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Viaggio di un artista nel tempo la via della terra di mezzo
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Viaggio di un artista nel tempo la via della terra di mezzo

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Dopo il bicentenario della nascita di

Richard Wagner (22 maggio 1813, ore 4,20)

il romanzo della sua affascinante vita e dei suoi viaggi nel tempo.

Il libro si compone di 211 pagine e 148 immagini, ottavo a colori (euro 6), la maggior parte scattate da Lucia Petitti durante il nostro viaggio in Germania di 4 anni fa. Comprende le foto dei luoghi più suggestivi dai Castelli di Ludwig di Baviera a Montségur, da Enge, la verde collina di Zurigo a Tribshen, da Venezia, nelle sue antiche fogge, a Starnberg, alla Cappella Votiva, da Roseninsel dove Wagner e Ludwig s'incontravano con Sissi, dai dipinti di Neuschwanstein a Hohenschwangau, da Linderhof a Bayreuth, dalle principali scene delle opere wagneriane al complotto per assassinare il Re artista di Baviera, dai dischi volanti nazisti al discorso di Wagner nel bunker della cancelleria con Hitler per alcuni chiarimenti sull'appropriazione indebita fatta a danno della sua musica dal dittatore del nazionalsocialismo, dalla storia dei Chazari al Sionismo, da Villa Wahnfried al Teatro di Bayreuth, dalle scie chimiche al sistema Haarp e agli OGM, dall'usura bancaria fino ai supervirus e microchip, dal Club Bilderberg alla clonazione, fino alle previsioni per il futuro più lontano dell'umanità attraverso i cunicoli spaziotemporali dell'arte wagneriana...
LanguageItaliano
Release dateMar 26, 2014
ISBN9788869090479
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    Viaggio di un artista nel tempo la via della terra di mezzo - Alessio Di Benedetto

    Matrix

    1.DALLE BARRICATE DI DRESDA

    L’uomo privilegiato politicamente ed economicamente è un uomo intellettualmente e moralmente corrotto.

    È questa una legge sociale che non ammette eccezione.

    Michail Bakunin

    Che anni meravigliosi, quegli anni 1848-49! Marx ed Engels scrivevano il Manifesto del partito comunista. Un fermento di vita rivoluzionaria pervadeva ogni angolo dell’Europa. Città come Parigi, Vienna, Praga, Monaco, Berlino e Dresda erano in subbuglio. La nuova generazione della Junges Deutschland o dei giovani tedeschi non sopportava più un’aristocrazia incapace, violenta, ignorante e sfruttatrice. L’arte non poteva rinascere in un mondo tanto corrotto. Così decisi, già dal 1843, di entrare a far parte della Società patriottica o Vaterlandsverein. La mia formazione politica progredì velocemente per un quinquennio. Fu come se tali concetti fossero già presenti nei miei drammi e che il contatto con politici di professione ne avesse chiarito le prospettive sociali.

    Il 14 giugno del 1848, un’ovazione irrefrenabile accompagnò il mio discorso al teatro dell’opera di Dresda, all’urlo di WAG-NER!, WAG-NER!, WAG-NER! Più di tremila persone si accalcavano per acclamare le mie infuocate parole che mi costarono la mancata rappresentazione dell’opera Rienzi. Che strana rivoluzione avevo davanti a me, una rivoluzione guidata da artisti e uomini di pensiero contro il privilegio, una rivoluzione dell’intelletto contro l’intrallazzo, una rivoluzione contro il potere costituito per discendenza regale. Tra il pubblico erano presenti i miei amici e sostenitori dell’arte dell’avvenire: l’architetto Semper, il rivoluzionario Bakunin, il compositore August Röckel, Georg Herwegh, Heubner e chissà quanti altri che oggi sfuggono alla mia memoria… E mentre mi accingevo a pronunciare le prime frasi, un silenzio irreale avvolse la sala, come se gli Dèi germanici parlassero da un altro mondo, invitandoci a riflettere sulla nostra misera condizione attuale. Le mie parole iniziarono in sordina, quasi come negli accordi iniziali del mio dramma musicale L’Oro del Reno, per poi innalzarsi a urla di battaglia contro un mondo ingiusto:

    «C’è un aspetto dell’esser tedeschi alquanto curioso, sapete. Noi possiamo prendere una canzone, come Fra prati e boschi e metterla in musica in modo tale da scioglierci tutti in lacrime. Eppure, quando ci guardiamo intorno e vediamo, invece di una patria unita, un guazzabuglio di 34 regni e principati, restiamo inerti. I nostri occhi rimangono asciutti. I nostri cuori non si gonfiano di sdegno. Perché? Perché? Siamo misera gente dalle minuscole menti? Dei meri servi? Sottomessi e soggiogati dai nostri maggiori?

