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Che te ne fai di un cielo senza stelle?
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Che te ne fai di un cielo senza stelle?
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Che te ne fai di un cielo senza stelle?

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Che cosa diavolo fai se scopri che il tuo fidanzato va a letto con un altro uomo conosciuto in palestra?
E cosa pensi di quelli che ti chiedono rispetto mentre “WhatsAppano” con altri uomini?
E’ giusto, nella vita, non dare seconde chance a nessuno?

Questi sono i dubbi di Valerio. Di Valerio Falabella, un ragazzo romano che dal giorno alla notte perde tutto. Ma proprio tutto. Tranne la dignità, le sue dieci (assurde) regole per affrontare la vita e una mamma di troppo. Non si arrende e, per dimenticare il grande amore, cambia città, lavoro e amici. Nel frattempo twitta, chatta e passa il resto dei suoi giorni a cercare un “nuovo” grande amore. consapevole che oramai in amore non vince più chi fugge, ma chi è online su WhatsApp e non risponde. Riuscirà Valerio a sfruttare la preziosa combinazione di bella presenza e faccia da culo per rimettersi in gioco nel mondo del lavoro, evitando di finire a letto con le persone sbagliate?

Alessio Poeta, dopo aver scritto per molte riviste di costume e cronaca rosa, tenta il colpaccio con il suo primo romanzo “fuxia”. Nato nel 1986, vive a Roma da solo e passa il resto dei suoi giorni a cercare uomini, disposti a mantenerlo senza nulla in cambio.
LanguageItaliano
PublisherAlessio Poeta
Release dateNov 26, 2014
ISBN9786050338706
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    Che te ne fai di un cielo senza stelle? - Alessio Poeta

    davvero.

    1 CONFESSIONI

    Sbababam. Suona il citofono. E, come da copione, ogni volta che qualcuno citofona, mi cade la cornetta. Da sola.

    «Chi è?» esclamo ad alta voce, mentre con tutte e due le mani cerco di recuperare la cornetta suicida.

    «Siamo noi!»

    Che poi: che glielo chiedo a fare? Il mio amministratore ha fatto spendere duecento euro a famiglia per un videocitofono che farebbe invidia anche a Paola Ferrari.

    «Salite. Primo piano a sinistra». Particolari che potrei anche evitare di dire a chiunque. Soprattutto quando dietro quel «siamo noi» si nascondono: Marco, Gaya, Alex, Monica e Pamela. I miei migliori amici. I miei compagni di sventura. Le mie certezze a qualsiasi ora della giornata.

    Apro la porta ed entrano uno alla volta, come soldatini, con delle facce da funerale.

    «Scusate, ma quello tradito non sarei io?»

    «Si, ma a noi dispiace. Chissà come starà anche Michele. Noi, in fondo, gli vogliamo bene». Ecco. Questo è Marco. Il mio migliore amico di sempre, che non perde mai occasione per stare zitto. Che poi nella vita di tutti i giorni lui non parla mai. Ma appena parla, sbaglia. Almeno con me.

    Gaya, per evitare che io potessi ucciderlo con il maneki neko senza pile, ne approfitta subito per fare un appunto sul mio angolo cottura.

    «Come fai ad avere la cucina sempre così pulita? Guardate che lavello luminoso».

    «Gaya, ti risulta che c'è mai una sera che io mangio a casa?»

    «Si lo so, ma magari Michele mangiava a casa».

    «Si Gaya. Mangiava a casa mia, ma non con me a quanto pare».

    «Scusami, non volevo».

    Non capisco perché continuano tutti a nominare il suo nome invano. Io quel nome non lo voglio sentire. Quel cognome da ieri non lo voglio più leggere neanche sulle etichette dell'omonima birra. Ma a quanto pare dovrò ancora aspettare un bel po’.

    «L’hai detto a tua madre?» mi domanda Monica.

    «Si. Ma era meglio se non lo facevo».

