Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

GPS - Global Physics Storytelling
GPS - Global Physics Storytelling
GPS - Global Physics Storytelling
Ebook278 pages3 hours

GPS - Global Physics Storytelling

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Quel che sappiamo della fisica del XX° secolo dipende in larga misura da ciò che i fisici più famosi - Einstein, Schrödinger, Hawking - hanno raccontato: raramente come in questi anni la divulgazione della scienza è stata importante della società. Da dove arriva questo ruolo preminente? Qual è stato il cammino compiuto nel secolo scorso dal racconto della fisica e come ha influenzato la società e le altre scienze? Come, ancora oggi, le scelte nella comunicazione di questi grandi fisici modellano il nostro modo di intere la scienza, il nostro approccio a essa e le nostre decisioni?

A queste e a molte altre domande prova a rispondere Andrea Bosio, storico savonese che si avventura nel dedalo della fisica contemporanea, conducendo il lettore in un viaggio di curiosità e meraviglia, ma anche di analisi sociale e storica della fisica, della scienza e della divulgazione degli ultimi cento anni.
LanguageItaliano
PublisherAndrea Bosio
Release dateNov 4, 2014
ISBN9786050331448
GPS - Global Physics Storytelling

Related to GPS - Global Physics Storytelling

Related ebooks

Science & Mathematics For You

View More

Related articles

Reviews for GPS - Global Physics Storytelling

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    GPS - Global Physics Storytelling - Andrea Bosio

    Ringraziamenti

    Per cominciare

    Il racconto della fisica

    PREFAZIONI

    Di Giorgio Amico

    Scienza e società

    La ricerca scientifica come percorso di liberazione

    In una società come l'attuale, tanto complessa e articolata, dove i diritti di cittadinanza sono erosi, se non radicalmente rimessi in discussione da una crisi economica di lungo periodo e da un vero e proprio default delle forme e degli ambiti della rappresentanza, la scienza, o meglio una corretta informazione scientifica può fungere da argine al processo, che appare in atto in tutto l'Occidente, di marginalizzazione della volontà popolare? Detto altrimenti, una più puntuale comprensione del dato scientifico, può davvero migliorarci la vita e renderci cittadini più consapevoli al momento delle scelte (vedi referendum sul nucleare e i beni comuni, dibattito sulle staminali o la procreazione assistita, ecc)? Il problema è complesso e si è presentato agli uomini fin dai primordi della scienza moderna.

    La questione se le conquiste scientifiche valgano in sé o acquistino senso e significato a partire dal loro utilizzo sociale, ovvero dalla loro ricaduta sul benessere (inteso nel senso più complessivo dicrescita equilibrata della società) degli uomini in carne e ossa è una antica problematica, risalente almeno al Rinascimento, conseguenza diretta di una ostinata volontà di porre l'uomo al centro del cosmo e renderlo così, superando la resistenza di principi e chiese, l'autentica misura ultima di tutte le cose.

    È Giordano Bruno nel febbraio del 1584 nella Cena delle ceneri a valutare criticamente le due grandi scoperte della sua epoca, la teoria eliocentrica di Copernico e la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo. Per il domenicano, ribelle ad ogni convenzione, il disvelamento da parte dell'astronomo polacco dell'autentica struttura dell'universo contro le fino ad allora imperanti teorie scientifiche, filosofiche e teologiche di Tolomeo, Aristotele e Tommaso aveva ben più importanza della scoperta del continente americano (e delle sue ricchezze reali e immaginarie) da parte del navigatore genovese.

    Una valutazione che può stupire chi superficialmente valuti solo sul piano dell'interesse materiale (o meglio ancora, del profitto come si direbbe oggi). Da un lato l'oro del Perù e l'argento del Messico, dall'altro una nuova visione del mondo basata su una serie di schemi matematici (ché alla sua scoperta Copernico arrivò in tal modo e non, come spesso si crede, per osservazione diretta degli astri). Fra denaro e pensiero, la scelta appariva allora ai più obbligata, e oggi non sarebbe diverso.

