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Vabbè, un modo si trova
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Vabbè, un modo si trova
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Vabbè, un modo si trova

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About this ebook

La signora Giuditta sta spiando col binocolo da teatro nella biblioteca della villa di fronte casa sua: due ragazzi si stanno baciando. Costanza, nascosta in un angoletto di fortuna, li ha visti senza bisogno del binocolo.
Anche Rita del resto, mentre preparava il tè nella cucina della casa di fronte.
Ieri mattina una specie di pirata con l’orecchino e la bandana voleva comprare la villa su due piedi: ha tirato fuori una valigia piena di soldi e ha tentato di convincere Annalaura a vendergliela. Ora sta cercando di sedurre Costanza e le dà appuntamento qui.
Tutte le sere il fratello di Annalaura viene a curiosare fra i libri: Rita ha riconosciuto la sua macchina gialla.
In questi ultimi giorni un Mariuolo è stato visto più volte nascondersi nei cespugli del giardino, seguito da una ragazza molto volitiva.
Sempre nel giardino, qualche giorno fa uno scrittore di successo è stato tramortito con un vaso da fiori di plastica.
E poi ci sono due loschi figuri che si aggirano furtivamente per la proprietà. Catello e Raffaele dalla portineria di fronte li hanno visti più volte.
E dire che quando la signora Amalia abitava lì non riceva mai visite...
LanguageItaliano
Release dateOct 4, 2014
ISBN9786050325461
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    Vabbè, un modo si trova - Delia Altamonte

    Delia Altamonte

    Vabbè, un modo si trova

    Tutti i diritti riservati

    Progetto grafico: A. Mosca A. Massucci (MAT)

    UUID: 9b26e2fa-4c24-11e4-8134-9b5d8de4baaf

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Ringraziamenti

    Grazie a Manuela M. per la sua preziosa collaborazione.

    Indice

    Ringraziamenti

    I. Il gibbone

    II. Il ladro

    III. Edulisse

    IV. Il Professor Lugli

    V. Trolli

    VI. Santo cielo! Il professor Lugli!

    VII. Mariuolino

    VIII. Porto il mantello a ruota e fo il notaio

    IX. Verso cosa?

    X. Ritorno al passato

    XI. Rodolfo

    XII. Il tempo è malandrino

    XIII. Il tassello mancante

    XIV. Il tempo del pirata

    XV. Ultima ad arrivar

    XVI. L’ora del ragù

    XVII. Il mistero s’infittisce

    XVIII. Misteri nei misteri

    XIX. Quando c’è la chiamata mica si può dire di no

    XX. Intermezzo

    XXI. Nella vita ci vuole metodo

    XXII. E adesso?

    XXIII. Rispettiamo gli equilibri

    XXIV. Non si può mai stare tranquilli

    XXV. Martino o dell’accento

    XXVI. L’affare si sgonfia

    XXVII. Ordino prometto e giuro...

    XXVIII. Amori e tesori

    Personaggi: in ordine sparso

    Descrizione della villa

    I. Il gibbone

    Dove Annalaura, trentadue anni, professoressa a contratto all’università, eredita una villa a Napoli da una zia paterna. Decide di rimanere a Napoli per un po’ a chiarirsi le idee.

    Parla della sua famiglia.

    Detesto che Edoardo trascini i piedi come un grosso orso neghittoso. È il suo modo di esprimere disappunto. Struscia le suole come un ragazzino che va a scuola quando c’è compito di matematica e l’amico che gli passa la soluzione è a letto col mal di gola. Edoardo fa proprio così e s’ingobbisce nelle spalle. Tutto perché c’è il suo adorato sport (in genere rugby) alla televisione e lui non capisce proprio perché la spazzatura non può buttarla dopo. Il punto è che l’orrendo televisore è in camera da letto, e quando la partita è finita Edoardo è in coma profondo.

    Ma da qualche tempo le cose sono cambiate. Edoardo non si spoglia più, guarda la partita in poltrona, scatta alla fine verso la sua meta, che è l’ormai ambito sacchetto della spazzatura, e lo va a buttare. Con le spalle dritte, senza strusciare i piedi. Ci mette dieci minuti, qualche volta un quarto d’ora. Da un mese o due il nostro cassonetto davanti casa è sempre stracolmo, deve andare un po’ più in là. Qualche volta torna indietro per prendere il cellulare. Con chi vuole parlare? È impaziente circa l’arrivo del camion della raccolta-rifiuti? Teme che il prezioso sacchetto cada in mani nemiche? Quale formula segreta vi ha nascosto dentro? Mistero.

