Vykzoppy Il ghiozzo testone, la mia cucina e altre storie
By Vykzoppy
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Vykzoppy Il ghiozzo testone, la mia cucina e altre storie - Vykzoppy
Fine
VyKZOPPy
Il ghiozzo testone, la mia cucina ed altre storie
Entrai nell'autosalone come sempre di fretta, con la posta in mano da consegnare ed una raccomandata da far firmare all'impiegata antipatica e indolente che, come al solito, mi avrebbe fatto aspettare più del dovuto, indaffarata com'era tra telefonate e maree di documenti da sbrigare. Fu così che mi accorsi delle due donne che poco più in là disquisivano di buffet e di cucina. Ma quello che mi colpì maggiormente fu la bellezza straordinaria di una delle due. Doveva avere più o meno la mia età, sui trentacinque o giù di lì, elegantissima nella sua estrema semplicità, alta quanto basta, formosa altrettanto ed il volto.... il volto di una perfezione assoluta, gli occhi, il naso, la bocca, i capelli, e la voce...la voce morbida, vellutata, senza inflessioni dialettali, senza la classica raucedine delle fumatrici, che il sottoscritto riesce ad individuare al primo monosillabo.
Parlava e la sua voce era impregnata di armonia e ottimismo, quasi a voler gridare a tutto il mondo che non ci sono solo le brutture e le cattiverie, quasi a voler dire che esistono la bellezza e il benessere là dove non te l'aspetti, e che chiunque, anche un comune mortale come me poteva bearsene, appagando contemporaneamente la vista e l'udito. Ma era comunque una donna, ed io a quei tempi me la giocavo anche col padreterno, che possa perdonarmi, e quindi, con la sfrontatezza che mi contraddistingueva in quel periodo, non mi parve vero intromettermi nella loro discussione.
Di che cosa parlavano le due fate? Ma di cibo naturalmente, ed in particolare l'oggetto in questione era nientepopodimeno che il filetto alla Wellington
.
Va fatto così, no va fatto cosà, ci si mette quell'ingrediente lì, no, ci si mette quello là.....
Ci si mette il patè de fois gras
intervenni, che è pure una schifezza
aggiunsi, quello che faccio io invece non ha paragoni in quanto a bontà ed in più salvo le penne a quelle povere oche
.
Lei cucina?
Musica per i miei timpani.....Il mio ego si esaltò alla pari della mia maleducazione. "Sono il miglior cuoco che esista nel giro di venti chilometri e sarò lieto di cucinare il mio filetto a lei personalmente e a nessun altro, possiamo fare stasera, o domani, o dopodomani, sarò il suo cuoco personale per tutta la vita e cucinerò solo per lei se lo vorrà oramai sono solo suo.
La sua risata riempì di allegria l'immenso salone, Che cretino, ma veramente sa cucinare così bene?
Qualsiasi cosa che lei desideri io sono in grado di farla, Vittorio per servirla, cuoco, gourmet e per sopravvivere all'ignoranza dei miei simili postino in questo posto infame. A proposito, quale nome porta la dea con la quale sto conferendo?
Sono la moglie di quel signore lì
ed indicò il proprietario dell'autosalone che si stava avvicinando. Il cretino che vive in me si esaltò alla grandissima, Vabbè, non sono geloso, la mia proposta e' sempre valida my dearling.
La fata rise divertita:Se e' tanto bravo quanto cretino lo assumo subito.
Il marito arrivò incuriosito:Posso ridere anch'io se e' permesso?
Abbiamo trovato il cuoco, ce lo avevamo sotto gli occhi e non lo sapevamo, il signor Vittorio dice di saper cucinare qualsiasi cosa gli si chieda, io direi di metterlo alla prova..
Fu l'inizio.
Superai la prova, poi ne vennero altre, poi altre ancora, poi altra gente, altre prove.
Tutta la mia vita, le mie esperienze, i trucchi, le tradizioni tramandate, e poi ancora le innovazioni, gli esperimenti, le intuizioni poterono, grazie a quella prima volta, diventare cosa reale, cosa viva, diventarono gusto, divennero festa, convivio, banchetto, applausi a volte, vita.
