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E l'ottavo giorno volò
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E l'ottavo giorno volò
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E l'ottavo giorno volò

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About this ebook

Le città volano. E gli abitanti viaggiano su di loro da decine, centinaia di anni. Senza sapere dove vanno. O come ci vanno. Gli umani di questo posto non conoscono i perché, sanno solo che è meglio stare sulle città che a terra. Ma poi uno di questi abitanti decide improvvisamente di cambiare vita.
Grazie ai saldi.
Al mercato degli schiavi, decide di acquistare un aiutante per raggiungere lo scopo della sua vita. Naturalmente senza sapere che il suo servo la porterà dalla parte opposta.
Mercenari, spade, mostri e caffè accompagneranno i protagonisti a scoprire perché le città volano. Il tutto poco gentilmente.
LanguageItaliano
Release dateSep 3, 2014
ISBN9786050320015
E l'ottavo giorno volò

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    E l'ottavo giorno volò - Pietrangelo Dusino

    Ringraziamenti

    Alla mia prima lettrice, sempre avida di quello che scrivo.

    Al mio miglior editore, un padre che incoraggia.

    Alla mia seconda lettrice, una madre che legge anche controvoglia.

    Alla mia miglior maestra, una zia che sopporta la mia lotta ai congiuntivi.

    Alla mia miglior fonte di ispirazione, l'ufficio Pionieri di Croce Rossa.

    Alla più brava copertinista che ho trovato, la paziente autrice di fumetti.

    A tutti quelli che hanno sopportato i miei dubbi, amici e nemici.

    A tutti voi, grazie.

    Indice

    Ringraziamenti 1

    Alia, cioè dove si incontrarono loro 3

    Giungla, un coltello e tante zanne 39

    Vicino al campo, dove trovarono l'altro 74

    Lnsa, e arrivò l'ultimo 107

    Alia e il ritorno di sottecchi 141

    Ance, nuova città, vecchia storia 176

    Alia, da dove è iniziato tutto 239

    Polo Sud, dove doveva finire tutto 260

    Alia, dove invece finì tutto per davvero 310

    Primo epilogo, alcuni mesi più tardi 321

    Secondo epilogo, ancora altri mesi più tardi 323

    Terzo epilogo, molti secoli prima 324

    Alia, cioè dove si incontrarono loro

    Era una mattina serena e fresca. La tempesta era passata, e ormai nell’aria riecheggiavano solo i richiami dei gabbiani. Mentre il sole saliva libero nel cielo, non più oscurato dai nuvoloni della sera prima, la città si riscaldava prendendone i primi raggi. I tetti con le vecchie tegole bianche iniziavano a gocciolare lo scioglimento della neve, mentre il rosso dei mattoni più nuovi veniva come ricolorato dal sole.

    Nella città di Alia fervevano le solite faccende mattutine: chi toglieva la neve dai tetti, chi la spostava da davanti alla sua bancarella, e chi, semplicemente, riapriva porte e finestre di casa facendo crollare i banchi nevosi dai davanzali per strada. Il lento risveglio procedeva inesorabile, quasi con pigrizia. Nel manto bianco che ricopriva la città durante il suo sonno, andavano ad aprirsi decine di fiori rossi, muri e tegole cotte nei forni.

    I primi saluti tra vicini e conoscenti, le grida di qualche mercante troppo mattiniero e il canto mattutino degli uccelli stavano dando voce alla città. Anche le campane iniziavano il loro canto unisono. Svegliando i ritardatari.

    Tessa aprì un occhio.

    Vide il soffitto. Una piccola crepa.

    Lo chiuse.

    Aprì l’altro.

    Rivide il soffitto. La stessa crepa.

    Decise che era tempo di aprirli tutti e due. Sempre il soffitto vide. Solita crepa. Si tirò finalmente su dal suo giaciglio, sedendosi sul lato del letto.

    Un meccanismo provvisto di maglio, scollegato dallo spazio vuoto che una volta teneva un gigante di bronzo, stava colpendo come un martello delle noci lasciate sul piano dell'ingranaggio. Un rumore soffocato rispetto all'originale, una sveglia leggera per chi ci dormiva vicino.

    Mentre con i piedi cercava i vestiti che aveva abbandonato a terra la sera prima, la ragazza sorrise soddisfatta. Aveva vinto la scommessa contro il suo vicino Giorgio. Non era vero che quando al mattino ci si sveglia ogni occhio guarda dove vuole e si diventa strabici.

    Seduta sul letto, si tolse la camicia che aveva usato per la notte e ne prese una identica, aggiustandone il colletto inamidato.

    Indossò sopra la pettorina in cuoio e i pantaloni dopo un paio di prove, giusto il tempo di aprire completamente gli occhi. La ragazza si alzò dal letto con l’andatura più trionfante che conosceva: camminò fino al lavandino come se fosse ad un ballo di gala. Ma dopo essersi rinfrescata la faccia con alcune manate d’acqua pensò che era inutile andare a sbeffeggiare il vicino.