    E invece no, Bruno ragiona secondo altri parametri e in una prospettiva, tanto ereticada portarlo alla morte sul rogo, ma attuale ancora oggi, a quattro secoli e mezzo di distanza. La scoperta/conquista dell'America, con la distruzione di popoli e culture che ne consegue (e che già allora qualcuno denunciava) è per lui una novità pericolosa, generatrice di conflitti, massacri, distruzioni. Gli uomini, denuncia, han ritrovato il modo di perturbare la pace altrui, violar i patrii genii de le reggioni, di confondere quel che la provvida natura distinse, per il commerzio radoppiar i difetti e gionger vizii de l'una e l'altra generazione, con violenza propagar nove follie e piantar l'inaudite pazzie ove non sono, conchiudendosi alfin più saggio quel ch'è più forte; mostrar novi studi, instrumenti ed arte de tirannizar e sassinar l'un altro.

    L'italiano è arcaico, ma il senso è chiaro e attualissimo. Non può considerarsi conquista dell'umanità una scoperta che serve al guadagno di pochi, che mette gli uomini gli uni contro gli altri, che è veicolo di tirannia e di distruzione.

    Al contrario Copernico ha liberato la umana raggione oppressa e nudata la ricoperta e velata natura, mostrando lo schema di un universo infinito, popolato di tante stelle, tanti astri, una eterea reggione immensa aperta a una ricerca incessante e senza confini, politici o religiosi. La conquista scientifica, dunque, come cammino di liberazione dell'uomo dai vincoli della paura e dell'ignoranza. Un uomo artefice dei suoi destini, capace di vivere in sintonia con il cosmo, cioè con quell'ordine razionale di tutto l'esistente nel quale Bruno vede consistere la più intima essenza del divino.

    Una visione che, depurata dal linguaggio magico-naturalistico tipico dell'epoca, noi potremmo oggi definire ecologica nel senso pieno della parola.

    Ma se di un'ecologia della mente e della società si tratta (e ritorniamo al tema di questo studio), come far sì allora che la nostra società possa porsi di fronte ai risultati della ricerca scientifica con lo stesso atteggiamento critico e umanistico di Bruno? E ciò al fine di saperne valutare, al di là delle mere enunciazioni di facciata, il significato reale, cioè le ricadute concrete nella vita quotidiana di uomini e donne, oggi e in prospettiva.

    La questione non è semplice, ma può essere affrontata anche dai non scienziati, a patto però di tener conto di un paio di priorità metodologiche. Noi pensiamo che, prima di tutto, occorra non perdere la memoria storica, saper collocare cioè quanto via via emerge di nuovo all'interno di un processo di ricerca e di crescita delle conoscenze che non può che essere socialmente e storicamente condizionato.

    Una scienza che esita a dimenticare i suoi fondatori è perduta. Così lo storico della scienza Thomas Kuhn, a prefigurare i rischi di una spettacolarizzazione della ricerca (o dei suoi esiti), dove il passato è continuamente cancellato nell'esaltazione di un nuovo che così si ritrova senza radici e riferimenti che lo rendano davvero comprensibile e dunque realmente fruibile da parte dei non addetti ai lavori.

    Molto opportuna, dunque, la preoccupazione di Bosio di dedicare l'intera prima parte della sua ricerca ad una dettagliata rivisitazione di quattro grandi figure della fisica contemporanea, quali Einstein, Schrödinger, Feynman e Hawking, a partire soprattutto dal loro approccio alla divulgazione scientifica. "Attraverso le loro opere, si è potuto tracciare il cammino che, a mio parere, è stato il lancio del seme sulla terra buona della nostra società" annota Bosio. Dimostrando così di aver colto a pieno l'importanza, quando si fa divulgazione, di non saltare le tappe, di tracciare un percorso che faciliti la riflessione, che dia solidità ad un sapere che altrimenti rischia di restare frammentario e senza radici. Un pensare debole, tipico di una società senza più legami e centri (liquida direbbe qualcuno) come la nostra che pure a livello fenomenico appare globalizzata e totalmente interconnessa.

    Il che introduce immediatamente una seconda grande questione: come superare i limiti di una ricerca estremamente compartimentata e specialistica, tanto da apparire totalmente inaccessibile ai profani? La risposta viene spontanea e rimanda ad una gigantesca opera di alfabetizzazione scientifica che la complessità stessa della società nostra richiede ogni giorno di più. Il che, è perfino banale dirlo, non può che compiersi attraverso una attenta opera di divulgazione che sappia ricomporre in un quadro scientifico unitario e comprensibile l'insieme degli ambiti oggi dispersi in una pluralità di indirizzi, al fine di riconsegnarne gli esiti ad una platea quanto più possibile ampia di fruitori.

