Venetika 666A.C.
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Venetika 666A.C. - Federico Menichetti
Menichetti
Federico Menichetti
Venetika 666 A.C.
Non chiedetemi dove sono perché il buio mi circonda soffocandomi la vista ed il respiro.
Ho aperto gli occhi solo adesso, mi sento disorientato e confuso, non so l'ora né il giorno né il mese e ne tanto meno l'anno; l'unica cosa di cui sono certo è che sono sdraiato sopra ad un letto e che non posso muovermi; sento cinghie di contenzione su tutto il corpo; alle braccia alle gambe al torace ed alla fronte di sicuro non mi trovo nell'ambiente giusto dove poter ricevere accoglienza o amici di vecchia data.
Ad ogni respiro ingoio grandi bocconi fette di oscurità senza avere un bicchiere di luce per buttare giù l'oscuro boccone soffocante, ad un tratto, avverto un odore familiare, quell'odore che durante tutta la mia carriera mi ha sempre accompagnato, quel classico miscuglio di cibo e medicinali, solo ora capisco che mi trovo dentro una camera d' ospedale.
Tento di muovermi ma è inutile, quelle cinghie sono talmente serrate che per fuggire dovrei amputarmi mani e piedi, ma non riuscirei ugualmente a scappare, quindi, è meglio restare immobili.
Dopo qualche minuto ricordo che i miei occhi possono abituarsi all'oscurità, dilato le mie pupille fino ad occupare tutto il bulbo oculare permettendo di scrutare meglio l'interno di quella stanza.
Le pareti sono molto vicine al letto, lasciano solo poco spazio utile al dottore durante le visite.
Alla mia destra un macchinario controlla costantemente la pressione sanguigna mentre, alla mia sinistra, un contenitore di vetro, legato col fil di ferro ad un sostegno di metallo arrugginito, goccia a goccia, inietta uno strano liquido nelle mie vene.
Le lenzuola sono da motel di quinta categoria lise dal tempo e maleodoranti. Alzo a fatica il collo per osservare meglio la stanza, intravedo un telecomando vicino alla mia mano destra, penso che sia meglio premere il pulsante se voglio sapere che cosa mi è successo. Il suono è inquietante, sembra una sirena rotta dei pompieri comunque efficace, in quanto, in meno di un minuto, riesco ad udire dei passi all'esterno che si avvicinano.
Dalla porta si apre una piccola finestrella ed una strana ombra, sbircia all'interno usando una piccola torcia elettrica.
Dopo aver scrutato nel buio la finestrella si richiude ed un tintinnio di chiavi mi avverte che la porta sta per aprirsi, infatti, dopo alcuni secondi; la serratura fa scorrere le mandate come se fosse un conto alla rovescia, la maniglia comincia a ruotare e la porta a scatti comincia ad aprirsi.
Come un ventaglio giallo, la luce dal corridoio entra nella stanza tagliando l'oscurità, mentre, il click dell'interruttore, accende i neon nel soffitto che cominciando a lampeggiare si accesero.
La luce mi trapana gli occhi ed a stento riesco a tenerli aperti, intravedo due dottori ed una infermiera che si avvicinano al mio letto.
Subito mi circondano; il primario con lo stetoscopio alla mia destra, l'infermiera con la sua infallibile siringa di anestetico a sinistra ed il giovane apprendista medico ai miei piedi, si vede subito che è un giovane studente capelli curali barba incolta ed occhiali doppi, il classico tipo che ha sfogliato più libri che donne.
Il mio sguardo cerca risposte nei loro occhi ma niente, stanno immobili al mio capezzale come se dovessero fare la veglia al mio cadavere; senza battere ciglio concentro il mio sguardo sulla figura del primario aspettando una sua diagnosi.
-Salve dottore!-
Da quel saluto capisco che sanno tutto di me, chi sono, chi non sono e che mestiere faccio, l'infermiera sorride ed il dottorino, sistemandosi gli occhiali sul naso, mi guarda e scrive.
-Come si sente dottore? Scusi la cattiva presentazione ed il brusco trattamento ma dovevo prendere le dovute precauzioni-.
Ho la gola secca e le labbra screpolate, se non fossi ciò che sono sarei sicuramente morto, con un filo di voce chiedo dove mi trovo e cosa mi era accaduto, non ricevo nessuna spiegazione soltanto il gelido stetoscopio riesce a farmi riprendere i sensi.
Il dottore ausculta una volta una seconda volta il suo volto si fa sempre più strano, preoccupato, oserei dire spaventato.
-Non sento niente...il battito è assente-
L'infermiera si mette con le spalle al muro, il dottorino continua a scrivere sempre più velocemente lottando ad ogni parola con gli occhiali che, per le gocce il sudore che gli colavano dalla fronte, continuavano a scendergli sul naso.
Evidentemente quel povero dottore che si divertiva a fare il primario si era informato bene su di me ma non aveva ancora scoperto tutto.
-Provi ancora, se quell'apparecchio è vecchio come questa stanza, forse ci sta che sia rotto-
Il dottore dandomi ragione si toglie lo stetoscopio dalle orecchie e lo getta a terra poggiandomi una mano sulla spalla esplode in una grassa risata che diede anche un po' di vita a quella stanza.
