Nel nome d'Ippocrate...
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Una provvidenziale ironia, però, ed un’ incredibile pazienza stemperano la pur avvilente realtà.
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Nel nome d'Ippocrate... - Gianni Tomassini
me.
IL DOTTORINO
"Dottore, dottore…da questa parte, guardi da questa parte..e sorrida, cavolo, si è appena laureato! Il fotografo non si rendeva neanche conto di quello che stava dicendo, ma io, a distanza di più di trent’anni, ancora lo ricordo bene. Da allora non sono state molte le occasioni per sorridere. Dopo qualche giorno, speso nel festeggiare quell’evento, ripresi a studiare per preparare l’abilitazione che arrivò dopo qualche mese.
Da quel momento fu un susseguirsi di voli pindarici. Mi immaginavo con il camice immacolato in una qualche corsia ospedaliera in Francia, in Inghilterra (ancora non era il periodo dei telefilm americani) o, magari, in una importante Università italiana.
Non avvenne niente di tutto questo. Il volo pindarico precipitò miseramente alla Borgata Alessandrina in un fatiscente ambulatorio mutualistico nel quale sostituivo il titolare. Ricordo con tristezza il primo giorno. All’apertura dello studio, nell’androne e sulle scale che portavano al primo piano, c’era una folla che mi attendeva. Compresi in quel momento quanto fosse importante avere fiducia nel proprio medico. In fondo io un dottorino
andavo a prendere il posto del loro dottore
. Salendo le scale leggevo nei loro occhi perplessità, ironia, ribrezzo se non addirittura spavento..
Peggio quando feci entrare i primi pazienti. Un signore con un’evidente faringite, pretendeva che io ponessi la diagnosi ascoltando il suo racconto ed al mio si accomodi controllo la gola
si ritrasse spaventato dicendo guardi che il dottore non ha mai avuto bisogno di visitarmi
..La signora Pina una vecchietta molto simpatica entrò nell’ambulatorio in pantofole , vestaglia e bigodini in testa. Si capiva che era in grande confidenza con il dottore e pretendeva che le prescrivessi l’acido acetilsalicilico..per le bottiglie di pomodoro e delle fiale di ferro, uso endovenoso,…per le piante.
E poi una pletora di persone che questuavano montagne di prescrizioni per farmaci, quasi tutti, inutili. Allora, in effetti, capitava di vedere di fronte alle farmacie persone che uscivano con buste piene di roba che neanche al supermercato. Non era ancora il periodo dei tickets sanitari e l’italiano medio del tempo, incoraggiato dal politico del tempo, faceva incetta di tutto quello che era possibile in maniera gratuita, anche e soprattutto del superfluo, salvo poi pagarlo con gli interessi negli anni successivi. In farmacia si scambiava la prescrizione dell’antiipertensivo con il collutorio ed il dentifricio. Eravamo un popolo di ipertesi ma con i denti puliti!
LA MUTUA
Per un giovane medico, laureatosi con tanti sacrifici e belle speranze, l’esperienza poteva essere traumatizzante. Questa era la fetta più grande della sanità italiana! Figuriamoci il resto! Avevo studiato per anni, anche con grande fatica, per rendere più bianco lo smalto dei denti di Pasquale ed aiutare a crescere i pomodori di Pina! Ma in quel momento la mutua pareva l’unica opportunità per non dover dipendere completamente dai miei genitori…per fare il medico avrei visto in seguito..
Misi quindi da parte i bei proponimenti, dimenticai in breve tutto quello che avevo imparato riguardo alla fisiologia, alla patologia ed alla farmacologia e, dopo essermi iscritto all’Ordine dei Medici di Roma, feci il giro delle sette chiese per ritirare i ricettari delle varie casse mutue
. Altro che le mitiche fatiche di Ercole! Per lavorare in maniera decorosa occorreva essere dei sollevatori di pesi. A Roma le mutue erano una ventina ed ognuna aveva un ricettario diverso, un diverso certificato di malattia ed un diverso certificato di prescrizione analisi ecc.. Quel giorno tornai a casa con 280 (leggasi duecentoottanta) blocchetti. In più c’erano i circa venti fogli riepilogativi mensili e le relative buste per spedirli. Occupai un intero armadio della casa e per fortuna che l’armadio e la casa erano grandi.
