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Vertigini e stravedimenti
Vertigini e stravedimenti
Vertigini e stravedimenti
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Vertigini e stravedimenti

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About this ebook

Una locomotiva a vapore, nera con le ruote rosse, è ferma in aperta campagna e blocca la circolazione ferroviaria sulla tratta per Venezia. La sua sagoma scintillante all’orizzonte è una visione straniante per Mic, Sam e la signora Adriana, di nuovo insieme per una breve vacanza un anno dopo il loro primo incontro, così come straniante è l’immagine che si appresta a dare di sé Venezia. Per alcune ore di una domenica d’agosto, molti canali saranno chiusi alla navigazione e si potrà attraversare la città a nuoto, godendosela da una prospettiva inedita. Mic non intende lasciarsi sfuggire una simile opportunità, ma questa non è l’unica esperienza sorprendente che l’aspetta. Altrettanto singolare si rivelerà la metamorfosi delle cabine spalma-crema, attrazioni turistiche di grande successo al centro de “L’eleganza matta”, che riappariranno sotto nuove, imprevedibili forme. Nei quattro giorni trascorsi a Venezia la signora Adriana, con il suo bagaglio di saggezza e leggerezza, sprona Mic e Sam a interrogarsi sulle possibili soluzioni del mistero del treno fermo sui binari e a fantasticare sulle proprie vite e quelle altrui. C’è un filo rosso che lega destini ed eventi, passato e presente, o è il caso a segnare la strada? A poco a poco le testimonianze lasciate prima di sparire dai passeggeri che viaggiavano sulla locomotiva d’epoca vengono divulgate, moltiplicando così le voci e le storie, e ognuna di queste fornisce un tassello e una prospettiva che troveranno alla fine in Mic una sintesi visionaria. (“Vertigini e stravedimenti” fa parte del progetto “La vertigine del caso”. Il primo movimento del progetto è composto da “L’eleganza matta”, il lato A, e “Vertigini e stravedimenti”, il lato B. “Questo nostro mondominio” è il lato A del secondo movimento, “Gli intempestivi” il lato B.)
LanguageItaliano
Release dateNov 18, 2014
ISBN9786050332650
Vertigini e stravedimenti

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    Vertigini e stravedimenti - Vanessa Chizzini

    srl


    1. Giovedì

    Binari

    Il treno è là davanti, in mezzo alla campagna.

    Lo scorgiamo nitidamente, a un centinaio di metri di distanza.

    Una locomotiva a vapore d’inizio Novecento.

    A guardarla pare che il tempo si sia fermato, e si trattiene il respiro.

    Ma poi si capisce che a interrompere la corsa è stato il treno, non il tempo, e si libera il fiato rimasto sospeso.

    Sembra un modellino, un giocattolo, uno scherzo, composto com’è da un’unica carrozza. Lo scompartimento è illuminato e si staglia sui prati attorno, nel buio incipiente di questa sera d’estate.

    Un secolo di storia piantato nella campagna.

    Lo guardiamo, con il respiro che ogni tanto ancora si confonde e si arresta, ai piedi del nostro treno moderno.

    Altri passeggeri sono scesi con noi, nonostante gli ammonimenti minacciosi dei controllori.

    Siamo qui da più di un’ora, per colpa di quella locomotiva là davanti, e stiamo cercando di sapere cosa succede. Le notizie che ci danno sono vaghe. Parlano di un guasto sull’altra linea, però ignoriamo perché il traffico sia stato bloccato su entrambi i binari. Gli avvisi diffusi tramite gli altoparlanti ci hanno ricordato a intervalli regolari che è vietato scendere se non quando si è raggiunta una stazione prevista dal viaggio, ma a un certo punto qualcuno ha comunque deciso di aprire le porte e di andare a vedere con i propri occhi. L’abbiamo capito dalle urla dei controllori che ordinavano di risalire immediatamente. E invece è successo che molti altri hanno fatto altrettanto. Anche adesso da tutte le carrozze continuano a scendere persone. I controllori strepitano ma nessuno fa caso a loro. I balbettii e le risposte scortesi con cui durante quest’ora si sono ostinati a replicare alle nostre domande hanno fatto perdere loro qualsiasi autorità.