    A queste persone, ai nostri governanti io dico: Rinunciate ai vostri titoli e a tutti i vostri privilegi! Anche noi, gente qualunque, abbiamo degli antenati. E sebbene non avessero titoli, non furono certo i guardiani dei porci della ben nota favola. Le loro gesta audaci, il loro vassallaggio, le loro sofferenze sono scritte in lettere di sangue. Il loro sangue sarà la nostra bandiera.

    Due fronti si sono delineati in Europa. Il grido che si leva da uno è repubblica. Il grido che risuona dall’altro è monarchia.

    Monarchia: Che cosa vedete? Vedete una turma cieca e corrotta. I governanti di Hessen, di Baviera, di Prussia. E che dire del nostro stesso re? Io, il suo maestro di cappella oso dirgli questo: Diventa un principe sensibile ai nostri consigli. Bandisci gli smidollati Junkers e le loro svenevoli dame. Consulta il popolo libero, il popolo tedesco. I più nobili tra i suoi figli, simili a Dèi. Non servi in livrea o schiavi dell’altrui capriccio, ma uomini eletti e liberi. Ognuno con il suo voto. Le menti rese più forti dalla consapevolezza del nostro passato: i miti e le leggende e la religione della Germania. Che lui, il nostro re dica: Io dichiaro la Sassonia uno stato libero. Che allontani i sicofanti che lo circondano. E se non lo farà, avvertitelo con le parole di Cristo: Se la tua mano destra ti offende, tagliala… tagliala… tagliala via. La nostra patria si chiama Germania. Amatela sopra ogni cosa. E più con le azioni che con vane parole».

    Fig  1. Richard Wagner durante il periodo dei moti rivoluzionari

    Tali espressioni corsero di bocca in bocca e molti si aspettavano una catastrofe imminente che avrebbe provocato la guerra civile. Il risultato di simile incitamento mi portò molte inimicizie, rancori e odio, man mano che si saliva nella scala sociale. Una freddezza glaciale mi aspettava a corte, dopo che i regnanti rientrarono in città dalle loro vacanze estive e furono informati della perorazione da me tenuta all’Opernhaus. Il mio diretto superiore, l’intendente di corte Lüttichau, spiava le mie mosse in maniera diretta o tramite i suoi scagnozzi, che incontravo nei luoghi più impensati, durante le passeggiate mattutine. E mentre a Vienna impazzava la rivoluzione, sempre più spesso apparivano sui muri di Dresda manifesti rossi e neri con scritte inneggianti ad un malcontento irrefrenabile nei confronti della monarchia. In mezzo a questo tiro incrociato, all’indirizzo della mia persona, una piacevole sorpresa la ebbi la domenica delle Palme del ‘49, quando diressi la Nona Sinfonia di Beethoven. Fra il pubblico si nascondeva l’agitatore russo Michail Bakunin, ricercato dalla polizia per i moti di Praga dell’anno prima. Ma egli, in spregio ad ogni elementare prudenza, non poté esimersi dall’incontrarmi e complimentarsi per la magistrale direzione dell’orchestra di corte. Un cordiale rapporto ci unì da quel momento, fino ai giorni fatidici della rivoluzione di Dresda. Durante una serata con gli amici Röckel e Semper, gli parlai del progetto di scrivere un’opera dal titolo Gesù di Nazareth, in cui presentavo Maria Maddalena come Gran sacerdotessa e moglie di Cristo e non come la prostituta dei Vangeli canonici. Sulle prime, Bakunin rimase un po’ sorpreso della mia interpretazione, ma poi da rivoluzionario di professione qual era, mi disse senza mezzi termini:

    «La lotta contro la Chiesa di Roma è un’impresa impossibile, poiché quei concetti religiosi che ruotano intorno alla favola del Redentore sono entrati a far parte del pensiero quotidiano della gente. E il significato recondito di quella fiaba è molto deleterio riguardo alla speranza umana. In essa la verità sarà sempre crocifissa e colui che parla di libertà nei confronti dei potenti sarà sempre ammazzato».

