Vivere la Bhakti
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Book preview
Vivere la Bhakti - Renzo Samaritani
Sono nato a San Lazzaro di Savena, e mio padre sposò impulsivamente una ragazza tedesca, Helga Schneider, che aveva una travolgente passione - scrivere. Lei scriveva già molto prima d'incontrare mio padre, e mise da parte la sua creatività letteraria solo temporaneamente, durante i primi tempi del matrimonio e poi per la mia nascita.
Mio padre era un grande uomo proprio nella sua rara onestà, nella sua semplicità limpida. È morto per un cancro ai polmoni, non mi dilungo a descrivere il calvario di nove mesi di sofferenza e atroce agonia. Forse, se posso permettermi quest'affermazione, mio padre e mia madre, a causa della loro quasi abissale diversità per provenienza, lingua, cultura e mentalità, non avrebbero dovuto sposarsi. Lo affermo in un senso affettuoso, lucido, senza malignità. La loro diversità era così manifesta che presto creava fra loro una barriera, che finiva con il dividermi psicologicamente da mio padre.
Mia madre è una creativa nata, e durante il matrimonio, questa tendenza è emersa prepotentemente, prima con la pittura, poi con la scrittura, suscitando le vive proteste dei parenti. Volevano vedere in lei la moglie ‘senza grilli per la testa’, e invece è rimasta ‘la straniera’, quella che s'illudeva di essere un'artista. La famiglia di mio padre era numerosa e per questo motivo non tutti i figli poterono ricevere un'ottima istruzione. Alcuni di loro andarono presto a lavorare, come mio padre, che a quattordici anni ha cominciato a fare l'aiuto-cameriere in vari ristoranti.
I contrasti fra i miei genitori sono cominciati quando mia madre ha ottenuto una rubrica sul ‘Carlino’, costringendola spesso a uscire di casa e talvolta anche in compagnia del fotografo Ferrari, che ha suscitato la più dura opposizione di mio padre. Lui voleva che lei smettesse, e la sua famiglia spingeva sull'acceleratore, aggravando i conflitti fra i miei genitori. Mia madre non intendeva accettare il veto di scrivere articoli sui giornali, e anche romanzi. Ricordo che in pochi anni ne ha realizzati almeno tre, tutti rifiutati dagli editori. Ma alla fine ce l'ha fatta e oggi è una scrittrice affermata.
Mio padre si chiamava Elio e le sue aspettative della vita si limitavano ad avere una moglie e dei figli, insomma, una famiglia. Fumava fin da ragazzino, e fumava moltissimo, troppo, e questo forse in età matura gli è stato fatale. È morto troppo presto e forse, se fosse sopravvissuto, nell'età anziana, quando si smussano gli spigoli dei caratteri, lui e mia madre avrebbero trovato un nuovo modo di volersi bene e capirsi a vicenda, e oggi sarei felice di poterli frequentare e proteggere. Ma la vita ha voluto altrimenti.
Cominciò così il calvario di Elio: radioterapia e diversi cicli di chemiometria con i soliti, brutali, terrificanti effetti di tossicità: nausea, astenia, perdita dei capelli, valori del sangue sconvolti. Graduale decadimento morale e fisico. Crescente dolore. Qualità di vita disumana. Quando si ammalò, mio padre aveva quarantasette anni. Aveva sempre fatto esercizio fisico, aveva un corpo forte e allenato. Nove mesi di malattia lo ridussero a una larva d’uomo. Dopo l’intervento della biopsia aveva detto: Se scoprono qualcosa di brutto non ditemelo mai.
Mia madre non glielo disse e finse, per tutto il tempo della degenza. Gli ripeteva che aveva una forte anemia, ma che le cure l'avrebbero lentamente guarito. Lo accompagnò, mentre entrava e usciva da tutti gli ospedali di Bologna, fino alla morte. Ne aveva la possibilità, perché l’azienda per la quale lavorava era fallita.
Elio trascorse il periodo finale della malattia all’ospedale Maggiore. Devo dire che c’erano medici meravigliosi, non permisero che mio padre fosse distrutto dal dolore. Mia madre trascorse al suo capezzale molte notti. ‘Fare la notte’ all’ospedale è faticoso, sfiancante. Si sta seduti su una sedia e il tempo sembra fermo.
Un giorno tornò a casa per fare la doccia e preparare il solito cambio di biancheria per lui, quando suonò il telefono. Se n'era andato.
Fin da ragazzino avevo la passione per le radio private e mia madre, allora giornalista locale e ora nota scrittrice internazionale, conduceva una trasmissione nella prima radio di Bologna quand'ero bambino, e già avevo un microfono davanti alla bocca.
Si chiamava RBN Radio Bologna Notizie e nacque nel 1975 per merito del signor Tarantini, un radioamatore solitario e ingegnoso che aveva installato un’antenna e trasmetteva musica da una vecchia villa diroccata sulle colline della Croara. Il luogo lo chiamavano la casa degli spiriti; indizi di messe nere e pratiche religiose proibite spuntavano bruciacchiate tra i ruderi e le erbacce: era la sede di RBN.
Dopo le prime trasmissioni piratesche, si spostò più in basso nella canonica di una chiesa, sempre alla Croara. In seguito trasferì gli studi di trasmissione nel centro di Bologna. Diversi anni dopo Radio Bologna Notizie non esisteva più; ma riaprì poi, in piccolo, con il nome di Kappa Radio, di proprietà di un noto cantante/pianista bolognese (Ezio Landini) e del suo socio (Nerio) proprietario dell’allora ‘American Bar’ di Strada Maggiore: ero solo un ragazzo, eppure già Direttore di una stazione radiofonica (Kappa Radio, appunto).
Nel frattempo mia madre passò dalle prime radio della città alle prime televisioni e in particolare ricordo con affetto Tele Città canale 58 UHF, con sede in Via del Pratello, dove feci il cameraman per mesi e mesi con instancabile passione e dalla quale passarono personaggi che ora sono morti o