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Voi siete qui
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Voi siete qui

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About this ebook

Questo libro nasce da una trasmissione radiofonica di Radio24: Voi Siete Qui, di Matteo Caccia, un programma di storytelling collettivo e "crowd-sourced", in cui gli ascoltatori partecipano con un racconto di un episodio realmente accaduto della propria vita. Ogni giorno Matteo racconta la storia di un ascoltatore. Ogni storia è un punto rosso su una mappa, che racconta chi siamo, e da dove veniamo. Leggerlo è come riaprire vecchie bobine di film di famiglia dimenticate in cantina. Qui si raccolgono 100 racconti andati in onda nella prima stagione, storie brevi come dei cortometraggi, storie d'amore, adolescenza, ricordi di infanzia, malattie e rinascite, amici perduti e donne ritrovate.
LanguageItaliano
PublisherMatteo Caccia
Release dateMay 8, 2012
ISBN9788863698374
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    Voi siete qui - Matteo Caccia

    Voi siete qui

    Matteo Caccia, Tiziano Bonini

    Voi siete qui

    Ognuno di noi è un punto rosso sulla mappa

    Di Matteo Caccia e Tiziano Bonini

    Scritto con Stefano d’Andrea e Federico Bernocchi

    Radio24

    Copertina: fp-wow.com

    Edizione digitale: Maggio 2012

    ISBN: 9788863698374


    Edizione digitale realizzata con Narcissus Self-publishing

    by Simplicissimus Book Farm


    INTRODUZIONE

    Un punto rosso su un mappa.

    A un certo punto ho pensato che la mia storia non fosse più interessante.

    Già durante le due stagioni in onda su Radio24 prima con Vendotutto e poi con Io sono qui cercavo di immaginare un modo per continuare a fare storytelling senza passare da me. Senza dovermi sempre immergere in quello che raccontavo.

    Non è stato difficile individuare quale sarebbe potuto essere il naturale proseguimento di quei programmi: raccontare le storie delle persone.

    La narrazione autobiografica è la maniera più immediata per raccontare storie. Non serve particolare fantasia, non è necessario conoscere e maneggiare tecniche di scrittura. L’esperienza personale è la maniera più semplice e immediata per raccontare una piccola storia. Avere vissuto qualcosa permette di sentire sulla propria pelle quelle sensazioni, poi di lasciarle sedimentare nel tempo, di elaborarle e magari di raccontarlo a amici, parenti o persone che quella storia vogliono conoscere. Ecco perché la fase della scrittura è solo l’ultima di un processo che l’esperienza ha innescato e che una voce alla radio ti ha chiesto di raccontare.

    Una volta capito insieme a Tiziano Bonini che l’oggetto del nuovo programma sarebbero state le storie degli ascoltatori dovevamo solo individuare il tipo di storie e il modo in cui chiederle.

    Inizialmente abbiamo pensato di dividerle in categorie per facilitare il lavoro di chi scriveva: amore, lavoro, amicizia, infanzia, famiglia. Poi però ci siamo detti che così facendo avremmo comunque ristretto il raggio di possibilità perché la vita è sempre più complessa di come la immaginiamo e sfugge ai tentativi di catalogarla.

    Quindi la richiesta finale è stata: Inviateci un racconto che vi racconta.

    Dalla primavera del 2011 abbiamo iniziato a sollecitare gli ascoltatori a scriverci un racconto di una pagina, che raccontasse un episodio della loro vita. Uno qualunque, grande o piccolo che fosse, molto recente o che affondava nel loro passato, così da lasciare il più ampio spettro di possibilità ma restringendo la metodologia narrativa: un episodio in una pagina.

    Sono arrivate oltre mille storie. Storie che è bello e complicato leggere, perché non sono solo racconti, non sono un esercizio di stile letterario, sono pezzi di vita, privata e intima che qualcuno in qualche parte di questo Paese, in un angolo della sua casa, ha deciso di scrivere. Si è seduto ad una scrivania davanti al suo computer, o con il portatile sulle gambe, ha preso un frammento della sua esistenza e l’ha condiviso.