    La vernice nera di quella macchina d’altri tempi brilla persino in questo momento, all’imbrunire. La guardiamo, scambiamo qualche parola con gli altri passeggeri che si pongono i nostri stessi interrogativi, e proviamo a chiedere nuovamente informazioni ai controllori, che però sono furenti e si limitano a ribadire invano di risalire immediatamente.

    La locomotiva d’epoca è circondata da un gruppetto di individui. Ci sembra di distinguere delle divise, forse di poliziotti e ferrovieri. Se tra di loro ci siano anche alcuni passeggeri, o se i passeggeri siano disciplinatamente tutti a bordo, non siamo in grado di stabilirlo. Con la scarsa luce che c’è vediamo solo il veicolo e un po’ di persone che ci girano intorno. È stato un signore appassionato di treni, che prima è sgusciato di soppiatto qualche metro più avanti, a informarci che quella locomotiva a vapore risale all’inizio del Novecento. È la Regina, una gloriosa 685 con una carrozza altrettanto storica, ripete ancora adesso con grande enfasi e compiacimento, camminando avanti e indietro alla ricerca di qualcuno che dimostri un interesse anche minimo per quanto ha da raccontare.

    Una ragazza si azzarda a domandare gentilmente a un controllore se quel vecchio treno si è rotto, se siamo in attesa che riparino il guasto, ma il controllore si limita a scuotere la testa. Fa per andarsene, poi si ferma e ci dice che se vogliamo avere notizie l’unica possibilità che abbiamo è tornarcene ai nostri posti. Dal suo tono esasperato mi aspetto che da un istante all’altro aggiunga: Altrimenti tutti a letto senza cena.

    Passeggeri

    «Allora, ci sono novità?» sentiamo domandare alle nostre spalle.

    Io sono soprappensiero, sto ammirando le ruote rosse della locomotiva d’epoca e sobbalzo leggermente. Un’altra sospensione del respiro e del tempo in questa sera d’agosto.

    «Signora Adriana, avevano detto di non scendere dal treno» la rimprovera Sam. «Cosa ci fa qua?»

    «Ah, bella questa! E voi cosa ci fate? Io sono venuta a cercare voi, ecco cosa faccio qua. Non penserete di lasciarmi lassù tutta sola a guardare dal finestrino, eh? Solo perché voi due vi conoscete da una vita e me invece da appena un anno, non avrete mica intenzione di mollarmi qua e là?» La signora Adriana fissa me e Sam puntandoci addosso uno sguardo e un dito ugualmente minacciosi. «O, ancora peggio, non è che mi avete portato con voi per poi trattarmi come una povera vecchia?»

    «Guardi che noi non abbiamo saputo nulla più di quello che sapevamo prima» replico io nel tentativo di arginarla. «Abbiamo provato a chiedere notizie, ma tutto quello che ci hanno detto è che se vogliamo qualche risposta dobbiamo risalire sul treno.»

    «A voi che siete rimasti su hanno comunicato qualcosa?» domanda Sam.

    «Hanno detto che probabilmente verremo prelevati da una corriera, perché a quanto sembra per ora i binari rimangono chiusi. E comunque prima dovremo raggiungere una stazione» ci spiega la signora Adriana.

    «E come, se i binari sono chiusi e noi non possiamo proseguire?» obietto io.

    «Torneremo indietro» ipotizza Sam. «Manderanno un locomotore ad agganciarci e ci porteranno all’ultima stazione che abbiamo oltrepassato.»

    «Fantastico» commento. «Faremo notte.»

    «Ma cos’è successo?» ci chiede la signora Adriana. «Un incidente? Qualcuno si è buttato sotto? Da qua si vede qualcosa?»

    «Tutti immediatamente a bordo! Chi si ostina a rimanere a terra dovrà esibire un documento e si beccherà una bella denuncia» tuona un controllore agitando il berretto. «È vietato scendere se non si è raggiunta una stazione» urla esasperato. «Vietato! Su, forza, tutti a bordo!»

    «Dovremo aspettare i passeggeri dell’altro treno prima di ripartire?» gli domanda soave la signora Adriana.

    «Quali passeggeri, signora?» ribatte il controllore parandosi davanti a lei con aria intimidatoria. «Qua non abbiamo nessun passeggero da aspettare se non voi. E vista la vostra scarsa collaborazione la situazione mi sembra già abbastanza difficile. Vediamo di non complicarci ulteriormente la vita.»

