido e marcio a tal punto di dar fastidio ai fragili polmoni del Commissario che si mise a tossire.

    La cantina dove era avvenuto il delitto era l’ultima del corridoio, quella centrale, si vedeva chiaramente che la serratura era stata scardinata.

    -Si prepari capo. Non è un bello spettacolo.

    -Sergente, grazie per l’interessamento, lei aspetti qui fuori.

    Come in tanti altri casi, il commissario aveva l’abitudine di entrare sulla scena del crimine da solo per osservare i dettagli e ricevere delle percezioni. In un certo senso il modo con cui veniva compiuto un omicidio era un’impronta e nella sua mente, ormai viziata da tutto ciò che aveva visto nella sua carriera, gli trasmetteva una fotografia della persona con cui aveva a che fare. Tirò a sé la porticina di lamiera ed entrò con il rispetto e la sacralità con cui si entra in chiesa. I suoi occhi non riuscirono a rimanere aperti a lungo però e le budella fecero il resto. La scena era agghiacciante. Il sergente lo vide correre fuori di corsa e piegarsi in un angolo a vomitare la colazione del primo mattino.

    -Glielo avevo detto, nessuno che mi ascolti mai.

    La cosa irritò Patrizio, che non amava avere torto nelle sue scelte. In fondo era un po’ presuntuoso.

    -Vada di sopra ad aspettare l’arrivo del tenente e chiami la scientifica per i rilievi del caso.

    -D’accordo commissario.

    -Ah, un’altra cosa, trovi uno straccio per tirar su quella sozzeria che ho fatto nel corridoio.

    Finalmente solo, si fece coraggio e tornò dentro. Il suo era davvero uno sporco maledetto lavoro da compiere certe volte. Il bambino, un maschietto con le brache corte blu, la polo gialla e le scarpe da ginnastica era steso per terra. Il suo corpo era messo in modo da formare una croce dentro un cerchio dipinto con il suo stesso sangue. Un cerchio quasi perfetto. La cosa indicava che l’assassino aveva avuto tutto il tempo per realizzare la sua opera. Un lavoretto fatto con calma e quindi Patrizio escluse immediatamente il delitto emotivo. Vi erano due grossi spilloni da balia, nelle orecchie e lungo i braccini e le piccole gambe.

    -Bastardo, si è divertito ad infierire.

    Nel cuore invece un ferro di quelli che usa per ricamare. Probabilmente il colpo di grazia. A colpo d’occhio pareva una crocifissione di quelle che immagini di poter trovare quando sono invischiate delle sette sataniche. Il bambino sembrava fare una boccaccia. Le labbra sembravano accennare un sorriso e uno spillone infilato dentro la lingua, la costringeva a rimanere fuori dalla bocca.

    -Insolito, non convenzionale.

    Pensò Patrizio. All’apparenza non si scorgevano segni evidenti di violenza sessuale. I vestiti erano al loro posto e quindi a meno che non glieli avesse rimessi dopo era da escludere l’idea di avere a che fare con un pedofilo. Ma la cosa che lo stupì particolarmente fu la scritta lasciata appena fuori dal cerchio, sopra la testa di quella piccola anima.

    -Gayum…, in latino vuol dire felice. Abbiamo a che fare con un uomo di cultura, a quanto pare. Felice di morire?

    La scritta si vedeva appena, incisa con una delle spille da balia sui mattoni impolverati del pavimento. Fu in quel momento che arrivò il tenente Panucci.

    -Salve commissario, brutta storia vedo.

    -Già.

    -Cristo! Ma come si fa ad infierire così su di un

    -bambino?

    -L’ha messo in croce il nostro uomo.

    -Uomo? Come ha fatto a dedurlo?

    -Non l’ho dedotto, ma è probabile, se non altro per l’istinto materno che una femmina possiede. Non credo che una donna ci avrebbe giocato in questa maniera.

    -Però non possiamo escluderlo a priori.

    -Su questo hai ragione Mario.

    Il commissario fece girare gli occhi nella stanza ancora per una decina di minuti. Avvertiva che qualcosa gli stava sfuggendo ma non riusciva a rendersi conto di che cosa esattamente.