    Una scienza, diventata patrimonio di tutti e di ciascuno, che con termine efficace Andrea Bosio definisce divulgata e che si caratterizza soprattutto per essere, a differenza dell'imperante stile wikipedia banalizzante e superficiale, semplice ma non semplicistica. E qui il ruolo fondamentale è quello della scuola. O almeno dovrebbe esserlo, perché in realtà, e la ricerca ben lo documenta, non è poi così scontato che la nostra scuola sia realmente capace di svolgere questo compito di vera e propria alfabetizzazione scientifica delle nuove generazioni che le spetterebbe in quanto principale agenzia formativa.

    Inadeguatezza, quella delle istituzione scolastiche, che ha ragioni profonde e antiche che risalgono, citiamo un passo della ricerca, perlomeno alla filosofia crociana e alla lunga disquisizione con i filosofi/matematici guidati da Enriquez, tacciati di occuparsi di materia non loro quando sfilavano oltre i confini del calcolo numerico e si avventuravano nei misteri dell’esistenza.

    Una considerazione critica che condividiamo, ma che pensiamo andrebbe ulteriormente approfondita, investendo la società nel suo concreto operare e individuando in una divisione sociale del lavoro sempre più articolata la causa di una polverizzazione dei saperi e delle competenze che va ben oltre la questione scolastica e rende insuperabili anche concettualmente gli ambiti dell'esistente. Una frammentazione pervasiva che tocca ogni ambito dell'esistere e che finisce per rendere (per usare il linguaggio gramsciano) i produttori totalmente inconsapevoli della reale natura del processo produttivo e di conseguenza incapaci di egemonia reale, cioè della capacità di pensare la società nella sua totalità e dunque di controllarla e modificarla radicalmente. In quest'ottica lo stucchevole dibattito fra le due culture non è più soltanto una banale distorsione del sapere, frutto di una perdurante arretratezza culturale, ma assume i contorni ben più inquietanti di una lucida e pervasiva strategia di potere finalizzata al mantenimento dello stato di cose presente.

    Resta il fatto che un umanesimo piatto e unidimensionale ha connotato negativamente la formazione di generazioni intere e persino l'accesso al mondo del lavoro, pensiamo soltanto ai concorsi pubblici basati sul tema. Pratiche resistenti, che il terremoto, iniziato con l'occupazione delle facoltà umanistiche di Palazzo Campana nella Torino del 1967, ha solo parzialmente rimesso in discussione. Perché finito il lungo '68 italiano e tramontata la stagione dei movimenti, si sono andati via via ristabilendo equilibri accademici, nuovi ma non meno autoritari dei precedenti, che questa separazione tra sapere scientifico e sapere umanistico hanno riproposta, pur privilegiando in questa nuova versione riveduta e corretta l'aspetto della scienza o meglio ancora della tecnica (vedi il boom delle facoltà scientifiche) , ma ancora una volta eludendo nella sostanza quella domanda di radicale e integrale ricomposizione dei saperi che pure era stata la prima e più autentica richiesta dei movimenti studenteschi in tutto l'Occidente avanzato.

    Dunque ancora una volta si ripropone la vecchia questione della separazione tra saperi e vita su cui da sempre si fonda il potere delle élites.Riappropriarsi dei saperi è dunque un passo fondamentale nel processo di riappropriazione della propria vita da parte di uomini e donne che il potere tende a mantenere relegati ai margini della società in un ruolo subordinato di spettatori di uno spettacolo che non possono in alcun modo controllare e di cui però sono parte. Il che ci permette dunque di affermare, senza timore di essere tacciati di ideologismo perché il dato è sotto gli occhi di tutti, come in una società ipertecnologica quale l'attuale il carattere potenzialmente sociale della ricerca scientifica entri ogni giorno di più in contraddizione con l'appropriazione privata dei risultati che ne derivano.

    Una contraddizione resa ancora più evidente dal fatto che, come scrive Andrea Bosio, La scienza ha la capacità di cambiare la nostra società con una velocità impressionante, introducendo ciascuna generazione a possibilità in sostanza impensabili per la precedente.