-Bene lei è in ottima salute, adesso l'infermiera le toglierà le cinghie e gli elettrodi, dopo passi dal mio ufficio che le faccio firmare il foglio di dimissioni-
-Va bene dottore ci vediamo dopo-
Il dottore fa cenno al dottorino di seguirlo ed abbandonano la stanza.
L'infermiera, con aria più rilassata, scarica a terra il contenuto della siringa e la poggia nel carrellino d'acciaio, con mani di fata mi stacca gli elettrodi dal petto e la flebo dal braccio, fatto questo si dirige verso il guardaroba posizionato nella parte destra della stanza prende i miei indumenti, li poggia sul letto e mi toglie le contenzioni.
Dopo essermi massaggiato i polsi e le caviglie abbasso le sbarre, mi metto a sedere nel bordo del letto e comincio a vestirmi.
-Sono un po' debole, mi gira la testa, però in generale mi sento bene-
Mentre mi accingo ad abbottonarmi la camicia, da dietro, una voce d'angelo, sussurrandomi nell'orecchio, attira la mia attenzione.
-Lei deve avere di sicuro qualche santo in paradiso!-
-Perché?-
-Dopo un volo di dieci piani è già in piedi dopo soltanto tre giorni di degenza!-
-Dieci...piani?-
-Si, evidentemente non si ricorda bene ma l'abbiamo trovata per terra svenuto ai piedi di un enorme stabile-
-Strano, non mi ricordo niente-
-Sarà lo choc dell'accaduto-
-Sicuramente!...Dove siamo qui?-
-Nell'unico ospedale della città che non sia stato del tutto distrutto!-
-Distrutto?-
-Si dalla grande invasione che c'è stata non meno di una settimana fa!-
Mentre mi allacciavo le stringhe le fornivo risposte vaghe alle domande che mi venivano formulate per non destare sospetti, non potevo dire chi ero né tanto meno potevo confessare che ero stato io a porre fine a tutto questo, io e la mia dolce amica.
Finisco di vestirmi ed esco da quella scatola di sardine.
I corridoi erano fatiscenti le fioche luci nel soffitto lampeggiavano penzolavano come tanti impiccati mentre la tinta veniva via a fiocchi dalle pareti come la pelle dalle spalle dopo una scottatura al mare.
Mi dirigo verso l'ufficio del dottore facendomi largo tra i detriti del tetto crollato; busso alla porta ma nessuno risponde provo ancora ed ancora ma nessuna risposta dall'interno, credendo l'ufficio vuoto ruotai la maniglia ed entrai.
Sul muro colavano gocce di sangue fresco mentre sul tavolo giaceva morto il dottore con il costato smembrato e le interiora penzolanti mentre il sangue, fuoriuscendo dalle stesse, sgocciolava sul pavimento, i miei sensi si centuplicarono il respiro divenne più affannoso ed il dolore pungente alle labbra mi avvertì che i miei canini volevano uscire, ma le urla del dottorino mi fecero ritornare in me.
-La...la prego mi salvi!!-
-Che è successo?!-
-Quelle creature sono tornate ci stanno attaccando! Che posso fare, non voglio morire!!-
-Se non vuoi morire c'è solo una cosa da fare...correre più veloce di loro!-
-Grazie dottore seguirò il suo consiglio-
-Non far tesoro di quello che ti ho detto sappi che in poco tempo o per mano loro o per fame tu morirai! Ma se eviti rumori e resti nell'ombra può anche darsi che tu ce la faccia!!!!-
Lascio il dottorino al sicuro ed esco dall'ospedale.
Comincio a camminare per tutte quelle macerie e rottami di auto, sono debole, a stento mi reggo in piedi, trascino i piedi a terra inciampando sulle macerie e sui pezzi d'asfalto; so che ormai il peggio è passato ma non devo mai abbassare la guardia, so che qualcuno di loro ha ucciso il dottore e si aggira da queste parti.
In lontananza vedo un pub aperto, allungo il passo attirato dall'odore invitante di cipolle arrostite e hot dog , entro, mi siedo e subito vengo accolto dal gestore.
-Lei è uno di loro?-
-No stia tranquillo e poi anche lo fossi non glielo verrei a dire non le pare? E comunque se fossi stato uno di loro a quest'ora lei sarebbe già morto!!-.
Mi consegna il menu mezzo scolorito pieno di macchie di maionese e mostarda.
-Avete ancora il coraggio di restare aperto dopo tutto quello che è successo?-
-Certo prima io ero nell'esercito, ho visto braccia teste e gambe dei miei compagni esplodermi a meno di dieci metri di distanza, non so mai quante volte mi sono tolto le macchie del loro sangue dal viso eppure sono riuscito a sopravvivere non saranno queste bestie a spaventarmi-
-Hai delle armi?-
-Certo, vedi questo fucile di precisione? Di notte è un potente alleato! L'altra sera ne uccisi trenta con un solo colpo alla testa e boom sogni d'oro!!!!-
A primo impatto sembra molto coraggioso, aveva visto la morte in una delle sue molteplici forme e ne parla con una naturalezza incredibile nonostante ciò, nessuna delle guerre che aveva visto, vissuto e combattuto poteva mai eguagliare la mia.
Un caldo hot