    «Come mai?»

    «Perché mia madre, anche davanti l'evidenza, pur di non dare ragione a me la da agli altri. Dice che se lui mi ha tradito avrà avuto i suoi buoni motivi, e mi ha anche detto che secondo lei io sono poco passionale. Capite? Quella che sta parlando non è quel pachiderma della mia vicina, ma mia madre».

    «Ma sai com'è fatta. In fondo ti vuole bene» mi ricorda un silenzioso Alex.

    «Si Alex, ma proprio in fondo in fondo».

    Per spezzare quel clima da fine del mondo provo ad offrire un caffè. «Chi prende un caffè Nespresso?»

    «Io».

    «Io».

    «Io»

    «Io».

    «Io»

    Ecco: in questi momenti un disgraziato come me vuole morire. Il totale economico di cinque caffè Nespresso mi avrebbe permesso di comprare due terzi della Polinesia. Ma si sa: "ostentare benessere anche quando sei un poraccio rientra tra le mie dieci regole. E quella dell'ostentazione batte pure quella di mai carboidrati dopo le 21." Che è di gran lunga più originale rispetto a quelli che dicono fino alle 18.

    «Posso farli io i caffè? Vi prego!» chiede Pamela, mentre si diverte a frugare tra le capsule colorate.

    «Che cialda volete?»

    «Pamela non si chiamano cialde. Si chiamano capsule» precisa subito Alex.

    «Va beh, chi se ne frega. Scelgo io per tutte: oro come George Clooney».

    «Volluto» precisa Alex.

    «Che fai l'esperto? Per me è oro».

    «Sai, lavoro proprio per la multinazionale che ti sta permettendo di poter scegliere quale tra i duemila caffè fare».

    Mentre le due prime donne, una vera e l'altra quasi, battibeccano, io ho un unico pensiero: come cazzo faccio a dimenticarlo? Si, dimenticarlo. Perché io non voglio fargli la guerra. Non voglio fargli le macumbe come ho fatto al mio ex direttore. Io voglio scordarmi di lui, di quello che ha fatto e di quello che non mi ha mai fatto ma che io speravo mi facesse. A placare i miei pensieri uno strillo. È Pamela.

    «Oddio, ho rotto la macchinetta»

    «Macchina, si chiama macchina!» ribadisce Sapientino junior.

    Io invece voglio morire. Di nuovo. Oltre al cuore, pure la macchina del caffè si è rotta. Che poi, prima che ritroverò lo scontrino per la garanzia, quest'ultima scadrà senza troppi dubbi. Ma in parte tiro pure un sospiro di sollievo. Posso tirare fuori la moca con il caffè dell'Eurospin. In questa casa tra il mio ex, qualche suo amante e i vari pellegrini alla ricerca di benedizione, tutti volevano il caffè. Mai una volta che qualcuno diceva: «No, preferirei dell'acqua» Mai. Oddio l'ho detto. Ho detto quello che mai avrei voluto dire. L'ho chiamato come non avrei mai voluto chiamarlo. EX.

    «Ed ora cosa faccio?» chiede Pamela ancora incredula del grave danno fatto.

    «Lascia stare Pamela ci penso poi io».

    «E il caffè?»

    «E il caffè ve lo prendete poi al bar. Non siete venuti qui per consolarmi?»

    Pamela è forse la mia migliore amica. Ha trentotto anni ma per tutto il silicone che si è messa qua e la ne dimostra almeno quarantotto. È un’ ex letterina ed oggi si spaccia come fashion blogger per andare ogni tanto in qualche salotto pomeridiano. Non si arrende. Ed è per questo che io la amo. Non la pagano e lei continua ad andare. Imperterrita. È l'amante di un senatore di centrodestra che le promette da una vita un programma tutto suo. Peccato che il programma servirebbe prima al suo partito, ma questa è tutta un'altra storia. Lui ovviamente è sposato con una nota giornalista di mamma Rai che non lascerà né ora né mai. Soprattutto per Pamela.