Ma chi deve ringraziare il mondo per l'esistenza di VykZoppy? La mamma innanzitutto. Be' certo direte voi, la prima influenza in qualsiasi campo della vita e quindi anche in cucina parte sempre dalla materna genitrice. e qui casca l'asino. Mia madre e' sempre stata la negazione totale della buona cucina, non gliene frega e non gliene e' mai fregato niente di gusti, di soffritti e di tutto quello che per lei significa solo tempo perso. A lei il cibo serve solo per alimentarsi e basta e così si e' comportata coi suoi figli, propinando loro quotidianamente lo stesso pastrocchio, la stessa pasta scotta con una salsa di pomodoro che voleva dire appunto due pomodori buttati li con un poco d'olio tanto per non far attaccare la casseruola e nient'altro. E qui entrano in ballo i Terroni. Non si offendano tutti coloro che appartengono a questa categoria, anche il sottoscritto ne fa parte per buona parte (nota il gioco di parole). Io amo i Terroni (e le Terrone) quanto i Polentoni, dei quali anche il sottoscritto fa parte per buona parte (rinota il gioco di parole) . Dunque dicevamo, i Terroni appunto. Da bambino e sino all'età adulta abitavo coi miei in una palazzina di sei appartamenti due dei quali erano abitati da famiglie di provenienza Terronea e si sa che questa gente col cibo non scherza. Abitavamo al terzo piano mentre le famiglie in questione abitavano il primo ed il secondo. Quando arrivavo a casa prima da scuola e poi dal lavoro avevo una fame bestiale in corpo, di quelle che mi sarei mangiato un cane che passava per la strada. Entravo nel portone d'ingresso e quelle povere mura traspiravano di sughi, e di arrosti, di rosmarino e di finocchietto, gli umidi, a volte di pesce a volte di carne ti entravano nelle narici e quando si dice che ti viene l'acquolina in bocca ecco, io ho veramente!!!!!! provato quell'esperienza. Salivo quelle scale illudendomi tutte le volte che quei profumi arrivassero da casa mia, poi giunto davanti alla porta di casa niente, più niente. Entravo e mi aspettava il pastone, il pastone di mamma Rina. Fu così che, giunto all'età della consapevolezza, decisi che se volevo sopravvivere avrei dovuto imparare a cucinare io. Ma entriamo nel vivo delle mie esperienze. A quindici anni,dopo la mia prima bocciatura alle superiori fui spedito a lavar bicchieri per una estate nel ristorante di un amico di famiglia, un certo Bi, che dovrebbe credo significare Albino. Che si dimostrò, al contrario di quello che pensavo, persona di grettitudine, avarizia ed ignoranza senza pari. Assieme alla sua degna consorte, un donnone informe pur nell'ancora giovane età e di rara insulsaggine fui taglieggiato e molestato e ripreso e rimproverato giorno dopo giorno quotidianamente, con orari disumani, dalle sei e trenta a mezzanotte con pausa di un paio d'ore pomeridiane, che mi servivano, poveretto, a recuperare un minimo di forze mentre i miei coetanei se ne stavano beatamente a godersi il mare della nostra Sestri Levante. Ma nel posto in questione, il Brigantino
per la cronaca, dal male di un'estate allucinante ne scaturì il bene dell'apprendimento delle prime nozioni che tuttora mi porto dietro. Oltre a lavar bicchieri, (cribbio, si rompevano con una facilità impressionante, chiaro che costassero niente e fossero di pessima qualità) il buon (per modo di dire) Bi penso' bene di farmi fare altre varie cosette tipo: scopare e lavare quotidianamente i pavimenti di sala e cucina, tener lustro il bancone, lavare ed asciugare pentolame, piatti e posate, spellar patate........qui ti voglio, spellar patate dunque, affettare pomodori, eviscerare acciughe e metterle sotto limone, tagliare le suddette patate a bastoncino, o a cubetti a seconda della necessità, eviscerare e squamare altri tipi di pesce, tritare verdure per i vari soffritti. Uscii da quell'esperienza distrutto nel fisico e nel morale, ma inconsapevolmente acquisii quella manualità e quella dimestichezza che rimangono tuttora per me un bagaglio indispensabile.. Le acciughe al limone, per esempio. Le mettevo, dopo averle pulite, in conche di plastica verde, ricoperte di succo di limone. L'indomani mattina le asciugavo e le sistemavo a strati in quei piatti ovali e lunghi che qui chiamiamo fiammanghille, uno strato, un giro d'olio, un giro di sale fino, un giro di aglio a lamelle sottili e un giro di origano e cosi' via, sino a che la fiammanghilla non era colma. Sara' per quelle acciughe, o per quell'olio, o per quell'origano, o per quelle fiammanghille, o per le mie papille gustative, allora semivergini, ma quel sapore, quel gusto ricco e fine nello stesso momento, quelle sensazioni non sono più riuscito a provarle, e sì che di pesce marinato ne ho prodotto in vita mia. Ma tirem innanz, come disse il povero Amatore Scesa.
L'estate dopo fu la volta del grand hotel Villa Balbi
. Fui assunto come comis ai vini, .....tutto fuorchè parlare di cucina direte voi.....ma anche qui per mia fortuna la Provvidenza ci volle mettere lo zampino. Il capo brigata di cucina era uno chef piemontese, anziano e severo, ma sopratutto amante del buon vino. La lista dei vini, siamo negli anni sessanta, non era certo paragonabile a quella che potrebbe essere oggi la lista di un quattro stelle lusso. Mi ricordo sì e no una trentina di etichette tra bianchi e neri, fra le quali rossi come valpolicella Bertani, Bolla, Chianti Rufina, i piemontesi Barbera Barbaresco, Dolcetto ecc di Fontanafredda e nei bianchi il Cinque Terre, l'Orvieto, il Verdicchio, il Gavi, il Soave e poco altro. La clientela straniera era formata per lo più da famiglie tedesche e americane. Capii quasi subito che queste persone non distinguevano un lambrusco da un barolo e un bel giorno feci la seguente prova: Presi una bella bottiglia di nebbiolo di Fontanafredda, ordinatami in sala da un tedesco appunto, la stappai con cura, ne travasai il contenuto in una brocca e la riempii del vino rosso contenuto nei bottiglioni riservati al personale, un cancarone leggermente abboccato presumo di qualche vinaiolo locale.