    Quello che resta da fare a noi, è selezionarle, renderle raccontabili in quarantacinque minuti di diretta quotidiana e contattare la persona che quella storia l’ha scritta.

    Voi Siete Qui, è un Io sono qui 2.0.

    È dire: fino ad oggi vi ho raccontato la mia storia, ora raccontatemi la vostra.

    Ma - voi siete qui – è soprattutto la scritta che si trova in calce alle mappe di luoghi complessi. Le cartine delle metropolitane, le piante degli alberghi, dei musei.

    Di solito è un puntino rosso che ti dice dove ti trovi esattamente, e come muoverti da lì.

    Ogni racconto è una minuscola presa di coscienza, un modo per osservare la propria vita da fuori, anche solo per cinque minuti, il tempo di leggere una pagina e di districarsi in quella mappa.

    Ecco spiegata la copertina di questo eBook.

    Perché nella mia ambiziosa aspirazione mi immagino che un programma e un libro come questo, mettendo insieme tutti i puntini rossi di tutti quelli che ci hanno preso parte, possa essere qualcosa di più di una semplice raccolta di storie private.

    Possa essere una mappa di questo paese, di questa epoca e delle persone che la vivono.

    Ringrazio Radio24 che ci permette di continuare a lavorare liberamente ai nostri progetti; grazie a Tiziano Bonini con cui tutti questi progetti nascono e crescono, a Stefano D’Andrea e Federico Bernocchi con cui riscriviamo le storie; a Margherita Aina (e a Viola Bottoni prima di lei) per il lavoro, complicato, di redazione quotidiana del programma, ma soprattutto grazie a tutti quelli che si sono presi del tempo e hanno raccontato un pezzo della loro storia.

    Io sono qui, e voi anche.

    Matteo Caccia

    Metà luglio. La stagione di Io Sono Qui è appena finita. Il mio lavoro da ricercatore a tempo determinato in università anche. Stiamo andando in vacanza. Io sto partendo per un trekking intorno al Monviso. Matteo se ne va su un’isola. Io Sono Qui è durato 215 puntate. In diretta, tutti i giorni. Un bell’esercizio di disciplina. Ce ne andiamo in vacanza chiedendoci se gli ascoltatori scriveranno davvero le loro storie di vita, e se a settembre ci saranno storie buone abbastanza per cominciare una nuova stagione, altre 215 puntate di un programma nuovo. Sigla nuova, suoni nuovi, storie nuove. Meglio non pensarci e partire per il Monviso.

    5 settembre. È il giorno della prima puntata di Voi Siete Qui. Nel frattempo, in estate, sono arrivate 250 storie. Si parte ad occhi chiusi, come sempre, che se ci stai su a pensare non muovi nemmeno il primo passo. Non ci siamo più fermati. A metà febbraio eravamo già a quasi mille storie ricevute. Il programma è una locomotiva lanciata a tutta velocità, ormai.

    Di questi mesi ricordo le serate barricato in casa a leggere i racconti degli ascoltatori e a scegliere un brano musicale che si potesse incastrare con essi, ma senza scadere in facili retoriche emotive, senza associazioni per parola, senza rimestare troppo nella pancia, suoni che riuscissero ad evocare, a trattenere l’umore dei racconti, rispettandone la storia. Non sempre queste associazioni hanno funzionato. Il problema è che di fronte avevo non dei testi di finzione, non delle storie inventate. Entravo in contatto con frammenti di vita di persone sconosciute, che improvvisamente diventavano temporaneamente molto intime con me, mi raccontavano i dolori (molti) e le sorprese quotidiane. Ogni volta che leggevo queste storie avevo l’impressione di essere entrato clandestinamente in un cinema dove proiettavano solo pellicole di famiglia, quei filmini privati che i nostri genitori giravano un tempo in Super8. Queste storie hanno la stessa grana di quei filmati: risalgono spesso a molti anni fa, la memoria degli ascoltatori le ha riportate in superficie, come delle pellicole ritrovate, ma le immagini sono fuori fuoco e i colori leggermente mangiati dal tempo. E come accade nei film di famiglia, così concentrati sul fermare un momento storico della vita privata di un nucleo familiare mentre sullo sfondo – in filigrana – si intravede, per caso, la Storia, anche in questi racconti, sullo sfondo, si intuisce la Storia: guerre, eventi storici, consumi culturali, icone della tv, paesaggi, fatti di cronaca, personaggi pubblici, fasi storiche. E come gli spezzoni di film privati del secolo scorso, anche queste storie hanno senso se vengono montate assieme, come un unico film, che in questo caso è la nostra mappa, o questo libro. Leggerle tutte assieme è come veder scorrere su uno schermo una micro-storia di questo Paese, che non racconta forse soltanto dove siamo oggi, ma soprattutto da dove veniamo, quali eventi ci hanno trasformato in quello che siamo oggi. Abbiamo diviso questo libro-film in capitoli tematici, anche se le chiavi di lettura per ogni storia sono più d’una. E se dovessimo fare una mappa delle parole chiave di queste storie, le parole più ricorrenti sarebbero Famiglia, Lavoro, Amore. La chimica della vita privata dei nostri ascoltatori è fatta soprattutto di questi elementi. Ma intorno a questo c’è molto altro. E sullo sfondo, anche per caso, si nota il paesaggio, questo Paese. Buona lettura.