    Con un fare sarcastico continuò così il suo commento, riferendosi alle parti vocali che dovevano interpretare il dramma:

    «Il tenore canterà Uccidetelo, il soprano Impiccatelo, mentre il basso ripeterà a piacere Fuoco! Fuoco!». Notevole, non vi pare? Con tre parole aveva distrutto duemila anni di menzogne.

    Fig  2. Barricate di Dresda (maggio 1849)

    Il primo maggio la situazione precipitò. Il nuovo ministro Friedrich von Beust sciolse le camere. L’amico Röckel si trovò subito senza l’immunità parlamentare e dovette fuggire in Boemia per evitare l’arresto immediato. A me toccò, pertanto, il compito di portare avanti il suo giornale popolare, i Volksblätter. Dresda era diventata una polveriera. Le manifestazioni di piazza si susseguivano senza fine, precedute e seguite da furiose sedute dei comitati di liberazione.

    Il 3 maggio, una giornata umida e afosa, gli eventi divennero sempre più irreparabili. Il governo aveva rifiutato - senza mezzi termini - la costituzione federativa tedesca. Assistetti pure alla riunione del Comitato dei Patrioti. Mi acclamarono ancora una volta perché li spronassi alla lotta. Il mio intervento fu in quell’occasione breve ma incisivo. Con voce ferma, gridata, e tuttavia a tratti rotta dall’emozione dissi:

    «I lavoratori devono guidare la lotta sociale che verrà. Uomini liberi, artisti, tutti noi. La nostra lotta esprime il volere di un popolo libero, senza tener conto dei confini nazionali. Il nostro socialismo federativo e nazionale deve soltanto potenziarci, non limitarci. Il nostro compito sarà quello di liberare lo spirito umano, altrimenti lo condanneremo alle catene della schiavitù economica. A coloro che temono la morte, io dico che questa è la nostra occasione. Se non combatterete, avrete salva la vita. Ma la vostra esistenza sarà un’esistenza di sudditanza. Agonizzanti in un letto, fra non molti anni sognerete di barattare tutti i giorni che avete vissuto da adesso, per avere l’occasione di tornare qui sul campo ad urlare ai vostri sfruttatori che possono toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai la libertà».

    Anche questa volta le mie parole colpirono nel segno. I volti degli astanti erano venati di una profonda commozione. Alzarono i fucili in segno di adesione alla rivoluzione. Gli occhi apparivano vividi e aggrottati come quando si rivela inaspettata davanti a noi una verità da sempre occultata dai veli untuosi della falsità. Le lunghe acclamazioni, al mio indirizzo, servivano a fermare quella visione, per paura che essa svanisse ancora una volta, come in quei sogni in cui i volti familiari sono coperti da una fitta nebbia. Rimasi in silenzio ad osservare i miei ascoltatori e notai un senso di smarrimento, come se una luce improvvisa li avesse accecati. Mi proposero di guidarli, ma io m’intendevo di musica, filosofia e politica, più che di strategia militare.

    Fig  3. Un momento drammatico delle Barricate di Dresda, maggio 1849

    Notai che erano tutti perlopiù impreparati alla guerra fratricida che si stava per scatenare. Bakunin stesso ripeteva senza sosta: «Gente sbagliata è alla guida di questa rivoluzione». Non si sapeva come organizzare neppure le barricate. Uscii dalla riunione col pittore Kaufmann che avevo conosciuto all’esposizione di Dresda. E quando arrivammo in Piazza della Posta, risuonarono a stormo le campane di Sant’Anna. Fu l’inizio della rivoluzione. E quel suono ebbe su di me un effetto straordinario. Tutta la piazza mi parve inondata da una luce giallo-scura, pressappoco come a Magdeburgo il giorno dell’eclissi di sole.

    Una baruffa tra civili e militari aveva già provocato le prime vittime. I soldati avevano sparato a mitraglia sulla folla inerme nella Rampische Gasse. Il popolo però non si fece intimorire ed un solo grido risuonava per tutta la città:

    «Alle barricate! Alle barricate!».