    «Mi riferivo ai passeggeri della locomotiva d’epoca ferma laggiù» replica serafica la signora Adriana, come se stesse conversando amabilmente con un interlocutore felice di ascoltare le sue domande e desideroso di fornirle un’esauriente spiegazione.

    «Mi sembra di averle già detto che gli unici passeggeri da far salire siete voi. Su quel treno storico non c’è nessuno, non si preoccupi. Vuole cortesemente dare il buon esempio e tornare al suo posto? In che carrozza è? Ha bisogno di essere riaccompagnata?»

    «Oh, la ringrazio, lei è molto gentile, ma non mi serve aiuto» risponde la signora Adriana con un tono di voce che mi pare leggermente compiaciuto. «Pensavo solo che dovessimo aspettare le persone che sono sull’altro treno. Anche loro dovranno pur arrivare in qualche modo a destinazione, eh. Magari i suoi colleghi hanno anche finito il turno e non vedono l’ora di tornare a casa. So come vanno queste cose, sa. Il mio povero marito lavorava sempre ben oltre l’orario, proprio come capita a voi ferrovieri quando i treni sono in ritardo, e non è bello essere a un passo dalla libertà e dover rimandare tutto. Io che stavo a casa ad aspettarlo, e mettevo la cena a scaldare una volta e poi un’altra e magari dopo un’altra ancora, so bene che non è bello. Stringe il cuore.»

    La signora Adriana ha disinnescato o forse ipnotizzato il controllore che ora la guarda senza più scalpitare e rimane ad ascoltarla, il braccio steso lungo il fianco con il berretto in mano. Perché quando la signora Adriana dice il mio povero marito si ha la sensazione che qualcosa si fermi, come il tempo con la locomotiva d’epoca. Quel povero mette sul chi va là, forse fa pensare al controllore che in fondo quello che sta succedendo qui è nulla in confronto a quello che è successo al povero marito della signora Adriana, e che sì, non avremmo dovuto scendere dal treno e ora dovremmo fare diligentemente ritorno ai nostri posti, a leggere, chiacchierare, ascoltare musica o a dire una serie spropositata di improperi per questo maledetto ritardo che proprio non ci voleva, e dovremmo telefonare a chi ci aspetta a casa o alla stazione per avvisare che siamo bloccati nella campagna e non sappiamo quando diamine arriveremo, perché dobbiamo aspettare che qualcuno ci venga a trainare fino alla stazione precedente dove poi prenderemo una corriera, è esattamente questo che dovremmo fare e che molti di noi non fanno, ma è pur sempre niente in confronto a quello che è capitato al povero marito della signora Adriana e di conseguenza a questa vecchia signora alta un metro e cinquantacinque che si erge con una crocchia di capelli neri, perfettamente dritta nonostante i suoi settantotto anni, che ha sopportato così dignitosamente e fieramente quanto è successo al suo povero marito e merita almeno un po’ di rispetto e di considerazione.

    È chiaramente questo che adesso pensa il controllore, mentre si gira con espressione nuovamente ostile e aggressiva verso un uomo che lo sta oltrepassando per avvicinarsi alla locomotiva d’epoca e gli intima: «Dove crede di andare lei? Salga immediatamente a bordo! Anche voi, forza, tutti a bordo», ma poi torna a guardare la signora Adriana con aria mansueta e le sussurra: «Non si preoccupi, signora. Vedrà che tra poco tutti arriveremo a destinazione, un po’ in ritardo ma arriveremo».

    «Ah, certo, tanto sul nostro treno c’è posto anche per gli altri passeggeri e per i suoi colleghi. Ah, no, che sciocca!» esclama d’improvviso lei battendosi una mano sulla fronte e facendo una risatina. «Loro vanno nella direzione opposta, non possono salire con noi. No, ma cosa dico?» continua ridacchiando ancora e senza lasciare spazio a nessuno di intervenire. «Me l’ha spiegato prima Sam» dice girandosi a cercare Sam ma in realtà indicando me. «Sì, me l’hanno spiegato prima che ora dovremo tornare indietro e quindi la direzione per i passeggeri della locomotiva d’epoca è quella giusta. Possono salire sul nostro treno, bene. Possono, vero?»