    Ringrazio anch’io Radio24 per aver creduto in un formato radiofonico dove le parole sono importanti, contrariamente a chi crede che la radio sia solo flusso e sottofondo. Grazie a Matteo, con cui da quattro anni lavoro ogni giorno ed è ancora il mio radiofonico preferito. Grazie a Stefano d’Andrea e Federico Bernocchi per le loro storie, Margherita Aina (e Viola Bottoni prima di lei) per la loro attenta presenza quotidiana, i tecnici della radio per il lavoro di alta sartoria sonora. E naturalmente grazie agli ascoltatori, per il modo in cui hanno voluto partecipare. Voi siete qui, ora.

    Tiziano Bonini

    ADOLESCENZA

    La prima estate fuori casa (30 settembre 2011)

    Like a rolling stone – Bob Dylan

    Simone Parnetti

    Era partito per la colonia con il massimo dell’entusiasmo. Undici anni, cuore liscio e puro. La prima volta fuori casa: per pochi giorni, certo, ma senza i genitori. Solo gli amici, quelli del quartiere, poi altri che avrebbe sicuramente conosciuto. E le ragazze, finalmente le ragazze. Che per il piccolo Angiolino erano state fino ad adesso frusciare di capelli e gonne, compiti svolti assieme nella piccola biblioteca cittadina, alito di dentifricio e caramelle, guance arrossate per l’imbarazzo. E poco altro, poco più. Certamente quello che bastava.

    Pioveva ed era domenica, il giorno della partenza: Vivo d’Orcia, una casa nel bosco, quella la destinazione. Angiolino salutò i genitori sul limitare del cancello: li voleva fuori dai confini del suo piccolo sogno, ma senza essere sgarbato. Evidentemente loro avevano capito: gli passarono la sua valigetta in pelle, così seria per un bambino, e un tantino grande per quel poco di magliette, calzoni, mutande e calzini che si era portato, e lo guardarono andare lento e sereno.

    Nell’atrio della casa si assegnavano le stanze: rigorosamente divise tra gruppi di quattro persone, e dello stesso sesso. Angiolino comprese di avere ritardato, chiese il numero della propria camera – la 21 – e salì le scale in preda all’emozione: l’ideale sarebbe stato condividerla con Roberto e Tommaso, gli amici più cari, e magari con qualcuno di nuovo. O eventualmente contro il quale allearsi se antipatico. Aprendo la porta, Angiolino vide con piacere i suoi amici, in mutande e maglietta, che disfacevano le valigie sui materassi immacolati di un letto a castello, ed una terza persona, un ragazzetto di media statura, grassottello e biondiccio, vagamente asessuato, che gli si presentò timorosamente con il nome di Valentino. Roberto e Tommaso avevano occupato il letto a castello di destra, e ad Angiolino toccò l’ultimo spazio rimasto disponibile: quello in basso, nel letto a castello di sinistra. Sopra di lui avrebbe dormito il suo nuovo compagno.