    La rivoluzione era finalmente scoppiata. Mi accodai anch’io e - trascinato dalla folla - mi ritrovai nella Rosmaringasse, dalle parti dell’arsenale e del mercato vecchio. Poi si proseguì fin nella sala del Consiglio municipale. A tarda ora decisi di tornare verso casa nel lontano quartiere di Friedrichstadt. Il cammino fu faticoso, poiché dovetti attraversare diverse barricate che erano state erette lungo la via.

    Rientrato a casa, trovai Minna molto preoccupata. I colpi di fucile la rendevano terribilmente instabile e nervosa. Cenammo con una semplice minestra. Poi decisi di ritirarmi nel salotto e invitai mia moglie ad andare a riposare, rassicurandola che tutto sarebbe stato calmo per quella notte. Avevo bisogno di stare un po’ da solo. Scostai le tende della finestra che si affacciava sulla piazza e mi stravaccai sul divano.

    Fig  4. Minna Planer in Wagner nel 1835, all’età di 26 anni

    Osservavo i movimenti delle persone che apparivano già spaventate e disorientate. Alcuni avevano addirittura preparato i bagagli, riempiendo le carrozze per spostarsi verso luoghi più tranquilli, altri si serrarono in casa, sbarrando porte e finestre. Ripensai agli scrittori che avevano influito maggiormente sui miei pensieri e al tempo trascorso al Vaterlandsverein.

    Qui i miei discorsi fecero storia e riguardavano problemi sociali, politici e culturali. In particolare la lettura dell’ateismo di Feuerbach e dell’anarchismo di Pierre-Joseph Proudhon mi chiarì i tre nemici giurati del progresso sociale ed artistico del mondo moderno. Capitale, Chiesa e Stato costituiscono una trinità rovinosa che cospirano per schiavizzare il corpo, la volontà e la ragione dell’uomo. Il capitale lo realizza stampando denaro a debito, la chiesa distruggendo l’istinto di lotta dei fedeli, lo stato adducendo inutili ragioni perché i cittadini non si avvedano delle truffe fisiche, morali e conoscitive cui l’uomo è sottoposto.

    E così, i banchieri insegnano ai servi a provare piacere nel lavoro manuale. La cosiddetta rivoluzione industriale non ha fatto altro che produrre di più, soltanto a vantaggio dei proprietari. Il risultato che vediamo davanti ai nostri occhi è una classe di ricchi che s’ingozza di ogni risorsa e il resto della popolazione ridotta alla fame e costretta a lavorare 15-16 ore al giorno per un tozzo di pane. In tal modo si è reso ancor più schiavo l’uomo libero. Dal canto suo, il cristianesimo giustifica una disonorevole, inutile e misera esistenza sulla Terra col meraviglioso amore di Dio che non ha creato l’uomo per un’esistenza gioiosa e cosciente di sé, ma lo avrebbe rinchiuso in un carcere per offrirgli, dopo la morte, in compenso dell’inculcato disprezzo di sé, uno stato infinito di magnificenza comoda ed inerte.

    L’arte deve riconquistare – come negli antichi Greci – una coscienza pubblica. Purtroppo, oggi, con l’affermarsi della civiltà industriale, il nostro dio è il denaro e la nostra religione il guadagno. E allora l’arte si è ridotta a una merce di scambio che necessita di un corrispettivo in soldoni. Anzi è diventata un divertimento degradato, alla stessa stregua del gaudente che cerca il piacere amoroso di una prostituta. Un cancro invisibile si è diffuso così nel mondo. Famiglie private stampano denaro arricchendosi all’inverosimile. Impongono una percezione conoscitiva totalmente falsa della realtà. Si crede – infatti – che la cartamoneta sia la ricchezza effettiva, offuscando in tal modo il vero benessere, generato dalla produzione nazionale.

    Vi chiedo: Chi penserebbe mai che quei minuscoli pezzi di carta siano stampati col sangue della gente? Che le tasse non servano affatto per offrire dei servizi sociali, ma per ingrassare i maiali delle banche, che sono compagnie private? Che i soldi, una volta stampati da simili società mafiose, ne costituiscano il loro immenso capitale che muove guerre, terrorismo e stragi? Che le banche non paghino imposte sui loro introiti praticamente totali e neppure sull’usura dei prestiti monetari? Che esse si approprino di questa immensa risorsa pubblica, facendo una vera e propria rapina, chiamata con un nome eufemistico signoraggio? E che esso sia la differenza di costo tra l’emissione tipografica di un marco e il valore impresso sulla moneta stessa? E che il valore addebitato alla popolazione venga persino maggiorato degli interessi?