    -Tenente lei nota qualcosa? Mi dica cosa le viene in mente.

    -Bé, vedo un cerchio di sangue, il bambino, poveretto, pieno di spilloni, messo in una posizione precisa, vestito. Ah, sì sopra la testa c’è una scritta, almeno sembra. Gajum. Forse il tipo è un culattone.

    -Gayum Mario. E’ latino, vuol dire felice, allegro.

    -Non ci trovo nulla per cui essere allegri. Il figlio di puttana ha fatto pure lo spiritoso.

    -Vigliacco.

    -Chi ha fatto questo, ha voluto lasciare un messaggio. Forse intendeva dire che per essere felici l’unica strada possibile è quella della morte.

    -Può darsi, come può essere che abbiamo a che fare con un maniaco omicida seriale. Ha sentito alla televisione del cannibale? Quello che tramite internet si faceva contattare dalle sue vittime, le uccideva e se le mangiava.

    -Sì e loro erano d’accordo. Viviamo in un mondo strano.

    -Il tenente annuì e continuò la sua ispezione nel luogo del delitto ancora per qualche minuto.

    -Che facciamo? Lasciamo che entrino quelli della scientifica?

    -Chiese Mario senza guardare in faccia il suo capo ma non ottenne risposta. Quando si girò verso di lui, lo vide piangere con il fazzoletto in mano.

    -Commissario, sta bene?

    -No. Mi sento di merda.

    -Vada a prendersi un caffè, qui finisco io.

    Gli rispose lui comprensivo. L’emozione era forte, più forte del solito. Pensare ad una vita di soli sette anni stroncata in quel modo orribile faceva accapponare la pelle. Patrizio se ne andò senza aggiungere nulla e sulle scale s’infilò gli occhiali scuri per non farsi notare in quello stato di abbattimento psicologico. Nessuno immagina un poliziotto piangere, ma lui era un emotivo e se la cosa da una parte lo aiutava a risolvere i casi dall’altra lo turbava all’eccesso.

    Qualche minuto dopo, il trambusto intorno, l’arrivo dell’ambulanza in contemporanea con la scientifica, gli diedero la scossa giusta per rimettere in moto il suo raffinato cervello. Si portò dall’altra parte della strada per fotografare la strada e i palazzi. Non sapeva bene il perché ci riuscisse ma le cose stavano così. La sua mente si ricordava perfettamente quello che cercava di memorizzare. Lo faceva talmente bene da riuscire a dipingere in maniera precisa un paesaggio visto anche una settimana prima. Il caseggiato dove si era consumato il delitto appariva come un edificio d’inizio secolo. I muri spessi e gli anni di smog sulle pareti stavano a testimoniarlo mentre alcuni decori storici erano in bella vista negli affacci delle finestre. Il circolo occupava l’intero piano terra, ad eccezione del vano scala che permetteva l’accesso alle abitazioni e alle cantine. Una scritta inneggiava alla Padania libera dai ladroni di Roma, dipinta con uno spray verde appena sopra la zoccolatura dell’intonaco. Poco più in là i cassonetti per la raccolta differenziata, uno mezzo bruciato. Patrizio c’infilò dentro il naso sentendo, nel primo, l’odore acre dell’umido e degli avanzi in decomposizione, nel secondo vide bottiglie vuote di vetro di varie forme. La cosa era normalissima visto che si trovava davanti ad un circolo dove si tracannava vino di brutto. Lo richiuse cominciando a rovistare in quello di carta e cartone. Una vocina però nelle sinapsi prese a dirgli di tornare indietro e guardare meglio. In effetti, c’erano tanti bottiglioni da un litro e mezzo di barbera e pinot, poi alcune di anice, sambuca e grappa. Tutte le marche di questi alcolici erano commerciali e di basso costo. Tutte tranne una bottiglia di cognac stravecchio con ancora alcune tracce di ceralacca proprio vicino al collo. La forma della bottiglia era inusuale. Il commissario rovistò nella giacca alla ricerca della penna e la infilò dentro il collo della bottiglia per tirarla fuori senza danneggiare possibili impronte. Benché non fosse un grande intenditore gli apparve subito chiaro che quella bottiglia risalisse almeno al secolo precedente. Il commissario fece cenno a uno della squadra di venirla a prendere e di farla analizzare minuziosamente.