    Il primo pomeriggio passò lento e abbastanza placido: sul consumato campo da tennis, i ragazzi e le ragazze avevano formate due squadre, ognuna equipaggiata di una grande coperta di lana. Si trattava di giocare una sorta di partita di pallavolo, utilizzando la coperta per afferrare e rilanciare la palla. Ed è così che Angiolino, negato per qualsiasi sport che non fosse il nuoto, si distinse in simpatia, e conobbe la ragazza dei suoi sogni: Giulia, magra e dolce. Giulia che sorrideva continuamente, anche per arrabbiarsi, che lo chiamava sempre per nome, mentre spesso anche i suoi amici più veri lo soprannominavano l’Angelo. Giulia che non sapeva pronunciare la R, e da bambina non la scriveva perché non le serviva.

    Valentino invece stava sempre solo, e le poche volte che condivideva qualche parola con gli altri, impiegava il suo tempo per dirne male. Una notte ci chiese di svegliare qualcuno dei responsabili perché stava male: Francesca, gli consigliò di bere un tè. Una tazza fumante verde bottiglia, due fette di limone che sopra vi galleggiavano tristi. Valentino inghiottiva a sorsi minuscoli, così Francesca se ne andò a dormire: magari sarebbe tornata, se necessario. Un’ora dopo il té era sempre là, e Valentino frignava: voleva tornare a casa, per rivedere i suoi genitori. E non avrebbe aspettato un minuto di più: al mattino, presto, un distinto signore dai capelli rossicci e con un occhio leggermente strabico, ed una bionda donna magra lo portavano a casa. La tazza colma di tè rimaneva sul comodino.

    Per i bimbi fu un lampo trovarsi a raccogliere la legna per il falò dell’ultima notte; di lì a poco, passato il tramonto, avrebbero cantato a squarciagola, e dopo aver danzato intorno al fuoco, si sarebbero quietati per sorseggiare una cioccolata calda. E lei, Giulia, lo avrebbe allora sì baciato: Angiolino ne era certo. Voleva solo avere il modo di cambiarsi i pantaloni, di indossare i jeans nuovi al posto di quei vecchi calzoni di velluto verde, così stretti intorno alle caviglie, che non amava poi così tanto. Ed anche Giulia aveva detto di avere in serbo una sorpresa da indossare.

    Salì le scale due alla volta: Roberto e Tommaso non erano affatto invidiosi di lui, facevano come fanno gli amici, lo appoggiavano. Lo raccomandarono di cambiarsi in fretta, e uscirono: l’appuntamento era per fuori, intorno al falò.

    Angiolino non perse un attimo: decise di accelerare i tempi evitando di togliersi le scarpe. Come tante altre volte, si sarebbe sganciato i pantaloni e, rovesciandoli, li avrebbe fatti scappare dai piedi strattonandoli con forza. Così fece: con furia, ma i pantaloni mostrarono di non voler superare l’ostacolo delle scarpe. Tirò ancora, tese poi le gambe oramai nude fino all’orlo dei calzini di spugna, e con tutta la potenza che era riuscito a raccogliere, dette una strattonata: ma i pantaloni si mantenevano immobili, sembravano incollati alle calzature, ed erano proprio i tacchetti delle suole a non dare al velluto la possibilità di scorrere. Angiolino urlò con rabbia: fuori crepitava già il fuoco, scorgeva l’ombra del letto muoversi altalenando alla luce pazza ed aranciato che penetrava dalla finestra. Provò a compiere l’operazione inversa: ri-infilarsi i pantaloni. Avrebbe tolto poi le scarpe, e finalmente i calzoni sarebbero passati con facilità. Macché: tutto era bloccato. Non andavano in avanti, non tornavano indietro. E lui sudava senza capire cosa fosse meglio fare. Se avesse avuto delle forbici li avrebbe tagliati.

    Fuori si cantava con gioia: Angiolino spense la luce premendo sull’interruttore in capo al letto. La stanza si dipinse di un arancio splendido, di voci e di immagini che parevano antiche. Per non scoppiare a piangere, si volse verso il comodino: al fulgore del fuoco, la tazza di Valentino brillava. Sulla superficie del té si formarono cerchi concentrici.