    Fig  5. Soltanto la produzione comunitaria rende possibile alla carta igienica di divenire moneta sonante

    Mi spiego meglio: una banconota da 200 marchi costa alle banche private due centesimi (pensate: il costo di stampa è soltanto di due centesimi), ma a noi vengono addebitati 199,98, più circa 4 marchi. Incredibile! Un pezzo di carta igienica che improvvisamente acquisisce il valore di 203,98 marchi? Per loro come introito, per noi a debito. Dura da ingoiare, no? Ma è tutto perfettamente vero. Il motto delle banche è: VOGLIO TUTTO IL PIANETA PIU’ IL 10%. Le più grandi truffe della società contemporanea sono le meno evidenti e le più consolidate. Le banconote divengono così l’essenza dell’essere umano, sovrastando la sua libertà e le sue idee innovative in ogni campo dello scibile. Questa religione economicistica genera insicurezza e preoccupazione nei cittadini, li rende deboli, servili, ottusi e miserabili. L’incapacità ad amare e a reagire con coraggio deriva da questo angoscioso vincolo perverso con i soldi che i banchieri immettono sul mercato, provocando ricchezza, e che ritirano dalla circolazione per generare depressione, recessione e povertà. E perché lo fanno? Perché quando c’è carenza di pezzi di carta non possiamo più scambiarci nulla, mentre gli istituti finanziari, possessori delle cartamonete, possono comprare tutto, e lo fanno in maniera assolutamente illegale. Principalmente perché i banchieri, a quel punto, si appropriano delle nostre vere ricchezze private e statali: ditte, palazzi, campagne, giacimenti di diamanti, petrolio, rame e oro, produzione energetica, patrimonio artistico e così via.

    Un giorno, un economista della Società patriottica, un certo dottor Saber, mi raccontò un aneddoto che è molto significativo al riguardo. Noi aderenti alla Vaterlandsverein rimanemmo senza fiato e non potemmo far altro che meditare su una verità incontrovertibile e avvilente.

    Ebbene la storiella è più o meno questa: tre amici un giorno fanno naufragio. Dopo una lunga nuotata approdano su una bellissima isola del pacifico, piena di ogni ricchezza. Decidono perciò di restare e di intraprendere diversi mestieri. Il primo fa il pescatore, il secondo il falegname, il terzo il contadino. La loro vita si svolge tranquilla e felice. Il metodo di ricompensa per i lavori svolti è basato sul baratto. I primi intoppi, comunque, si presentano quando il falegname consegna le porte al contadino che dice:

    «Ti darò il corrispettivo fra un mese, quando ci sarà il raccolto dei pomodori».

    Il falegname - dal canto suo - deve contraccambiare il rifornimento di pesce giornaliero al pescatore. La cosa si ripete più volte fra i tre in diverse circostanze, finché un giorno sbarca sull’isola un signore vestito elegantemente in giacca e cravatta. Costui viene a conoscenza dei problemi dei naufraghi:

    «È difficile col baratto tenere i conti, non è vero?» chiede interessato. «La soluzione però è molto semplice. Io ho qui con me tutto il necessario per stampare denaro» continua imperterrito. «Di quanti soldi avete bisogno?».

    Gli amici, al culmine della loro contentezza rispondono:

    «Le nostre esigenze non sono molte. Ci bastano 75 marchi, 25 a testa. Ma lei caro banchiere che cosa vuole in cambio del suo impegno?» chiedono i tre.

    «Bazzecole!» ribatté il banchiere. «A fine anno mi restituirete i 75 marchi più il 10%».

    Passa un anno di gioia e spensieratezza, finché - dopo le feste di Natale - i tre amici si riuniscono per saldare il conto. Tuttavia, ben presto si avvedono che in tutta l’isola circolano solo 75 marchi. Dove andranno mai a prendere gli altri soldi che mancano all’appello per un totale di 82,5? Il banchiere ancora una volta li invita a non preoccuparsi. Sui rimanenti 7,5 gli amici verseranno il 6% ogni mese nelle sue casse. Naturalmente non pezzi di carta ma beni primari. Insomma, per farla breve, nel giro di qualche anno il banchiere s’impossessò dell’isola, cacciò via i tre amici e rimase l’unico abitante di quel paradiso naturale.