    -Un intenditore di superalcolici, ragazzi ditemi che troviamo qualche impronta.

    Chiese ai suoi uomini Patrizio.

    Occorreva adesso cercare nelle abitazioni, qualcuno che dichiarasse di essersela scolata lui la bottiglia di cognac. Se nessuno l’avesse riconosciuta, forse poteva essere un indizio importante. Patrizio si mise ad osservare anche le case dall’altra parte della strada. Palazzi più recenti, probabilmente risalenti agli anni sessanta con sotto una serie di negozi. Il panettiere con a fianco il fruttivendolo e poco più in là una filiale di Banca Intesa testimoniavano che la zona era trafficata di passanti da mattina a sera.

    -Capo qui abbiamo finito.

    Gli comunicò il suo vice Mario.

    -Faccia un salto in banca allora.

    -A prelevare? Ha bisogno di contanti?

    -No, per acquisire i filmati della telecamera all’esterno.

    Il tenente fece la faccia da pirla, rendendosi conto della sua stupidità per non aver capito al volo il motivo della richiesta del commissario.

    -Ok, scusi. Oggi sono fuori fase.

    -Un’altra cosa, voglio parlare in commissariato con i genitori del bambino e con il nonno.

    -D’accordo, ci provo a farli venire visto lo stato d’animo. Vuole anche che prenda le generalità delle persone presenti stamattina nel circolo e nelle abitazioni?

    -Assolutamente.

    Quella era la prassi ordinaria. I primi sospettati sono sempre quelli presenti nel luogo del delitto o nelle immediate vicinanze ma all’interno della macchina cerebrale del commissario era già evidente che l’assassino non dovesse essere né un parente e nemmeno una persona comune.

    -Psicopatico paranoico o schizofrenico bipolare.

    Si disse, guidando la macchina.

    Questa la prima analisi istintiva. Non era ancora chiaro perché avesse ucciso ma il rituale non lasciava spazio ad altre ipotesi. Probabilmente anzi era sotto l’influsso di una sorta di misticismo come dimostravano la posa del cadavere dentro un cerchio rosso paragonabile al sole e l’uso di ferri e spilloni per torturare la vittima.

    L’ufficio del commissario si trovava al primo piano della caserma di via dei Tigli 24, un palazzotto ristrutturato una decina d’anni prima. Non aveva un gran respiro come finestre. Anzi spesso il sole non riusciva ad entrare, ostacolato dai palazzi circostanti.

    -Buongiorno dott. Camussi!

    Il solito familiare saluto del piantone all’ingresso. La divisa sembrava scoppiare per quanto era grasso l’uomo.

    -Salve Degennaro. Non sarebbe ora di mettersi un tantino a dieta? Ancora qualche chilo e poi non riuscirai più ad entrare dal portone!

    -Ha ragione, eccome se ha ragione! Mia moglie me lo dice sempre ma con quattro figli da mantenere, solo quello mi è rimasto come piacere! Mangiare e bere, il resto va in bollette, pannolini e affitto.

    -E c’hai ragione pure tu, amico mio. Qualcuno mi ha cercato?

    -Al momento no.

    -Ok, io vado nel mio ufficio, più tardi arriveranno delle persone che devo interrogare. Avvisami per favore.

    -Sarà fatto capo. Ci conti.