    Stasera ha rifiutato la seconda porzione di gelato. Ha borbottato qualcosa sui suoi addominali. Sono sgomenta: il panzone da orso Baloo (in effetti appena una pancetta) è scomparso, e io dov’ero intanto? Non è mai stato un intellettuale, ma Glutei sul suo comodino mi ha lasciata attonita. Che succede? Niente, è un volume di body building, come Addominali, che trovo nel cassetto: meno male, c’è un limite anche alle sorprese. Insomma, Edoardo è uscito dal suo stato letargico. Il mio fidanzato è sonnacchioso, parecchio pigro, piuttosto casalingo. Anzi, era tutto questo. E all’improvviso lo so: Edoardo mi tradisce. Dopo tre anni di fidanzamento e uno di convivenza.

    Sono costernata. Il mio programma secondo il quale La vita è un lungo fiume tranquillo va a farsi benedire. Intravedo gorghi, vortici, rapide e cascate, e la mia povera piroga che si schianta.

    Scusate, mi chiamo Annalaura e ho dei problemi, come tutti. Il primo è che vengo da una famiglia di temperamenti avventurosi ed io sono un’acqua cheta, tanto da chiedermi se, come nel film di cui ho appena citato il titolo, io non sia stata per caso scambiata nella culla, e dunque ci sia qualche scalmanata al mio posto a far disperare una famiglia di flemmatici e affiatati genitori, lei pianista, lui professore di filosofia, che camminano mano nella mano per i sentieri svizzeri durante le vacanze, mentre le caprette fanno ciao, in puro stile Heidi, e intanto la figlia, anzi quella che credono la figlia, partecipa alla Dakar in moto o va in deltaplano, insomma cerca di movimentarsi la vita e di dare un po’ di thrilling a quella dei genitori.

    A me invece il thrilling l’hanno dato i miei. Mai visti due temperamenti più antitetici e più focosi. Facevano scintille, se ci fu un matrimonio pirotecnico fu il loro. Papà era bello e dotato di neapolitan charme, ma non bastò. Mamma era canadese, ecologista sfegatata e scultrice. Una donna piena di temperamento, disse mio padre ai nonni quando la sposò. Una pazza furibonda, spiegò quando lei lo lasciò definitivamente.

    Secondo lui una donna con due figli doveva starsene a casa e non a spenzolarsi appesa al pennone di una goletta di Green Peace per protestare contro l’eccidio delle foche. Questo agli occhi di mamma faceva di lui un becero maschilista. Lui ribatteva che i suoi bambini strillavano come i cuccioli di foca senza la loro madre, e lei urlava:

    «Ma nessuno vuole iuccidere loro, no? Perciò cuccioli di foca ha più bisogno!».

    Il suo italiano quando è fuori di sé peggiora parecchio.

    «Questi però sono i nostri figli!», gridava lui, e lei gli faceva il verso in canado-napoletano, se si dice così:

    «I figli so’ piezecore!» (dalla frase di Filomena Marturano: I figli so’ piezz’e core).

    A questo punto eseguiva un piccolo show dove mimava un suonatore di mandolino che faceva una serenata. Lo so che è difficile da credere, ma si capiva che il tizio con il mandolino era un furbastro e la bella meglio avrebbe fatto a non farsi infinocchiare.

    Poi ci fu la fatale sera in cui lei mise lo zucchero d’acero nella zuppa inglese, che buona come a Napoli non la fa nessuno, un sacrilegio, e lui capì che oltre non si poteva andare. Anche lei. Partì due settimane dopo, lasciando solo un biglietto:

    Fai il bravo con i cucioli (parla male l’italiano, ma lo scrive peggio).