    Ci sediamo tutti e cinque sui due divani di Ikea. Entrambi due Klippan. Tanto carini quanto scomodi. Ma costavano talmente tanto poco che erano così perfetti per iniziare ad arredare casa. Mentre su Canale5 inizia una nuova puntata di Uomini e donne, io inizio a parlare di quello che è successo realmente l'altra sera.

    Lui era uscito per andare in palestra come ogni sacrosanta sera. Di norma ci restavo male, perché lui andava non appena io rientravo a casa. Era sempre la stessa storia: io entravo e lui usciva. Ma poco importa. In fondo io ci resto male per ogni cosa. Volevo farmi una doccia rilassante e allora mi sono diretto in camera da letto. Li c’è il dolby surround accompagnato da un filo lungo e nero che, se inserito nell'iPhone, riproduce la mia musica. La mia libreria musicale. Era una cosa che facevo sempre. Mentre passavo il folletto, mentre cucinavo e mentre facevo l'amore. Si, perché io, da romantico passionale quale sono, non accendevo le candele ma almeno alla musica non ho mai detto no. Spaziavo a seconda dell'entusiasmo della serata. Passavo dalla musica classica ai disco remix di Amanda Lear. Quella sera però vicino al solito filo lungo e nero, c'era l'iPod. Quello che mi costò un sacco di soldi quando glielo regalai. Volevo fare lo splendido in un giorno come tanti. Gli piaceva. Ero con lui. Disse «quanto lo vorrei» ed io, avendo letto il prezzo, ovviamente sbagliato, glielo presi. Peccato che al momento del pagamento stavo per lasciarci le penne. Per la cronaca avevo letto il prezzo di un mp3 nano che era intorno a 19,90€ contro i 190€ da me sborsati.

    Vedendo quell'iPod pensai: «magari stavolta cambio musica e ascolto qualcosa di nuovo». Non sono mai stato democratico con il prossimo sulla scelta delle playlist. Ma quella sera avevo bisogno di cambiare e di sentire realmente qualcosa di nuovo. Tolsi velocemente il blocco tastiera e mi si aprì la stessa home di un’iPhone. Non capivo bene. Non ci avevo mai smanettato e onestamente mi sembrava così strano che ci fossero le stesse icone del mio cellulare. Ho anche improvvisamente giustificato tutti quei soldi spesi. Peccato che prima di cliccare l'app in basso a destra, quella con scritto Musica, il mio dito si fermò sulla prima applicazione , quella dei Messaggi.

    C'è da sapere che sempre, tra le mie dieci regole, alla numero quattro spunta quella del FATTI I CAZZI TUOI PERCHÉ POI COME SEMPRE CI RIMETTI TU. Ma in quel momento le mie regole, i miei comandamenti e i miei credo si erano andati tutti allegramente a farsi fottere. Mi batteva forte il cuore. Come se stessi facendo qualcosa di proibito. La più grande trasgressione dell'ultimo secolo. Come se lo stessi tradendo. E in effetti lo stavo facendo. Avrei tradito la sua fiducia. Ma, in fondo, la cartella messaggi poteva essere anche vuota. Che ne sapevo di cosa avrei potuto trovare? È pur vero che sull'app c'era riportato un 1. In rosso. Come ad indicare un messaggio da leggere, ma magari poteva essere un normale avvertimento del gestore della scheda. Che poi mi chiesi: ma quale scheda? Questo non è un cellulare. È un finto iPhone che deve solo ed esclusivamente riprodurre musica. Senza se e senza ma. Tutto sudato mi alzai e andai a chiudere la porta del salone con due mandate. Così, se fosse rientrato per sbaglio, avrei avuto il tutto il tempo per bloccare di nuovo la tastiera. Tornai vicino a quell’iPod e a quel maledetto filo lungo nero. Cliccai su messaggi e mi si aprì un mondo. C'era tutto. Ma proprio tutto. Tutto quello che non avrei mai voluto vedere. Nomi di uomini. Tanti. Troppi. Quasi tutti sconosciuti e poi c'era anche il mio nome. Ma quasi in fondo. Perché con me non usava mai IMESSAGE ma solo WhatsApp. In quel momento, ancor prima di trovare il coraggio di aprire il contenuto di quegli sms, ho pensato che forse sarebbe stato il caso di chiudere l'acqua della doccia. Erano dieci minuti buoni che usciva acqua bollente e i vapori erano arrivati fino a casa della vicina che, stranamente, ancora non si era sentita. Il primo nome delle lista era Mattia. Dopo il nome c'era una strana emoticon gialla. Una bocca col sorriso stretto e cucito. Ci cliccai sopra e dal basso verso l'alto lessi: «Amore mio, arrivo. Aspetto lui, saluto e ti raggiungo»