    Partito vergine (3 gennaio 2012)

    Wetsuit – The Vaccines/Heroes – David Bowie

    Eliano Bonafini

    Ho 16 anni e finalmente parto per la Svezia, sono almeno 4 anni che spero e voglio andare a fare il mio sospirato ritiro, gioco ad hockey su ghiaccio in una squadretta di Torino e la Svezia per i giocatori di hockey è come l’America per il baseball, o l’Olanda per il pattinaggio. Sono così felice che mi sembra di non avere più niente da fare qui, devo solo partire.

    Il 24 luglio a Malpensa fa caldo. Ma io lo sono ancora di più e quasi non lo sento. Sorrido, saluto i miei e mi imbarco. Il volo è tranquillo, è la prima volta che prendo l’aereo, ma è bello vado in Svezia a giocare ad hockey. Sono un 16enne in Svezia. Anzi sono un 16n vergine in Svezia.

    Arrivato a Malmoe penso: Bello anche a luglio qui fa fresco.. qui c’è ghiaccio. A hockey io sono scarso, scarso nel senso che non sono il figlio dell’allenatore, quello che ha preso la mazza in mano già a 4 anni cresciuto con il padre che vuole che tu sia già bravo a 5 anni. Mio padre pattinava e guardava le donne.. ecco perché ho imparato a pattinare.. per far colpo sulle donne. Ci penso e mi torna in mente che sono un Sedicenne Vergine in Svezia. Da Malmoe si parte per Tyringhe.. due ore di viaggio su un pulmino profumato ma scomodo, foresta.. foresta... foresta.. poi la meta, una scuola, anzi... la scuola, quella superiore di Tyringhe. Quello era il nostro alloggio, tra cartine geografiche e scritte sul muro, incomprensibili ma immaginabili.. senza capirle ho capito che siamo tutti uguali.. a 16 anni. Il bagno aveva una piccola insegna in legno con scritto sopra TOA, per assonanza con il francese ho trovato subito dove dovevo andare dopo quelle 2 ore di viaggio!

    Tutto il resto era alieno, le voci i suoni, gli odori. Due settimane di sport intenso dalle 7.00 alle 19.00 tutto il giorno corsa- ghiaccio- altletica-ghiaccio-pranzo-sauna..... autoerotismo.. ghiaccio-atletica, l’autoerotismo è durato due giorni.. fisicamente non sostenibile.

    Stavo magnificamente. È bastato qualche giorno per accorgermi che i miei ormoni rendevano tutto magico... tutto bello, tutte incredibili le donne... candide con capelli di seta e delle tette che non se ne sono mai viste".

    Le ragazze del paese, a mio avviso tutte meravigliose, si intrattenevano nell’atrio della scuola fino a tardi, i compagni di viaggio svedesi e norvegesi erano molto disinvolti ma discreti come i tedeschi e i danesi, noi italiani invece allupati e senza ritegno.

    A 16 anni pur essendo uno studente modello non si riesce a sostenere una conversazione in inglese.... Io non ero una cima a scuola quindi per me una conversazione era impossibile.

    Alla fine della mia esperienza, l’ultima sera, Annika Martinsson, bionda 17 anni sorriso che illumina, seno di granito, mi chiede di passare la sera con lei.

    Il giorno dopo tornai a casa. A Malpensa mi accolsero mio padre e mia madre. Io, il mio borsone e la mazza. Ero in Italia, avevo 16 anni ed ero partito vergine.

    AMICI

    Il menestrello (19 settembre 2011)

    Carry On – Crosby, Stills, Nash & Young

    Stefano Carlini

    Ognuno di noi potrebbe essere da qualche altra parte rispetto a dove si trova ora se solo avesse ascoltato una parte di sé che chiamava da chissà dove.

    E se penso a quando mi sono davvero imbattuto in una sliding door, allora rivado a quella fredda e soleggiata mattina di dicembre del 1989.

    Quando è suonato il telefono di casa.

    Pronto sei Stefano?

    Dico di sì, ma chiedo con chi sto parlando.