    Non era sola. Era venuto a prenderla un avvocato che conosceva fin da quando era ragazza. Ce ne sono stati altri, dopo. Mai stata una foca monaca. Erano passati nove anni dal suo matrimonio, e di noi cucioli si prese cura la nonna, che abitava col nonno nel palazzo. Mamma ricompariva a intervalli, e nel ‘94 decise di restare. Quattro anni dopo nasceva Costanza, ma dopo appena un anno nostra madre riprese il volo, precisamente con l’Air Canada, questa volta optando definitivamente per i cuccioli di foca. Nostra nonna, rimasta vedova, si trasferì da noi e ci è rimasta per quattordici anni, cioè fino all’anno scorso, nel 2013, quando ci ha lasciati per sempre.

    Papà si è risposato da tre anni, trasferendosi a Siena, e nello stesso periodo io sono andata per lavoro a Milano. Quando è morta la nonna, mio padre voleva Costanza a Siena con sé, mentre lei voleva rimanere a vivere a Napoli con Francesco, e alla fine l’ha avuta vinta lei.

    L’eco dei litigi dei miei me li ricordo ancora, e pertanto ho deciso di avere un rapporto equilibrato con un uomo tranquillo. Subito dopo la laurea sono venuta a insegnare come prof a contratto a Milano, dove ho conosciuto il mio fidanzato. Edoardo è buono, rassicurante, poco passionale. Lavora molto, in uno studio legale. È spesso stanco, si addormenta.

    «Durante?» mi chiedeva la mia amica Mariapia con due occhi come due 45 giri, una sera che avevo bevuto qualche limoncello di troppo e mi ero lasciata andare ad amareggiate confidenze. Ho ritrattato, vigliacca.

    Lo sapevo che durante non era normale. E comunque ci voleva parecchia abilità a prendere sonno, visto che la cosa durava pochissimo.

    Benché poco passionale Edoardo è tanto caro anche se è un tipo che non perde la testa, e in verità non la fa perdere nemmeno. Ma il suo tradimento mi sconvolge: voglio il mio fiume tranquillo.

    «Ma almeno sai chi è la tipa?», mi chiede Mariapia, partecipe.

    No, non lo so. Ma lui non somiglia più all’orso Baloo, non si addormenta più durante, si è iscritto a una palestra, non dimentica più di mettersi il deodorante (il che va bene anche a me), si nega, semplicemente, dicendo che ha mal di testa, e si cambia i calzini prima che diventino duri come due baccalà. Lei l’ha trasformato in un gibbone, altro che orsacchiotto! E lui le è fedele, come un gibbone, che è d’una specie monogama, e se come sospetto in mia assenza dovesse portarsela qui, non si addormenterà di sicuro, anzi farà un urlo, l’Urlo del Gibbone Vittorioso, che sentiranno tutti i vicini, e qualcuna sospirerà al marito:

    «Questo è l’avvocato Raimondi, che temperamento!».

    E lui replicherà:

    «Quello scimmione!».

    Appunto.

    Dovrei odiarlo, Edoardo, ma mi fa tenerezza, il mio gibbone innamorato. La cosa mi dà parecchio da pensare. Non sono davvero gelosa, e allo shock iniziale si è sostituito un certo sollievo. Sono anormale? Negli ultimi tempi sono stata spesso insofferente, impaziente... Eppure, Edoardo mi ha aspettato durante il mio soggiorno americano in una prestigiosa università. Speravo che l’incarico temporaneo mi fosse confermato, ma questo non lo confessavo neanche a me stessa, figuriamoci al mio fidanzato.

    L’incontro con Arthur Williams mi aveva parecchio turbata. Era il direttore del dipartimento, e mi piaceva da morire. Molto intelligente, molto simpatico, molto sicuro di sé. Si diceva che tutte gli cadessero ai piedi, e in verità anche io facevo uno sforzo per mantenere un minimo di distacco quando mi sorrideva, non per niente somigliava a Robert Redford nel Grande Gatsby. Però ero una ragazza di buona famiglia con delle idee magari romantiche, mentre lui invitandomi a cena pensava di andare dritto allo scopo. Per usare una metafora scoprì un po’ troppo in fretta le sue intenzioni, il che mi mise in un imbarazzo degno della regina Elisabetta se ad Ascot, scambiando un prestigiatore per un dignitosissimo Lord, avesse visto un coniglietto far capolino dal cilindro di costui. Compresi il perché del soprannome Jack in the box, che sarebbe uno di quei pupazzetti che saltano fuori da una scatola quando non te l’aspetti. Ora, mentre i prestigiatori sono felicissimi di tirar fuori il coniglietto, s’indispettiscono molto se debbono farlo sparire senza eseguire il numero previsto. La serata naufragò prima di cominciare e lui neppure mi riaccompagnò, ma chiamò un taxi. Il posto al quale ambivo lo dette a un’altra, del resto tutto il mondo è paese, anche se non sempre, per fortuna.