    Li mi prese un colpo. Non tanto per l'amore mio. Perché noi gay riusciremmo a chiamare amore anche Benito Mussolini. Mi prese un colpo per quell’ «ASPETTO LUI». Lui chi? Io ho un nome. Un cognome e sono pure il suo compagno, nonché il suo convivente. Il messaggio che lo precedeva veniva da Mattia. Gli chiedeva se doveva aspettarlo stasera al solito posto. E nella cronologia dei loro sms il solito posto veniva nominato spesso. Quale sarà mai stato questo solito posto? Chi è Mattia? Perché non l'ha mai portato a casa? Perché non me l'hai mai nominato?

    Salgo nella cronologia e ci sono infiniti messaggi di buongiorno. Duemila botta e risposta a suon di dolce notte. Roba che a me non mi ha mai inviato neanche nei primi mesi di love story.

    Ciao amore mio ti penso. Ciao amore mio vado a fare la spesa. Ciao amore ti aspetto a casa. Ecco, quando ho letto ti aspetto a casa sono ufficialmente crollato. Ho passato venti minuti a capire se quel messaggio l'aveva inviato Michele piuttosto che Mattia. Sfondo grigio o sfondo blu? Il blu è Mattia? O è Michele? Non potevano esserci da una parte quelle inviati e da una parte quelli ricevuti? Un po’ come si faceva con il buon Nokia 3210, no? 

    Spulciai tutto e lessi attentamente ogni singolo messaggio. Ed io non ero mai nominato. Anzi si. Ecco che il mio nome spuntò fuori. «Lui è andato a farsi i capelli dalla mamma. Starà fuori un'ora. Ce la fai a passare a casa?».

    Precisiamo una cosa: così passo pure da sfigato. Mia mamma ha lavorato per anni da Aldo Coppola, e non fa i capelli a casa se non al qui presente. In più mia madre mi rasa solo i capelli avendo una boccia perfetta. Ma quello che mi uccise in quel momento fu la risposta di Mattia. «Cinque minuti e sono da te». Il cuore mi batteva forte. Pensavo di svenire e di collassare con l'iPod in mano. Sudavo. Mi veniva da vomitare. L'aria mi mancava, ma quella era tutta colpa dei vapori.

    Non solo mi tradisce con Mattia, ma pure dentro casa mia? No. No. Vorrei buttarmi dal mio balcone, ma sono al primo piano e male che vada, mi romperei un piede ed ora quel piede mi servirà come minimo per prenderlo a calci nel culo. È finita la cronologia dei messaggi con Mattia e dietro gli altri nomi di maschi sconosciuti ci sono messaggi semplici, con le solite domande e con le solite risposte secche. «A che ora ti alleni?», «vieni in palestra oggi?»

    La risposta era quasi sempre la stessa: «dalle 20 in poi».