    Ma vedi che ti ho trovato, sei proprio tu! Come sono contento di risentirti. Sono Beppe. Beppe, quello dell’università. Il Riccio. Quello che camminava in equilibrio sul cornicione del ponte di via Saffi, quello che saltava sempre le lezioni.

    Avevamo fatto un solo anno in Facoltà assieme poi lui si era trasferito in una università del sud. Era simpatico ma un fiume in piena. Uno di quelli che dopo un pomeriggio insieme avevi voglia di rivederlo solo dopo una settimana.

    Gli chiedo come sta, cosa fa, dov’è.

    Compà, tuttapposto. Sto bene. Sono nella tua città. Suono la chitarra. Per strada.

    Mi racconta che da un paio di anni vive così, e che ci fa anche un sacco di spiccioli.

    Io sorrido, sussurro una cosa tipo Grande ma mi domando come sia possibile vivere di quello.

    Non si sta male, suono quattro o cinque ore al giorno. Vado nei posti turistici e mi piazzo nelle strade del centro dove la gente passeggia.

    Mi dice quanto guadagna al giorno e rimango sbalordito. Mica perché la cifra è enorme in termini assoluti, ma perché è gigantesca rispetto a quello che credevo guadagnassero i suonatori ambulanti.

    Perché non passi a trovarmi? Mi trovi in piazza. Hai presente l’orologio? Mi trovi lì sotto

    Non posso non accettare l’incontro con quella persona emersa da dieci anni prima, nel pomeriggio, salutati moglie e figlio, esco a cercarlo.

    Arrivo sotto la torre dell’orologio e lui è davvero lì che canta. All’università qualche volta abbiamo suonato assieme. Qualche arpeggio e qualche coretto azzeccato. Ma bastava per suonare dignitosamente in piazza o nelle case di amici. Ma erano gli anni dell’università. Poi la vita ha in serbo, la vita appunto: lavoro, famiglia e il lungo fiume tranquillo. Tutto apprezzabile per carità ma ora davanti a quel tizio che suonava stavo cominciando a ripensarci.

    Beppe mi vede e mi fa un cenno di saluto con un sorriso grande così. Sta suonando Helpless, un pezzo di Neil Young. Ha un giubbotto marrone che arriva alla vita e un paio di jeans. Scarpe da ginnastica e guanti senza le dita. La chitarra è sgangherata ma ha un bel suono e lui canta con un bell’entusiasmo. Una decina di persone è ferma ad ascoltarlo, qualcuno batte le mani e altri, incredibilmente, mettono dei soldi nella custodia della chitarra.

    Gli sorrido anche io di vero piacere e mi metto ad ascoltarlo.

    Quando finisce il brano mi viene incontro e mi abbraccia. Ha ancora tutti i suoi ricci e glieli arruffo. Sono contento di rivederlo. Ci stringiamo fortissimo. Poi lui riprende a suonare. Prima Dylan e poi James Taylor, repertorio classico, in un inglese un po’ biascicato ma che rende bene. Il pomeriggio di dicembre è buio ma allegro. Qualcuno addirittura canta con lui. Poi attacca con Our House, di Crosby Stills e Nash. Era il nostro cavallo di battaglia quando giocavamo a fare i cantanti. Non resisto, mi guardo in giro, controllo se qualcuno mi conosce e mi unisco a lui. In un attimo spariscono dieci anni e sono ancora con lui a fare l’hippie. Ogni tanto passa qualcuno che mi conosce e mi saluta con la mano. Chissenefrega. Finito il brano mi prendo anche io qualche applauso e mi accomiato.

    Ci diamo appuntamento per cenare insieme, davanti ad una birra mi racconta di un anno come dipendente in una azienda di Milano e della fuga per riprendere il controllo della sua vita. Poi le giornate senza padroni, le canzoni nelle piazze, le ragazze che si innamorano di lui.

    Mi colpisce nel cuore e nell’anima. E soprattutto nella fantasia. Sono trafitto ovunque. Voglio andare con lui. Lui mi prende in giro, mi ricorda che ho un lavoro, moglie e un figlio. "La mia è

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