    Oggi – continua l'autore centrando il cuore del problema - siamo parte di un sistema in cui una stessa generazione assiste a più di un cambiamento rilevante nel proprio stile di vita, dovuto alla scienza e alle applicazioni tecnologiche: la telefonia cellulare e il web sono casistiche evidenti, quanto la rivoluzione informativa lo fu per chi venne subito prima di noi, per esempio la generazione oggi over-50, che quindi ha assistito non solo alla nascita dell’era digitale/informatica, ma anche a una sua rapida e profonda affermazione. Nulla ci proibisce di pensare che nei prossimi venti/trent’anni vivremo ancora due o tre situazioni di cambiamento su questo stile e falsariga, anche se può essere ragionevole dubitare della sostenibilità di questo ritmo di innovazione.

    Come governare questi processi innovativi, rendendoli ecologicamente e umanamente sostenibili, è dunque la domanda sottintesa alle conclusioni di questa ricerca che Andrea Bosio sottopone oggi al giudizio dei lettori. Noi pensiamo che la risposta non possa che ricercarsi nel campo della politica. Di un'azione politica intesa gramscianamente come intervento sulla società che ponga le premesse della trasformazione e al contempo renda la classe dei produttori (che la globalizzazione ha reso moltitudine) capace di svolgere quella funzione egemonica che sola può dare senso e sostanza a un ordinamento nuovo e più umano del vivere collettivo.

    Savona, novembre 2014

    Di Davide Arecco

    Università degli studi di Genova

    In una delle sue più famose raccolte di saggi, La tensione essenziale, incentrata sui rapporti di continuità e frattura all'interno della storia della scienza, Thomas Kuhn ebbe a definire 'esoterica' la scienza – fisica, soprattutto – del XX secolo. Questo, non certo in riferimento ad assenti legami con l'occultismo, quanto piuttosto in relazione al grado di difficoltà e specializzazione raggiunto dalla ricerca scientifica novecentesca, accessibile – sovente – quasi solo ai suoi artefici e praticanti.  

    Di tale complessità, figlia di una professionalizzazione disciplinare accentuatasi via via nel corso degli ultimi due secoli, scienziati e tecnologi sono e sono stati consapevoli, in varie forme. Come comunicare la scienza? Come diffonderla e divulgarla? Quali le strategie – retoriche, ma non solamente – da adottare? Quali le migliori pratiche di convincimento da impiegare per accreditare il valore di una scoperta o invenzione? Come farsi 'accettare' dalla comunità scientifica? Quali regole osservare? Sono tutte domande che i più accorti tra gli scienziati e i tecnologi del '900 non hanno mancato di porsi; tra di loro ricordiamo Einstein, Schroedinger, Feynman, Hawking. E' soprattutto su di loro che  si concentra il brillante e documentato saggio di Andrea Bosio che state per leggere. Un  saggio frutto dei suoi studi universitari e di una notevole Tesi di Laurea, che ha discusso con me e con il professor Michele Marsonet nell'ateneo genovese. 

    Bosio sa muoversi, con passione e competenza, nella ricostruzione di tematiche sia  scientifiche sia filosofiche, anche piuttosto complesse, ogni volta guardando con cura allo sfondo storico di appartenenza dei diversi nuclei problematici presi in esame. Ne emerge un bel saggio, reso piacevole da leggere anche per via della scrittura che lo sorregge.  

    Genova, novembre 2014

    Di Andrea Bosio

    Benvenuti

    Quando decisi di rimettere in moto la macchina che aveva portato alla mia tesi, pensavo a una pubblicazione agile, leggera e indipendente - il che significa, traducendolo in termini contemporanei, digitale e web - come quella che andrete a leggere nelle prossime pagine.

    La maggior parte dell'opera di revisione è stata incentrata sull'eliminazione di quelle sezioni stretamente legate alla tesi di laurea e, al tempo stesso, sulla semplificazione del linguaggio. Se la tesi era scritta per un pubblico accademico, questo lavoro rimaneva sicuramente un saggio specialistico, ma voleva poter raccontare qualcosa anche a chi non provenisse dalla formazione storico-filosofico-scientifica dei docenti universitari.

    Davide Arecco e Giorgio Amico hanno già spiegato cosa incontrerete nelle pagine che verranno; il mio compito è solo darvi il benvenuto e augurarvi di trovare un buon compagno di viaggio in tutto questo.  

