Vi racconto le mie donne
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Vi racconto le mie donne - Davide Torrente
AURELIO
RACCONTI
Casanova o Dongiovanni?
La prima volta che ho visto il seno di una donna è stata all’interno di un libro: feci quella scoperta sfogliando l’enciclopedia medica che mio padre aveva acquistato, ed io spesso ricercavo quella pagina affascinato dalle forme rotonde e perfette che si trovavano sotto il viso di quel corpo femminile accanto al quale era stato posto quello maschile, che invece non le aveva.
Avevo a quell’epoca sette otto anni, e passai all’osservazione diretta in modo assolutamente casuale quando una mattina, inavvertitamente, aprii la porta del bagno e vi trovai mia madre che si lavava le ascelle a petto nudo. Le sue mammelle erano più grosse di quelle dell’enciclopedia e intuivo la loro morbidezza, mi piacquero. Poi richiusi subito la porta.
L’attrazione verso il sesso opposto continuava in quegli anni delle elementari osservando le bambine mie compagne di classe – da precisare che non avevo mai frequentato l’asilo per mio espresso rifiuto, ed i miei genitori mi avevano accontentato vedendomi piangere a dirotto ad ogni loro tentativo (probabilmente non volevo ancora uscire di casa o forse preferivo restare in compagnia di mia madre). Avevo preso l’abitudine in classe di far cadere la matita proprio sotto il banco di Alessandra, la bambina della fila accanto, per guardarle le gambe e sbirciarne le mutandine. Una volta che fui soddisfatto abbandonai questo espediente.
Ma la donna che più di tutte colpiva la mia immaginazione era la mia maestra: era per me bellissima, elegantissima e buonissima. Ed ogni volta che tornavo a casa raccontavo a mia madre quanto la maestra fosse elegante, ero molto contento, tra l’altro, dei suoi modi molto garbati e tranquilli. Forse, inconsciamente, ne ero per così dire innamorato.
Passando alle scuole medie, notavo che le femmine non erano più bambine ma oramai ragazzine dal fisico pressoché formato, osservavo con curiosità quelle protuberanze che spiccavano sotto le maglie e che mi riconducevano al seno di mia madre. Soprattutto nella terza classe la mia preferita era Anna, sorella gemella di Luigi – che ritrovai entrambi alle medie dopo averli già avuti come compagni alle elementari.
Anna era la più bella di tutte, sia di viso che di corpo e l’unica volta che le stetti accanto fu durante una festa organizzata proprio a scuola, ci trovammo seduti per terra insieme e appoggiati al muro mentre discorrevamo dell’opportunità o meno di ballare anche noi al ritmo della musica che lo stereo diffondeva. Fummo d’accordo di non muoverci da lì e restammo vicini l’uno all’altra ma senza parlare molto. Avrei voluto baciarla, ma non sapevo cosa fare, cosa dire, mi vergognavo.
Il caso volle che, terminate le medie, io ed Anna ci ritrovassimo ancora accomunati dalla stessa scuola: avevamo infatti scelto entrambi la Ragioneria, vicino Cinecittà. La vedevo scendere dall’autobus la mattina e desideravo andarle incontro, inventarmi con una scusa l’occasione per baciarla: una volta pensai addirittura di farle presente che lei era stata oggetto di una scommessa tra di noi ragazzi per vedere chi l’avrebbe baciata per primo, chi avrebbe avuto questo coraggio. Ma questa bugia non gliela dissi mai, fortunatamente lo considerai piuttosto stupido come espediente e dovetti perciò rinunciare a posare le mie labbra sulle sue, non ne ero innamorato ma comunque ne ero fortemente attratto. Abbandonai l’impresa.
Volevo baciare una ragazza, questa era la verità, avevo quindici anni ed ancora non l’avevo fatto. L’occasione venne proprio quell’anno, dopo la gita scolastica fatta tra la nostra sezione, la F, e la I. Dietro di me sul pullman sedevano due ragazzine molto carine, una dai capelli mori e ricci e gli occhi neri, l’altra biondina ma non proprio, piuttosto sul castano chiaro e dagli occhi celesti. Una volta scesi, le persi di vista ma l’occhiata che avevo dato loro bastò a farmele ricordare di li a pochi giorni, quando le vidi che procedevano insieme verso l’ingresso della scuola. Delle due preferivo quella dagli occhi chiari e perciò un giorno mi feci coraggio e le andai incontro mentre scendeva dalla via che intersecava il piccolo piazzale antistante l’istituto. Mi era rimasto valido sul libretto scolastico un ingresso posticipato alla seconda ora, e così con questa scusa le proposi di entrare anche lei in ritardo e di andare a fare un giro, ma purtroppo ricevetti il suo rifiuto dato che non poteva assentarsi poiché aveva un compito in classe. Comunque mi disse che ci saremmo potuti vedere a ricreazione. E così fu.
Si chiamava Loredana (come mia madre), era di poco più bassa di me, il corpo esile, dei modi gentili e dal sorriso dolcissimo, era intelligente e simpatica, il tutto si andava ad unire alla sua bellezza semplice e senza trucco. Loredana aveva quattordici anni, uno meno di me.
Da quel giorno, di ricreazioni insieme ne facemmo molte, a volte lei veniva davanti la mia classe a volte andavo io da lei. Capitò che un giorno Maurizio, mio compagno più grande di me di due anni, ci vide assieme, ed al rientro in classe mi disse compiaciuto che io e Loredana ci assomigliavamo. Purtroppo il suo apprezzamento non destò in