Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Gli adottivi
Gli adottivi
Gli adottivi
Ebook121 pages2 hours

Gli adottivi

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Estate 1978: il ragazzino Alex Montali passa le vacanze sull'Appennino parmigiano insieme ai cugini e, soprattutto, ai gemelli Luca e Marta, figli adottivi di una coppia che ha affittato una casa nel borgo della Fontana. È il tempo in cui le avventure dell'infanzia sfumano nelle prime pene d'amore. Un giorno, il gruppo incontra alcuni ragazzi che vivono in una casetta solitaria al limitare di un bosco. Sono giovani che, come altri all'epoca, sognano di cambiare il mondo. Ma forse nascondono qualcosa ...
Estate 2008: Alex Montali, professore di archeologia all'Università di Parma vive una nuova rigenerante storia d'amore con la giovane Greta e stringe amicizia con Marco, un biologo che ha affittato una casa alla Fontana per trascorrervi i fine settimana e le ferie. Marco è simpatico e intelligente, ha successo con le donne. Ma forse nasconde qualcosa ...
Gli adottivi racconta il passaggio dall'infanzia all'adolescenza dal punto di vista di un ragazzino alla fine degli anni '70, e poi, trent'anni dopo, gli imprevedibili miracoli dell'eros e del passato che ritorna.
LanguageItaliano
PublisherPaolo Galloni
Release dateSep 1, 2011
ISBN9788863691474
Gli adottivi

Related to Gli adottivi

Related ebooks

Coming of Age Fiction For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Gli adottivi

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Gli adottivi - Paolo Galloni

    morti

    .un luminoso istante

    Al Sgnór al ghé, sa ghé la figa, al ghé.

    Alle prove dell’esistenza di Dio elaborate da teologi, magi e filosofi, un saggio, qui delle mie parti, aveva aggiunto questa, folgorante, persuasiva, definitiva.

    Dio c'è, se c'è la fica, c'è.

    Al suo fianco, io che sono nulla più di un allievo, detto ora la mia personale nota a margine:

    il seno di Greta.

    Chiamatemi vieux cochon, se volete, io mi proclamo miracolato.

    È stato un attimo di perfezione:

    Greta inginocchiata di fronte a me nel recinto dello scavo, il cotone estivo che tratteneva a stento la disgiunzione dei seni, il respiro del paesaggio meridiano.

    Affatturato, le dissi: «Ho capito una cosa, fino a oggi la mia vita l’ha vissuta un altro al posto mio. Non deve accadere più. Vieni, voglio accompagnarti alla Casa nel Bosco».

    Ebbene sì, è il seno di Greta che mi ha scaraventato, immobile, in una piega del tempo dove mi attendeva una porta spalancata, un corridoio tra l’estate del 2008 e quella di trent’anni prima, quando, sul punto di farcela, mi sono fatto fregare la vita da quell'altro, l’insignificante estraneo che da allora ha portato a spasso il mio corpo. Con il senno di poi è incomprensibile che mi siano occorsi tre decenni per comprendere quanto sia stato assurdo aver permesso che quegli straordinari e contraddittori giorni d’estate svaporassero e s’appiattissero come se non fossero stati miei. Come se qualcosa, o qualcuno, dentro di me avesse immediatamente, e con successo, tramato per oscurarli. Un complotto di me contro me stesso.

    «Vieni, dammi la mano. Lo vedi il sentiero lassù, che subito si biforca? Si imbocca la via di settentrione, si cammina per mezz’ora e si arriva a una casa disabitata. Dietro ci cresceva un melograno, chissà se c’è ancora: un legame con il Caucaso, la Persia, l’Asia Centrale, profumi di Samarcanda. In passato si credeva che i suoi frutti portassero fortuna, ma solo se colti all’alba, quando lo spicchio dorato del sole spuntava dalle colline, o al tramonto, un attimo prima che l’astro scomparisse».

    Tutta la faccenda la narrai solenne con il solo scopo di far colpo su Greta – come tre decenni prima su Marta.

    .viene l’estate

    Ho tutta la vita davanti.

    Nel frattempo passo le vacanze estive nel paesino della Fontana, dalla mia nonna materna, Teresina Pozzi, in una casa costruita per tenere il caldo fuori d’estate e dentro in inverno. I pavimenti sono in cotto vecchio, piastrelle rosse color del sangue secco, e i muri spessi quaranta centimetri buoni, abbastanza da incassarci, in soggiorno, una dispensa chiusa da ante scure che custodisce salse, zucchero, liquori, biscotti, vasetti di marmellata e nutella. All’ora della merenda i due grandi sportelli si aprono come vele spiegate al vento, le fette di pane ricadono sul tagliere e si comincia a spalmare. A me sul pane piace più di tutto la marmellata, senza burro però, ma ognuno ha i suoi gusti, ad esempio la piccola Federica di Firenze adora la salsa di pomodoro sbiancata da un velo di zucchero.