    Il controllore forse si impressiona un po’, e non a torto perché in questo momento è difficile seguire il ragionamento della signora Adriana, e magari teme che si stia agitando troppo. Di certo l’ultima cosa che vuole è che in tutta questa confusione un passeggero abbia un malore. «Non si preoccupi per la cena, signora. Se gli altri passeggeri e i miei colleghi stasera non mangeranno a casa, questo non ha niente a che vedere con guasti o ritardi ferroviari. La loro locomotiva, anche se d’epoca, non ha nessun problema ed è lì perché sono stati loro a fermarla. Non c’è nessun’altra spiegazione. Hanno frenato, sono scesi e sono andati chissà dove. Su quel treno non c’è più nessuno.»

    Destinazioni

    «Chissà dove sono andati» si domanda e ci domanda la signora Adriana con un sospiro, fissando fuori dal finestrino. Abbiamo ancora negli occhi l’immagine straniante della locomotiva a vapore ferma in aperta campagna, con un’unica carrozza illuminata nella sera sempre più scura.

    Mi vengono in mente due cose contemporaneamente.

    Questo treno piantato qui, mentre passeggeri e macchinisti se ne sono andati, mi fa inevitabilmente pensare al Novecento. Il Novecento è il secolo in cui abbiamo abbandonato i nostri ideali. Qualcosa scappando dal treno ce lo siamo portato dietro, un libro, una giacca, un quaderno, ma più come rimpianto e ricordo che come uno strumento da usare ancora nella vita. Più come un’alzata di spalle che come uno sguardo all’orizzonte ancora capace di orientare l’agire.

    Mi vengono in mente due cose contemporaneamente, ma non è del Novecento che parlo.

    «Chissà dov’è andato Ettore» dico.

    «Ettore chi?» chiede la signora Adriana girandosi verso di me.

    «Ettore Majorana. Se lo ricorda?»

    La signora Adriana rimane in silenzio per qualche secondo, pensosa. «Intende forse lo scienziato che è scomparso a inizio Novecento?»

    «Be’, era la fine degli anni Trenta, non proprio l’inizio del secolo... Ti ricordi di Ettore Majorana, Sam?»

    «Cos’era precisamente?» domanda la signora Adriana. «Un fisico? Un biologo? Qualcosa del genere, no? Un tipo geniale, comunque. Una persona strana. O mi confondo?»

    «Era un fisico. Ha anche lavorato con Fermi, in via Panisperna» rispondo.

    «Ah, già, i famosi ragazzi di via Panisperna...» commenta la signora Adriana. «Che gruppo leggendario, eh...»

    «Non credo che Majorana si trovasse su quella locomotiva ferma là davanti, Mic» replica Sam. «Non vorrei fosse solo una mia personalissima opinione, ma temo che ormai il suo tempo sia scaduto.»

    «Ah-ah-ah, molto divertente» faccio io.

    «Be’, Mic, però Sam ha ragione» osserva la signora Adriana. «Quando sarà nato, se è scomparso negli anni Trenta?»

    «Ma io non volevo mica suggerire che Ettore Majorana fosse su quel treno» protesto. «Mi è semplicemente venuto in mente. Mi è tornata alla memoria la sua storia, che per me è un po’ la scomparsa per antonomasia.»

    «Vede cosa intendo quando le dico che Mic prende un’esperienza, l’assolutizza e la fa diventare un metro di paragone per situazioni simili?» interviene Sam rivolgendosi alla signora Adriana. «Siamo bloccati in aperta campagna, in pieni anni Duemila, perché c’è un treno d’epoca fermo sui binari e nessuno dei suoi occupanti è più a bordo, e noi ci ritroviamo a parlare di uno scienziato scomparso quasi un secolo fa.»

    «Un caso affascinante, non c’è dubbio» considera la signora Adriana. «Non si è mai smesso di discuterne. Un vero mistero. Scomparso nel nulla dall’oggi al domani. Un rompicapo bell’e buono, eh?»

    «Be’, no, non proprio dall’oggi al domani» preciso io. «Aveva scritto delle lettere in cui manifestava la volontà di buttarsi in mare durante una traversata, anche se poi da quel piroscafo era sceso sano e salvo.»

    «Già, i biglietti in cui annunciava il suicidio... Ora che me ne parla mi sembra

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