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Vivere la Differenza. Essere e Molteplicità in Gilles Deleuze
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Vivere la Differenza. Essere e Molteplicità in Gilles Deleuze

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About this ebook

Essere è differenza e molteplicità.
Questo messaggio, così semplice ma allo stesso tempo fortemente rivoluzionario, è ciò che Deleuze e il suo percorso filosofico ci trasmette con coerenza e profondità argomentativa. Questo libro è il tentativo di chiarificare tale visione e di analizzarla nelle sue varie componenti teoriche e pratiche.
LanguageItaliano
Release dateMar 1, 2015
ISBN9786050361001
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    Vivere la Differenza. Essere e Molteplicità in Gilles Deleuze - Paolo Lattanzi

    Paolo Lattanzi

    Vivere la differenza. Essere e Molteplicità in Gilles Deleuze

    UUID: 11bd3d38-c006-11e4-b2c9-1ba58673771c

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Indice

    INTRODUZIONE

    PARTE I

    1. LA DIFFERENZA COME PROBLEMA ONTOLOGICO

    Introduzione al problema

    La differenza oltre la rappresentazione finita. I limiti dell'ambiguità aristotelica dell'essere

    La differenza oltre la rappresentazione infinita. I limiti della dialettica hegeliana e dell'analitica leibniziana dell'infinito

    La differenza come affermazione dell'univocità dell'Essere.

    2. SPINOZA E LA SOSTANZA COME POTENZA ESPRESSIVA

    3. NIETZSCHE, L'ETERNO RITORNO E LA VOLONTA' COME POTENZA AFFERMATIVA.

    PARTE II

    4. IL SIMULACRO: OLTRE PLATONE

    5. IL CAMPO TRASCENDENTALE: LA VIRTUALITA' DELL'ESSERE.

    L'empirismo trascendentale.

    Il differenziale.

    Il virtuale.

    Il problematico.

    6. IL SENSO E L'EVENTO

    Pensare il senso.

    Cogliere l'evento.

    PARTE III

    7. OLTRE LA MORALE: L'ETICA DELL'EVENTO

    8. VIVERE UNA VITA: AFFERMARE LA PROPRIA POTENZA

    PARTE IV

    9. MOLTEPLICITA', RIZOMA, CONCATENAMENTO.

    10. VISEITA' E SEGMENTARITA': LA MICROPOLITICA

    11. APPARATO DI STATO E MACCHINA DA GUERRA:

    12. IL RUOLO POLITICO DEL DIVENIRE.

    IL DIVENIR-MINORITARIO.

    CONCLUSIONE

    BIBLIOGRAFIA

    Note

    Ringraziamenti

    Vivere la Differenza.

    Ovvero il concetto di Differenza nella filosofia di Gilles Deleuze

    Paolo Lattanzi

    A chi chiede cosa serva la filosofia, bisogna rispondere aggressivamente perchè la domanda è volutamente ironica e caustica. La filosofia serve a denunciare la bassezza del pensiero in tutte le sue forme, a trasformare il pensiero in qualcosa di aggressivo, attivo, e affermativo, a formare uomini liberi, che non confondano cioè i fini della cultura con gli interessi dello stato, della morale o della religione, a combattere il risentimento e la cattiva coscienza che hanno usurpato in noi il pensiero, a sconfiggere infine il negativo e il suo falso prestigio.

    (Gilles Deleuze)

    INTRODUZIONE

    L'intento fondamentale di questa tesi è mostrare come, secondo noi, il nucleo speculativo del pensiero di Gilles Deleuze sia costituito dal concetto di differenza e, in secondo luogo, come questo sia da interpretare in maniera del tutto peculiare rispetto alla tradizione filosofica precedente.

    Infatti, durante l'intera evoluzione della sua filosofia, egli non ha mai smesso di mettere l'accento sulla necessità di un oltrepassamento dell'impostazione filosofica classica e moderna, attraverso l'abbandono di tutte quelle forme logiche di pensiero che eludono la differenza e privilegiano l'unità e l'identità. Vedremo come questa esigenza sia tematizzata e come coincida con il dispiegarsi di un'esperienza nuova: esperienza del reale come espressione irriducibile di differenze e molteplicità. È da quest'ultima considerazione che si può comprendere meglio il titolo della tesi: vivere la differenza, infatti, vorrebbe far riferimento a questa esperienza integrale e originaria che non presuppone alcuna forma di unità o uniformità.