    Se siete timorosi dell'aspetto scientifico, non esitate a proseguire, perché non ho scritto nulla che non possa essere spiegato con poche e semplici parole, che è poi lo scopo della divulgazione; se siete timorosi dell'aspetto umanistico e sociale, non abbiate neppure questa paura, perché non troverete nulla che non abbia una immediata rispondenza nella nostra realtà.

    Ho cercato di fotografare una situazione - quella della scienza nella società contemporanea - e, usando un focus preciso come un esempio - la fisica del XX secolo - ho impiegato una chiave di lettura specifica - la comunicazione di alcuni dei fisici più noti - per darne una lettura che stimolasse una riflessione e un'azione a seguire nel lettore. O, almeno, in me.

    Lasciandovi a queste pagine, vi auguro di avere qualche ora di piacevole lettura e di stimolante riflessione.

    PRINCIPIA

    La comunicazione scientifica è prima di tutto una narrazione: si inserisce nel tessuto sociale, nel nostro immaginario, e caratterizza il nostro mondo come un racconto. Un buon racconto, in molti casi.

    Non è neppure un elemento nuovo ma ha sempre caratterizzato le società umane, caratterizzandone e, a volte, scandendone il progresso.

    È quindi anche compito degli storici studiarne l’influenza sulla società e il rapporto che intercorre tra i principali protagonisti di questo impegno e il loro pubblico. Nel descrivere l’umanità attraverso il tempo, il progresso scientifico è un ritaglio che, nonostante una certa trascuratezza da parte di certi ambienti accademici, deve vivere nel nostro tempo una profonda rivalutazione.

    Ci sono molti fattori che hanno determinato il ruolo della scienza – e del racconto del progresso scientifico – nella storia umana, ma nelle prossime pagine cercherò di soffermare l’attenzione su tre particolari elementi: la scienza, gli scienziati e la società. Per non lasciare questo discorso vago, ho scelto di essere ancora più preciso e di indagare a fondo la fisica e i fisici, una sorta di campo d’azione privilegiato.

    Credo che, prima ancora di una trattazione generica, serva un impianto al tempo stesso organico e puntuale, in modo da delineare il campo d’azione tramite una concreta vicenda. Che questa riguardi scienziati dedicatisi alla comunicazione della loro disciplina, diventa una scelta di campo che vuole caratterizzare la trattazione e anche portare una certa dose di innovazione nel trattare una materia spesso vista con scetticismo dagli storici.

    L’obiezione principale che potrebbe essere mossa a tale approccio è una apparenete estromissione dei professionisti della comunicazione e della divulgazione scientifica: spesso qualificati quanto i ricercatori, dedicano una parte rilevante del loro impegno all’opera di comunicazione e di divulgazione, svolgendo il preziosissimo ruolo di chi sensibilizza i popoli – e quindi i fondi, ma verrà il momento di parlarne – verso le complesse tematiche della scienza. E, si dirà, poco è così distante dalla comprensione comune quanto le arguzie e le guglie della fisica del XX e del XXI secolo.

    Credo tuttavia che sia importante dare una lettura del ruolo dei fisici nell’espansione delle conoscenze della loro disciplina. 

    Rubando un termine alla storia delle redazioni bibliche, nel XX secolo la capacità comunicativa di alcuni grandi fisici sembra aver creato una vera vulgata della loro disciplina. Con questo non credo di sminuirne lo sforzo e l’importanza o di ridurre la nobiltà della materia: rendere comprensibile in via generale la Relatività o l’interpretazione di Copenhagen a chi di mestiere si occupa, magari, di medicina o non ha mai approfondito gli studi oltre la scuola dell’obbligo, è un traguardo che la nostra società non può dimenticare o rimuovere dagli impegni presi per il futuro. Abbiamo vissuto un secolo quanto mai permeato da un public understanding of science, una comprensione dei fondamenti di molte discipline scientifiche che ha coinvolto sezioni della società in precedenza escluse da queste conoscenze: mentre viviamo appieno il nuovo secolo, è importante gettare uno sguardo in retrospettiva, perché queste conoscenze diano i loro frutti, se possibile sotto forma di un crescente impegno e interesse per la ricerca scientifica propriamente detta.

    Trovo coerente, allora, analizzare in conclusione di questo testo – con troppa brevità in

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1