    Quando sono tornata mi sentivo davvero a terra. Mi ero messa a fare la ricercatrice all’università, guadagnavo pochissimo e mi sentivo inetta. Edoardo era molto affettuoso, però non capiva che era quello il momento di chiedermi di sposarlo. Non l’ha fatto, ed è stato saggio. A me allora parve solo eccessivamente prudente e poco innamorato. Più grande di me di quattro anni, già lavorava in uno studio legale importante e guadagnava bene, ma non si sentiva pronto al matrimonio. Ne fui segretamente umiliata. Avevo bisogno di conferme, e onestamente non so se la nostra storia sarebbe stata diversa se ci fossimo sposati. Certo la nostra convivenza non è stata un successo, anche per colpa mia probabilmente. E lui si è innamorato di un’altra.

    Dovrei essergli grata. Altro che fiume tranquillo! Sinceramente stavamo affogando in un mare di noia. La verità è che voglio molto bene a Edoardo, ma non so se lo amo. Credevo che il dubbio tormentasse solo me, invece siamo in due, e prima o poi uno di noi dovrà affrontare l’argomento.

    Intanto il tempo vola, dalla sera fatale dell’illuminazione sono quasi passati tre mesi, durante i quali la rivista per cui collaboravo ha chiuso i battenti, facendo scendere il picco delle mie entrate, piccole traduzioni comprese, a livelli scoraggianti. Edoardo per fortuna lavora tantissimo, specialmente la sera è impegnato in straordinari che lo trattengono allo studio fino a notte quasi, sicché la spazzatura ormai me la butto da sola. Per vincere la malinconia vedo qualche partita di rugby e comincio a notare con interesse che i giocatori sono dei gran pezzi di ragazzi. Anche Edoardo è molto migliorato, ha perso il suo lato marshmellow, della caramella gommosa non ha più niente. Mette uno spray deodorante nelle scarpe. Canta sotto la doccia, che si fa tutte le mattine. Prima era un po’ trascurato su questo fronte. Ahimè, è proprio innamorato. E non di me.

    Intanto sono accaduti fatti nuovi e straordinari. Una cugina della mia nonna paterna, zia Amalia è morta; aveva ottantasette anni. Aveva dedicato gran parte della sua vita a battersi per far riconoscere un brevetto come opera del padre Enrico, ingegnere, che era fratello del mio bisnonno, brevetto di cui si era appropriato il socio alla morte prematura di lui, traendone grandi profitti.

    Io passavo delle noiose vacanze in campagna nella casa di famiglia dei nonni paterni, e con la curiosità dei bambini avevo trovato in un baule la custodia di una katana, una spada giapponese. Attratta dai bei colori (la spada faceva bella mostra di sé sulla parete dello studio) l’avevo presa in mano, trovando nascosta nel suo interno una busta chiusa ingiallita. Sopra c’era solo scritto di farla aprire da un notaio. Si trattava dei progetti originali del brevetto che Enrico aveva inviato a se stesso per poterne all’occorrenza dimostrare la paternità. Curiosa come una scimmia, avevo resistito alla tentazione di ignorare la raccomandazione, pensando che erano le volontà di qualcuno che certo non c’era più, e l’avevo consegnata al nonno. Si era potuta così dimostrare finalmente la paternità del brevetto, che l’ingegnere non aveva fatto in tempo a registrare al suo ritorno a Napoli, in quanto se ne andò quell’estate stessa, pochi giorni dopo aver messo al sicuro la busta, per un incidente di caccia, poco più che quarantenne. La zia Amalia, che all’epoca era ancora una bambinetta, aveva sentito enormemente la sua mancanza. Sarebbero passati circa sessant’anni prima che, grazie a una bambina curiosa, fosse ristabilita la verità, e lei divenisse enormemente ricca.

    Sola, di carattere schivo, molto religiosa, aveva fatto molte opere di beneficenza. L’avevo vista solo una volta da bambina, e da allora mi spediva dei libri a Pasqua

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