Ne valse la pena! Ben presto nel quartiere si sparse la voce del nuovo medico della mutua e un sacco di gente venne a suonare alla porta di casa ovviamente non per essere visitata ma per farsi prescrivere qualcosa: qualunque cosa. Ci misi qualche mese per comprendere che il paziente, quasi sempre, non aveva bisogno di essere visitato seriamente, ma aveva bisogno di parlare con qualcuno dei suoi problemi e alla fine della visita
, pur constatando la perfetta condizione fisica, non potevi permetterti di dirglielo, anzi, non potevi esimerti dal prescrivergli almeno un paio di medicine
pena la perdita del paziente! Capii in quel momento di aver gettato sei anni di studio. Non servivano. Probabilmente il portiere del palazzo, imparando a memoria qualche ricostituente, sarebbe servito alla bisogna, almeno quanto me. Cominciai ad imparare a memoria i nomi dei cosidetti farmaci: i più amati dagli italiani
. Il paziente medio allora non era un gran conoscitore di farmaci, non consultava enciclopedie né, grazie a Dio, era nata la Rete, per cui ,veniva allo studio per farsi prescrivere i farmaci che gli aveva consigliato l’amico o qualche familiare. Al solito dentifrici, citrosodina, conservanti per le bottiglie di pomodoro, antibiotici (per i loro cani e gatti), shampoo antiforfora e altri prodotti del genere. Ognuno di questi pazienti lasciava in dote un cedolino che poi alla fine del mese inviavo alla cassa mutua per il rimborso. Alla fine del primo mese inviai alle varie mutue la bellezza di trecentomila lire in cedolini ! Parevo la gallina dalle uova d’oro.
Purtroppo, come con troppa regolarità mi sarebbe successo nella vita, ero arrivato in ritardo di qualche anno! L’anno successivo, una delle tante riforme sanitarie mise fine, giustamente, a questo spreco di soldi e venne inaugurata la quota capitarla
. In poche parole saremmo stati pagati non più per prestazione ma per paziente, il quale paziente non aveva più la possibilità di girare da un medico all’altro, ma ne
avrebbe avuto uno solo: il medico di fiducia.
Le casse mutue stavano tirando le cuoia, per anni erano state spolpate
ben bene da una serie di masnadieri (vedi capitolo la cupola) ed ora che ero arrivato io, non rimaneva che la carcassa
.
UN PERIODO RICCO
Lì per lì mi rammaricai di questa cosa. In fondo passavo da 300.000 lire al mese con poca fatica a praticamente zero lavorando per giunta molto di più. Ma, come dice quel proverbio, chiusa una porta si apre un portone.
Mi fu offerta la possibilità di sostituire un collega in un ambulatorio per prelievi: buono lo stipendio, ottimo l’orario. Nello stesso periodo risposi ad una richiesta del Comune di Roma per un posto di medico scolastico : ottimo lo stipendio, buono l’orario. E per finire un buon numero di pazienti mi stava scegliendo come medico di fiducia. Tra un’ impegno e l’altro trovai anche il tempo di iscrivermi alla specializzazione in Malattie del fegato e ricambio
Tutto andava per il meglio.
Insieme ad un mio vecchio amico, anche lui medico laureato da poco, decidemmo di aprire un’ ambulatorio. Prendemmo una carta topografica della città e segnammo con il pennarello gli studi esistenti. Alla fine la scelta cadde su di un quartiere in costruzione, contiguo a Casal Palocco. C’erano solo due crocette il che significava solo
due medici. E te credo…Presi dall’entusiasmo affittammo un bell’ appartamento nell’ unica palazzina della zona. Le altre costruzioni erano ville o villini….per cui i nostri futuri assistiti erano ben pochi ed oltre tutto ricchi ed esigenti.
Lavorammo per anni in qualità più che in quantità. Le nostre erano visite mediche vere
. E non prescrivevamo certo dentifrici o conservanti. Anzi difficilmente richiedevamo visite specialistiche riuscendo il più delle volte a sbrigarcela da soli. Nel giro di pochi anni arrivammo, con grandi sacrifici a 500 pazienti a testa. Non ci lamentavamo. Certo io