    Quando Deleuze parla della vita, egli lo fa sempre considerandola come un qualcosa di essenzialmente primo ed indipendente rispetto a qualsivoglia presupposto soggettivo od oggettivo. La vita indicherebbe l'esperienza originaria del differente che si effettua, del molteplice che si pone. Essa non ha nulla a che fare con la vita personale del soggetto e non presenta connotati esistenzialistici. Non riguarda nemmeno l'esperienza che sarebbe peculiare di una qualche coscienza soggettiva e che presupporrebbe l'identità del soggetto cosciente. Egli parlerà, piuttosto, di una coscienza senza soggetto, forma primaria e integrale di esperienza come esperienza di una vita. Vedremo nel corso della trattazione cosa questo comporti.

    Inoltre, essa non può essere concepita, né esclusivamente né principalmente, come un'esperienza di tipo concettuale o ideale (il pensiero), e neppure come un'esperienza puramente pratica o sensibile (la sensibilità). Essa piuttosto viene prima e si pone come condizione del pensiero e della sensazione: esperienza integrale e creativa nello stesso tempo. Tale creazione coincide con l'affermarsi della differenza nella sua immediatezza: la vita è l'affermarsi immediato della molteplicità come insieme di rapporti differenziali.

    Ecco che arriviamo all'ultimo punto che si vuole mettere in evidenza. L'esperienza della differenza e della molteplicità coincide con un atto essenzialmente positivo e creativo, estraneo a qualsiasi forma di negativo e di negazione. Rifiutando, infatti, ogni forma di unità o identità presupposta, tale esperienza non può negare nulla, non può porsi come negativo di qualcosa. Essa non si oppone, ma si pone incessantemente come differenza: Deleuze parlerà a tal proposito del differenziante della differenza.

    La differenza è qualcosa che si fa e questo farsi è un'affermazione molteplice, originaria, che anticipa il soggetto come l'oggetto e ne rappresenta la condizione.

    La struttura della tesi si divide in quattro parti principali: l'Ontologia, la Metafisica, l'Etica e la Politica. In ognuna si tratterà di considerare come venga elaborato il concetto di differenza secondo le caratteristiche che abbiamo indicato e come questo implichi delle conseguenze molto importanti sia dal punto di vista teoretico (prime due parti) che da quello pratico (seconde due parti). Tale suddivisione, quindi, non deve essere considerata come una sistematizzazione netta e precisa all'interno della speculazione deleuziana; sistematizzazione che egli, tra l'altro, non fa e non ammette in alcun modo. Piuttosto essa deve essere vista come lo sviluppo di uno stesso nucleo speculativo incentrato sul primato del concetto di differenza, considerato, però, da punti di vista diversi. Punti di vista, quelli teoretico o quelli pratici, che però non possono essere distinti e separati, si compenetrano a vicenda e risultano essenzialmente intrecciati. È ciò che Deleuze chiamerà sistema a rizoma, ovvero un sistema capace di esprimere una struttura molteplice irriducibile a qualsiasi principio unitario. Vedremo in particolare nell'ultima parte cosa si intenda con tale concezione di sistema.

    PARTE I

    ONTOLOGIA DELLA DIFFERENZA

    1. LA DIFFERENZA COME PROBLEMA ONTOLOGICO

    Introduzione al problema

    Nella sua prima opera originale di filosofia, ovvero non rivolta ad altri autori, Deleuze si occupa del concetto di differenza unito al concetto di ripetizione. Questo tema sarà in realtà il Leitmotiv di tutta la sua opera filosofica pur con molte rotture e cambi di stile. Comunque i concetti che a lui preme mettere in evidenza sono comuni in tutte le sue opere principali, mi riferisco soprattutto, oltre a Differenza e Ripetizione, a Logica del senso, nonché all'Anti-edipo (dove tuttavia l'attenzione è concentrata su una critica approfondita verso la psicanalisi e i suoi derivati) e a Mille piani. Questi concetti sono quelli di molteplicità, singolarità, intensità, problema e così via, che a mio avviso non sono altro che concetti sviluppati al fine di pensare il reale o l'essere (concetti che in Deleuze vengono ripensati distaccandosi dalla tradizione metafisica classica) al di fuori delle forme della rappresentazione e della logica basata sul principio negativo-oppositivo (non-contraddizione) che riconduce i differenti allo Stesso e all'Identico e li fa passare per il negativo.