    Per lui la palestra era un chiodo fisso. Io non mi capacitavo. Sudare e faticare erano due cose alle quali non poteva rinunciare. E lo credo bene. Io, in piedi, piego almeno 8 ore no stop maglie, jeans e camice da Zara. Lui sta tutto il giorno seduto in ufficio con l'aria condizionata e con Facebook aperto dalle 09 alle 18. Pure nell'ora di pausa pranzo resta davanti al pc. In sintesi, gestisce i contratti di alcune soubrette della tv e si preoccupa della loro retribuzione.

    Finiti gli sms non sapevo cosa pensare. Dopo quattro anni era come se mi fosse caduto il mondo addosso. Avrei voluto lanciare l'iPod e far finta che non fosse successo niente. Ma non potevo. Quelle erano le uniche prove che mi restavano per poterlo denigrare e per poterlo mandare a fanculo.

    Avrei potuto chiedergli spiegazioni, ma di cosa? Li non c'era altro da aggiungere. Avrei potuto chiedere di questo Mattia, e di conseguenza anche di tutti gli altri nomi a me estranei.

    Ma cosa mi sarebbe cambiato? Lui mi tradiva. Lui scopava con altri. Lui amava un altro. Perché su quei messaggi qualche ti amo di troppo c'era. Non volevo ammetterlo neanche a me stesso. Speravo che fossero quelli che Mattia inviava a Michele. Invece no. Era il contrario.

    Gaya con le lacrime agli occhi mi guarda e esclama: «Io non ci credo. Non ci voglio credere. Ma Michele non era così. Non ci credo».

    «Gaya, devi crederci purtroppo. Michele è un uomo come tutti i tuoi ex. E' un uomo anche se ama prenderlo nel culo» rispondo in un momento di rabbia.

    Si, rabbia, perché mentre ne parlo lo vorrei vedere stramazzato al suolo. Ma purtroppo se penso a dove sarà non posso non immaginarlo a casa di Mattia. O peggio ancora a casa con Mattia.

    Gaya è una cara amica sin dai tempi del liceo. Stesso banco per cinque anni. È sentimentale. È dolce. Un po' sfigata in amore e terribilmente frociarola. Frequenta solo omosessuali e bisessuali. Ma i secondi solamente perché non li riconosce. Prima ci finisce a letto e poi ci diventa amica.

    «E poi non hai trovato nient'altro?» mi chiede Gaya.

    «Beh. Se per nient'altro intendiamo foto di scopate, cazzi, baci, pomiciate e leccate, allora stiamo a posto».

    «Cooooosa?» esclamò tutto incuriosito Marco. Lui appena sente parlare di cazzi o giù di li impazzisce. Perde la ragione. Mentre parlavo neanche mi sentiva perché era tutto intento a leggere il labiale, visto il volume muto della tv, di Tina Cipollari.

    «Si, Marco. Sono andato poi su immagini e li c'erano tutte le foto sincronizzate dal computer e dall'iPhone. Più quelle scattate dall’iPod e quelle scaricate da WhatsApp. La cosa peggiore era che nelle foto si vedeva e riconosceva benissimo il nostro letto. Le mie coperte ghepardate, prese a Maison du monde e i cuscini di Mediashopping. E per finire in bellezza: avete presente il telecomando? Questo qui? Beh, Mattia amava metterglielo nel culo!»

    Nessuno parlò più. Tutti restarono senza parole. Avevano paura di dire la cosa sbagliata. Monica disse a mezza voce «Sono schifata». Gaya piangeva. Alex messaggiava con il nuovo tipo. Pamela si limava le unghie in un modo nervosissimo e Marco cercava di capire cosa la Cipollari stesse urlando.

    «E poi cos'è successo?» chiese Pamela.

    «Niente di così straordinario. Nella vita ho sempre pensato che se un giorno avessi scoperto un tradimento avrei fatto e avrei detto talmente tante cose, che non ho fatto nulla di quello che potevate immaginare.

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