Rimisi a posto per benino la bottiglia col suo bel tappo e copritappo colorato e la propinai al malcapitato cliente. Che come avevo previsto ne approvò ed apprezzò molto il contenuto, non mancando di rilasciare lauta mancia a chi lo aveva consigliato con cotanta maestria. A quei tempi non bevevo praticamente mai vino se non un poco di spumante in qualche rara occasione e in quali mani e poi gola finì dunque il contenuto della brocca fraudolenta? Ne feci dono infingardamente e ruffianissimamente al caro chef capopartita prima nominato, il quale sapeva benissimo!!!!!distinguere un lambrusco da un barolo. Con donazioni quotidiane di quel genere divenni subito un secondo figlio per lui. Il quale mi ringraziò in due modi. Imbibinandomi (termine prettamente levantino, significa ingozzare, da bibin
, tacchino, il quale viene sapientemente ingozzato prima delle feste natalizie) di ogni prelibatezza ed insegnandomi a puntino ogni piatto che usciva dalla sua cucina. Fu così che mi ritrovai, ancora adolescente, ad avere in testa e nelle mani quella trentina di ricette base che ancora oggi sono indispensabili alla mia attività. Poi vennero i pescatori. Attenzione, non i commercianti. A questi basta vendere, e la loro ricetta e' sempre la stessa, o in umido con aglio e prezzemolo, e lì ti propinano qualunque schifezza, o al forno con patate, e lì ti succhiano il sangue manco fossi andato dall'orefice. A Portobello, la piccola baia angolo di paradiso in Sestri Levante, ho avuto la fortuna di conoscere una miriade di personaggi fiabeschi che oramai sono purtroppo quasi tutti ricordi. Paladin, Cesarin Ciuffardi, un altro Cesarin, il Comandante, Ragheta,
u Lima, Tessier, Poulin, Paciara, ed altri di cui non ricordo il nome. Per ogni tipo di pesce che passava sotto i loro occhi c'era un modo per cucinarlo, e spesso entravano in contrasto tra loro, ed ognuno era convinto che il suo modo era quello giusto.
E hai provato così? Diceva uno,
e così invece? faceva l'altro. Magari in cucina non toccavano una busca, come si dice dalle nostre parti, ovvero la cucina era esclusivo appannaggio della moglie, ma la donna si sa cucina per dovere, mentre il maschio tutto si magna per piacere. Ma più d'ogni altro uno dei miei insegnanti riservati e privilegiati fu Giaci, pescatore da canna e mio vicino di casa. Ogni volta che comperavo qualcosa la facevo passare in rivista a quell'uomo dalla pelle increspata di salsedine, ligure ma di origini istriane, e immediatamente partiva il modo, il come, l'accorgimento, il segreto, che rendeva quel pesce, quella carne, quella verdura o quant'altro una portata unica, un cibo straordinario. I suoi occhi si illuminavano e con le mani grandi e ruvide mimava il gesto ora del mescolare piano, ora dello sbattere veloce, e la voce si impastava, come se il ricordo di quel cibo fosse diventato realtà nelle sue fauci. Un esempio di tutto questo è la ricetta sul ghiozzo testone. Un pesce straordinario, forse il pesce più buono che esista nel Mediterraneo, introvabile sui banchi del mercato, dono per pochi, ricchi esclusi, di chi bambino o anziano si mette lì tra gli scoglietti quando il mare è in burrasca, e tra la schiuma bianca del bagnasciuga, con cannetta da fondo e lamo innescato di patella, ne tira su a bizzeffe, che vengono lì a ripararsi dal mare grosso. Ricordo uno specialista di tale pesca, un certo
Pancera", che non appena burrascava arrivava in baia vestito di tutto punto, con stivaloni, cesta a tracolla e canna da fondo, e parlava a voce alta con chi stava a guardarlo e tirava su con soddisfazione, questo pesce grigio a forma di siluro che subito veniva celato nella cesta e avanzava a volte, come per cercare la tana giusta, e qualche maroso quasi lambiva l'orlo degli stivaloni e lui si ritraeva un pochino, e poi riprendeva la posizione, e noi che stavamo a guardarlo e ci ritraevamo anche noi, partecipi insieme a lui di quell'avvenimento, e quasi come lui sentivamo lo scrollone forte del buon ghiozzo incredulo, che arrivato per ripararsi trovava invece la