    Emergono qui le due concezioni chiave in alternativa alle quali Deleuze incentra la sua opera filosofica: in primo luogo la differenza e la molteplicità concepite secondo il paradigma della negazione, quindi come concetti negativi (negazione della identità) e secondari (relativi alle identità di cui si predicano), in secondo luogo il mondo della rappresentazione dove dominano un'unità soggettiva trascendentale (l'Io penso cartesiano e kantiano, così come lo Spirito hegeliano) e un'unità oggettiva fondamentale regolata dal principio di non-contraddizione. Questi due concetti sono per Deleuze strettamente legati, anzi complementari: non si può pensare una differenza libera dalla negazione all'interno della logica rappresentativa, così come non si può pensare la rappresentazione senza implicare una logica basata sulla negazione e sul negativo.

    Difatti la differenza non implica il negativo e non si lascia portare sino alla contraddizione, se non nella misura in cui si continua a subordinarla all'Identico. Il primato dell'Identità, comunque sia concepita, definisce il mondo della rappresentazione. […] Noi vogliamo pensare la differenza in sé e il rapporto del differente col differente, indipendentemente dalle forme della rappresentazione che li riconducono allo Stesso e li fanno passare per il negativo.[1]

    E' alla luce di queste considerazioni che viene posto il concetto di ripetizione come ripetizione del differente, o meglio di un differenziale. La ripetizione infatti sembra legata a doppio filo alla differenza come rapporto puro del differente col differente; il differente si pone come ciò che ripete una differenza, un differenziale, per dirla con Deleuze, cioè un'intensità differenziale.

    Vedremo come questo concetto faccia emergere un'originale reinterpretazione dell'eterno ritorno nietzschiano ma anche come metta in discussione l'impalcatura della metafisica classica, in particolare il concetto platonico di modello e quello aristotelico di categoria. Ancora una volta infatti emerge la necessità di trasfigurare la logica della rappresentazione che incatena la ripetizione alle condizioni di somiglianza e analogia che in realtà la rendono impossibile, e ripensarla in termini di differenza pura. È chiaro che oltrepassare la rappresentazione significherà pensare al di qua e al di là delle coordinate ordinarie del pensiero e della percezione, significherà pensare l'impensabile e percepire l'impercepibile. Questo diverrà possibile ripensando da principio l'idea di un piano trascendentale immanente puro che non lasci spazio ad alcuna trascendenza ma che nello stesso tempo non ricada nel fondo oscuro dell'indeterminato nulla.

    La differenza oltre la rappresentazione finita. I limiti dell'ambiguità aristotelica dell'essere

    La differenza è vista, in principio, come qualcosa di crudele, di mostruoso. Posto l'indifferenziato come principio, la differenza sopraggiunge come il luogo della determinazione, ma una determinazione crudele che lotta, combatte col fondo da cui non è in grado di separarsi. Essa, la determinazione, facendo la differenza si differenzia dal fondo, il quale però non è in grado di differenziarsi da essa, emerge con essa e dà vita al Mostro.

    C'è qualcosa di crudele, e anche di mostruoso, da una parte e dall'altra, in questa lotta contro un avversario inafferrabile, in cui il distinto si oppone a qualcosa che non può da esso distinguersi e che continua a coniugarsi con ciò che da esso si separa.[2]

    Il mostruoso è dato dalla dissoluzione delle forme nell'emergere della determinazione insieme col fondo, la forma infatti si dissolve e la determinazione si definisce solo come linea astratta, come una sola determinazione che fa la differenza[3]. E' una determinazione confusa, che si fa come linea che agisce dal fondo e in unione col fondo indifferenziato. Deleuze fonderà la sua critica proprio sullo sforzo di pensare una differenza pura, in sé, costituita da un tale rapporto diretto tra fondo univoco-indeterminato e determinazione, o, per meglio dire, tra l'Essere-Uno e le determinazioni-differenziate. Procediamo però con ordine. Per scongiurare il pericolo del mostruoso, la differenza viene rappresentata a partire dalla metafisica greca secondo il quadruplice principio di ragione.