    Vengo dalla città, io: venticinque chilometri che mi rendono accettabile, sì, ma anche degno di compatimento per la mia ignoranza delle cose del mondo. Il fatto di essere un parente che frequenta le colline mi evita, se non in casi gravi, almeno l’infamia di essere bollato dai miei parenti aborigeni come pramzàn, parmigiano, che è la peggior specie di barbaro colonizzatore. Il pramzàn è come il turista tedesco in Italia: pensa a rilassarsi, a divertirsi, non gli interessa imparare, crede di venire da una civiltà superiore; non gli importa sapere che i campi si arano con la piōda, la cui amghéra rivolta le zolle; che di notte i pollai sono minacciati da foién, bendra e gatpùf. I cittadini faticano a comprendere che i nomi delle cose e degli animali sono la loro seconda pelle; che foién, bendra e gatpùf non sono esattamente la faina, la donnola e la puzzola dei libri di zoologia, ma gli animali vivi, veri, che escono dai boschi con il buio e guai se trovano un varco verso le galline di mia nonna.

    Oltre a me, come ogni estate, ci sono i cugini e le cugine che tornano con i genitori da province più lontane: Firenze, Torino, Genova.

    Luglio e agosto sono mesi di accenti sbilenchi, cadenze sfacciate, cantilene ondulate, consonanti aspirate e pronunce esotiche che capitombolano per sbaglio in mezzo alle frasi.

    Tra i villeggianti estivi non imparentati, mica tanti per la verità, quest’anno ci sono anche due gemelli miei coetanei, Marta e Luca Goideli. I loro genitori hanno affittato la casa di Torelli. I Goideli vengono da un paese della bassa, Zibello, dove in estate, mi hanno spiegato, l'afa è così densa che ti soffoca: forestieri, quindi, ma anche loro sempre meglio dei cittadini. Marta e Luca non si somigliano, sono diversi, eppure legati come da una calamita invisibile. Purtroppo, aggiungo. A me è piaciuta subito Marta, mica suo fratello. Di lei ho immediatamente notato le labbra, carnose al centro e sottili agli angoli, e il naso leggermente arcuato. Solo in un secondo momento ho sbandato nei suoi occhi verdi, un verde scuro come le acque di un lago al crepuscolo.

    Li ho incontrati per la prima volta mentre andavo dal cugino torinese Franco, che ha venticinque anni, transita ogni tanto sull’Appennino e alcuni anni fa mi ha insegnato a giocare a scacchi. Volevo appunto proporgli una partita. Franco non dormiva a casa Pozzi, che aveva esaurito i posti letto, ma in un bilocale al capo opposto della Fontana che si chiama Inchelcalà, le case laggiù. L'abitazione affittata da Torelli ai Goideli è proprio di fronte. Sulla porta c'è una bugna, che sarebbe un faccione rotondo di pietra, occhi spalancati, con la lingua fuori. Mi hanno detto che se ne trovano in giro per l'Appennino. Non ho mai chiesto a cosa servisse perché l'ho capito da solo: tiene lontani i fantasmi. Sotto la bugna avevo visto Marta, pantaloncini corti di jeans, maglietta bianca fruits of the loom; leggeva un libro seduta sui gradini. Luca si guardava intorno.

    «Ciao».

    «Ciao».

    «State qui?».

    «Per l’estate. E tu?».

    «Anch’io. Mi chiamo Alex».

    «Io Marta. Lui è mio fratello Luca».

    Ci scambiamo appena un cenno.

    «Cosa leggi?», avevo chiesto a Marta.

    Mi mostrò la copertina. La soffitta sconosciuta, Oscar Ragazzi numero 22.

    «L’ho letto anch’io lo scorso anno! Ho molti libri della collana. Il mio preferito è L’enigma della campana sommersa».

    «Magari ce ne scambiamo qualcuno. Abiti alla Fontana?»

    «Ci sta mia nonna. Io sono di Parma, ma vengo spesso su con mia madre».

    «Cosa c’è da fare qui?» si era inserito Luca.

    Il suo ingresso in scena era stato scocciato e arrogante, da cittadino.

    «Esplorazioni» avevo risposto «Giri nei boschi».

    Luca aveva detto solo: «Ah, bene».

    Marta aveva chiuso il libro e Luca aveva sbuffato. Lei aveva stretto le gambe al petto e piegato il busto in avanti dondolandosi piano. Aveva accennato la strofa di una canzone che si ascoltava alla radio, poche note svagate, apparse dal nulla e presto svanite. Come il sorriso esitante che mi aveva rivolto, subito coperto da una nuvoletta malinconica.

    Nell’aria c’era qualcosa di diverso.

    «Oggi pomeriggio andiamo con mio cugino a raccogliere il fieno in un campo un po’ lontano da qui. Lui, che è del posto, guida il trattore e gli altri stanno sul carro. Potete venire anche voi».

    «Tu che dici, Luca? Chiediamo alla mamma se possiamo andare?».

    L’avevo guardata senza sapere cosa aggiungere. La pelle delle sue gambe e delle sue braccia. Per un momento l’avevo immaginata nuda. Chissà come si sente una ragazza nuda. Si accarezza, si tocca, prova delle sensazioni di sconquasso simili alle mie? Chissà cosa si prova a essere una femmina.

    Decisamente c’era nell’aria qualcosa di diverso. Il profumo del mondo era cresciuto d’intensità, sapeva di selvatico, vertigine, promessa e pericolo. Mi sentivo insieme il lupo che annusa il capriolo e il fragile bambi che sente incombere il predatore. Mi ero venuto in mente un documentario che avevano trasmesso alla

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1