    Può sembrare incredibile, ma allo stesso modo opera il debito pubblico, i cui interessi crescono sempre più per colpa di un governo connivente con gli stampatori di denaro falso autorizzati. Eppure che cosa vi hanno dato gli istituti finanziari in cambio del vostro lavoro? Interroghiamoci su un aspetto ancor più essenziale: Che cosa dà valore ai soldi in circolazione? La risposta è semplicissima e reale: la nostra produzione, le nostre attività, le nostre case e i nostri beni di consumo. Il denaro, considerato dal punto di vista socioeconomico, è soltanto un simbolo!!! Esso è il modo più semplice per annotare quanto ogni cittadino abbia e quanto debba. Ma attenzione: il suo debito o credito è rispetto agli altri cittadini e non nei confronti delle banche che si sono arrogate il diritto di emettere denaro, incassando l’intero valore di facciata di una moneta più il 10%, come nella storiella del dott. Saber. E perché le banconote non sono stampate dallo Stato, rendendo il popolo sovrano dal punto di vista monetario? Ne è forse incapace? E perché mai Napoleone Bonaparte c’è riuscito? Dopo essersi liberato dei banchieri privati, che in combutta con l’aristocrazia svenava il popolo e la nazione con la favola del debito pubblico, ha istituito la Banca di Francia, di nome e di fatto. Perciò quel paese è divenuto nel breve volgere di alcuni anni una superpotenza, in grado di occupare quasi tutta l’Europa. Quando io nacqui, nel 1813, l’esercito alleato ebbe non pochi problemi per respingere un’armata già decimata dalla disastrosa campagna di Russia. Stranamente si trovarono tutti d’accordo nel combattere chi aveva osato eliminare questo andazzo. Mi ricordo perfettamente quella frase che Napoleone pronunciò contro il cartello malavitoso degli istituti di credito: Quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi e non i capi del governo controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve… Il denaro non ha madrepatria e i finanzieri non hanno patriottismo né decenza; il loro unico obiettivo è il profitto. Perciò lo reclusero a Sant’Elena nell’Oceano Atlantico, lontano da tutti, tra l’Africa e l’America Latina, e lo avvelenarono.

    Fig  6. La moneta diviene l’essenza dell’uomo, secondo l’idea della finanza privata Da "La creazione d’Adamo" di Michelangelo

    Il nostro esperto Saber continuò:

    «Il debito pubblico avviene con la corruzione dei parlamentari stessi, ricompensati con lauti stipendi. Pensate che assurdità: una nazione che non è in grado di emettere moneta? Lo sanno fare anche due falsari ben organizzati. O c’è sotto un’immane truffa che ci sottrae con l’inganno il 98% del nostro lavoro? E perché non se ne parla? Si teme forse di essere ammazzati? Sì: i più efferati assassini dei grandi uomini di stato, che si sono opposti a questa tendenza lucrosa ed usuraia oltre ogni misura, sono ben nascosti dai cosiddetti segreti di stato di un inganno globale».

    Insomma, non è il governo di una nazione che governa, ma una banda di criminali che stampa denaro, e con il suo esercito privato ammazza chiunque abbia da ridire sui suoi sporchi intrallazzi. Lo so che state pensando che non può essere vero, che è stato sempre così, che sono fantasie di un artista. Ho affrontato lo stesso problema nella mia opera L’oro del Reno. Più in là vi parlerò, in maniera accurata, delle metafore che ho impiegato in quella saga di Dèi, eroi e Nibelunghi. Io non posso aprirvi la testa e mettervi dentro concetti così semplici che anche un bambino comprenderebbe. Continuate a vivere come vi pare, sottomessi e sfruttati. Se non nasce nelle vostre menti l’autocoscienza dei fatti reali che si verificano nell’economia di uno stato, ossia in noi lavoratori, non posso farci nulla. Ognuno deve liberarsi da sé. Non vi toglierò le catene con la forza. Non ho nessuna intenzione di essere accusato di furto.

    Fig  7. Eugène Delacroix, "La libertà

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