    Quando Deleuze parla di questo principio, fa riferimento alla teoria delle specie e dei generi di Aristotele, che nella Metafisica enuncia i principi formali di quel pensiero metafisico che caratterizzerà l'intera storia della filosofia occidentale. È in tale teoria che va ricercata l'origine della forma della rappresentazione. Essa concepisce la differenza come predicato secondario che designa le divisioni tra specie all'interno di un genere. La differenza viene così concepita come differenza specifica, inscritta all'interno della divisione tra specie e generi e perciò relegata all'interno dei limiti imposti da un concetto identico e generale, il genere appunto. La differenza pura, infatti, viene vista come la differenza tra due specie contrarie, per essere distinta dalla semplice diversità; così essa riguarda la differenza tra due specie che però fanno parte di un genere unico e determinato.

    La più grande differenza resta sempre l'opposizione. Ma di tutte le forme di opposizione, qual è la più perfetta, quella che conviene di più? […] Solo la contrarietà nell'essenza o nella forma dà il concetto di una differenza a sua volta essenziale. In breve, la differenza perfetta e massima è la contrarietà nel genere e la contrarietà nel genere è la differenza specifica.[4]

    La differenza delle determinazioni, quindi, viene data dalla loro appartenenza a una specie piuttosto che a un'altra ma sempre all'interno di generi identici, comuni alle diverse determinazioni vicendevolmente differenziate. Le differenze più piccole e più grandi, cioè le differenze tra generi diversi o tra individui di una stessa specie, vengono invece tralasciate, o comunque concepite come differenze secondarie, dal momento che la differenza vera e propria si predica solo attraverso la relazione di appartenenza a specie opposte all'interno del genere. Aristotele, in particolare, afferma che dell'individuale, dell'Essere-Uno e dei suoi generi fondamentali (le Categorie secondo cui l'essere si dice), non si possano affermare discontinuità; essi sono identici e non possono presentare differenze interne:

    Si dice dunque l'uno in tutti questi sensi: ciò ch'è continuo per natura, l'intero, l'individuo e l'universale. E l'uno vale per tutte queste cose, in quanto nelle une è indivisibile il movimento, nelle altre l'intellezione o il concetto.[5]

    Che l'essere sia pensato come Uno indivisibile deriva dalla sua impossibilità di essere pensato come genere contenente a sua volta i generi, e questo per evitare l'equivocità che si verrebbe a produrre tra le determinazioni specifiche. Infatti se l'essere fosse un genere, le differenze tra i suoi sottogeneri (che sarebbero le differenze specifiche) non potrebbero essere ad esso attribuite, esse quindi non sarebbero, non apparterrebbero all'essere. È per questo che l'essere non può essere diviso al suo interno in generi ed è anche per questo che l'Essere viene posto da Aristotele come non univoco, o meglio, come polivoco.

    Esso, infatti, pur essendo indivisibile al suo interno, deve poter essere attribuito alle specie e alle determinazioni, e lo è attraverso la relazione di analogia nel giudizio. È attraverso il giudizio infatti che le Categorie (i modi fondamentali di predicarsi dell'essere) vengo attribuite alle specie e alle determinazioni e ovviamente, per evitare equivocità nel determinare le singole specie, è necessario che tale attribuzione analogica implichi un ordine gerarchico: la Sostanza come genere supremo.

    L'essere si dice in molteplici significati, ma sempre in riferimento ad una unità e ad una realtà determinata. L'essere, quindi, non si dice per mera omonimia, ma nello stesso modo in cui diciamo sano tutto ciò che si riferisce alla salute: o in quanto la conserva, o in quanto la produce, o in quanto ne è sintomo, o in quanto è in grado di riceverla.[6]

    In conclusione, secondo la considerazione di Deleuze, sembra che in questa visione aristotelica dell'essere si presentino due logoi: uno delle Specie, che si basa sulle differenze specifiche

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