    Patrizio salì le scale, lentamente, continuando a ragionare su come fosse complicata la vita delle persone. Non vi era una scelta perfetta. Quante volte aveva rimpianto di non essersi fatto una famiglia. Sempre a zonzo di qua e di là senza avere un porto su cui fare rotta, un posto fisso a cui tornare. Ma d’altronde anche chi si era sposato, come Degennaro, non gli sembrava poi così felice e allegro. Anzi. Era diventato così grasso per compensare i problemi della vita. Come per molti altri quello era il suo modo di sfogare le frustrazioni. Fare delle scelte implicava inevitabilmente rinunciare a qualcosa d’altro. Chissà che espressione avrebbe fatto se si fosse affacciato adesso in guardiola. Il piantone si stava sgranocchiando un bel panino con il salame accompagnandolo con una lattina di birra! Al commissario piaceva il suo studio, posto nell’ala nord della caserma, che riusciva a sfuggire al caos e al viavai del resto della Caserma. Le luci soffuse al suo interno accarezzavano i suoi istinti e lo calmavano come per una talpa la tana. Dietro la scrivania aveva una fornita biblioteca di codici e leggi e una variopinta raccolta di saggi sul mondo del crimine e sulle storie più interessanti di assassini famosi. Sul tavolo una pigna d’incartamenti dei casi in corso e una lente d’ingrandimento. Non che avesse particolari problemi di vista, ma tenerla a portata di mano lo faceva sentire più investigatore. Gli era rimasto impresso l’utilizzo che ne faceva in certi film d’epoca Sherlok Holmes. Non aveva voluto piante vive per non vederle morire e le poche prese rigorosamente finte, in breve erano state archiviate perché sepolte da una montagna di polvere. Alle pareti spiccavano gli scudetti delle varie Armi e gli annuari, oltre che la foto di Pertini, l’unico presidente della Repubblica per cui, negli anni aveva provato e mantenuto un certo senso d’ammirazione. E poi l’immancabile telefono grigio, ormai quasi un pezzo d’antiquariato. Lo sentiva suo come un abito addosso. Alla faccia della legge, tirò fuori un portacenere nascosto accuratamente nel quarto cassetto in basso della scrivania e si accese con un gusto immenso la prima sigaretta della giornata. Ci voleva proprio, dopo l’accaduto. Lo faceva di nascosto per non dare il brutto esempio ai suoi commilitoni ma le cattive abitudini sono difficile da estirpare dal cervello. Aprì dunque la finestra nel vano tentativo di nascondere il tanfo di tabacco bruciato. Un tiro dopo altro gli diede piacere momentaneo e soddisfazione.

    -Almeno questa, in santa pace!

    Di tutte le cose che aveva in sospeso evidenziate dalla pigna degli incartamenti, l’ultima aveva la priorità assoluta. Il delitto del bambino non lasciava presagire nulla di buono. L’assassino si era appena affacciato alla ribalta ma aveva tutte le carte in regola per essere un killer seriale e spietato. Probabilmente si riteneva un artista nel suo campo, altrimenti non avrebbe curato i particolari della scena in un modo tanto preciso. Un narcisista non certo come Paganini che non ripeteva. La sensazione era che volesse passare alla storia.

    -Spero di sbagliarmi.

    Fin da piccolo non faceva sforzo a capire certe specifiche cose. Vedeva e comprendeva i piccoli amori dei suoi compagni di scuola. Un dono di natura motivato dalla sua capacità di empatia. Era diventato famoso tra i poliziotti di Milano per i casi eclatanti che era riuscito a risolvere. Tutti lo consideravano il Poirot o meglio il mitico tenente Sheridan degli anni sessanta. Un privilegio ma anche una grossa responsabilità. Da lui ci si aspettava sempre il massimo. Patrizio era orgoglioso di essere considerato un uomo fuori da comune e ogni volta accettava con entusiasmo la sfida. Fu in quel momento, seduto all’indietro sulla sua poltrona girevole che squillò il telefono.

    -Sì?

    -Sono Degennaro, sono arrivati i coniugi Malaspina, i genitori.

    -Falli entrare immediatamente.

    Subito si aggiustò la cravatta e la giacca per formalizzare meglio ai loro occhi il suo ruolo di tutore della legge. Quando bussarono alla sua porta si alzò e andò ad accoglierli spazzolandosi la giacca con le mani. In genere non lo faceva, preferiva, infatti, mantenere un certo distacco, come baluardo del suo ruolo. Ma in questo caso, proprio non riuscì a trattenersi. Il dolore di

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