    Dopotutto, una diciassettenne che tormenta un bimbo di sei anni avrebbe potuto dare una brutta impressione. Terminò le sue abluzioni guardandosi il volto sullo specchio rotto della sua stanza.

    Era alta quasi quanto le altre giovani della città con i suoi stessi anni. Era muscolosa ma snella, sebbene non scheletrica. Il viso era anonimo, carino certo, ma non per qualche specifico tratto. Gli occhi erano di un blu scuro, nulla da far decantare ad un poeta.

    Era carino. Nell’insieme.

    I capelli le piaceva tenerli lunghi, raccolti in una coda alta. Anche se fastidiosi per i suoi lavori, si ostinava a non tagliarli. Non riusciva a dargli un motivo logico, le piaceva tenerli così.

    Aveva già ricevuto molte occhiate dai ragazzi della città, ma trovava inutile fermarsi per loro come facevano le sue coetanee. A lei ora serviva qualcuno che fosse … funzionale! Il finale della sua sequenza di pensieri la spinse a guardare il calendario-abaco. Era appoggiato sull'altro rappresentante della mobilia, letto a parte, in quella catapecchia che chiamava casa: una scala che spuntava da una botola bloccata. La scala era utilizzata come mensola con i ripiani, dati gli scalini dalla larga superficie.

    Era finalmente arrivato l’ultimo giorno del mese, i consueti saldi al mercato degli schiavi.

    Tessa guardò il pezzo di vetro che usava come specchio. Bloccato in una crepa c'era un foglio scarabocchiato a mano. Tempo prima l'aveva ricevuto come ricompensa di un lavoro: era uno speciale sconto per il mercato degli schiavi, e usufruirne oggi le avrebbe dato ulteriori possibilità di risparmiare.

    Prese il biglietto e lo infilò in una tasca della cintura, appoggiata alla scala. Raccolse le noci, mangiando i gherigli e buttando i gusci oltre la tenda. Chiuse la fibbia della sua cintura dopo averla indossata, assicurandosi che le borse annesse fossero ben sigillate e le scarpe allacciate. Alzò la pesante tenda-coperta che usava per chiudere la sua stanza.

    Ricontrollò il suo giustacuore e finì di vestirsi in fretta e furia, allacciando il solito pugnale dietro la pettorina mentre si gettava a testa in giù dal campanile.

    Era sempre stata parsimoniosa nei vestiti: quelli più funzionali ed economici  erano i suoi. Indumenti in cuoio leggeri e resistenti, ma magari di terza mano. Di quarta, dove possibile.

    Mentre passava i primi venti piani dal tetto della chiesa, Tessa finì di allacciare i suoi calzari ed estrasse il coupon quasi febbrilmente, felice del risparmio in arrivo. L'aria che le andava negli occhi era fastidiosa come quella che respirava. In pratica, non le dava alcun problema.

    Il suo piccolo appartamento di tre metri per tre era il campanile della chiesa più vecchia della città, un basso edificio di sessantadue piani, abbandonato ormai da anni perché pericolante. La ragazza aveva arredato il pianerottolo della scala del campanile nell'alloggiamento della campana. Campana sparita anni or sono per andar a suonare in qualche chiesa più nuova.

    Tra il trentaduesimo e il trentunesimo piano, Tessa contrasse gli addominali. Portò i piedi davanti a sé, puntando verso una garguglia di pietra che spuntava dalla chiesa.

    Al momento dell’atterraggio scaricò la forza d’inerzia come un playboy scarica una ragazza.

    Senza pensarci.

    Ma mentre il corpo di Tessa era molto resistente per motivi a lei sconosciuti, la gargolla era debole pietra. Un missile di 30 kg da 75 metri d’altezza era quello che bastava per far traboccare il… garguglia.

    Leonardo Melinda era circondato. Senza via di scampo. Eppure la mattina era cominciata così bene.

    Si era alzato senza svegliare la moglie (evitando quindi la sua sfuriata automatica su quanto fosse stanca come casalinga, delusa dal suo consorte e desiderosa di una vacanza che tutte le sue amiche avevano già fatto nei campi dove lui non l'aveva mai portata, neanche in luna di miele) e non aveva neppure bruciato la colazione.

    Aveva spalato tutta la neve caduta davanti al suo negozio e l’aveva portata nei condotti senza farne cadere in giro. Tornato al negozio aveva pure trovato una moneta!

    Peccato che la sua felicità lo aveva distratto. Mentre apriva i portoni della sua bottega non si era accorto delle ombre furtive che si avvicinavano. E quando le vide, era ormai troppo tardi.

    Da quel momento né lui né loro avevano mosso un muscolo, ma la situazione non era certo stabile.

    Alla sua estrema destra qualcosa si agitò: fu solo grazie ai suoi anni di esperienza che vide il movimento con la coda dell’occhio.

    Subito slanciò il braccio con la scopa a bloccare l’intruso, che prima di essere colpito ritirò la mano.

    -Brutti ragazzetti! Andatevene! Queste mele sono per il sidro del capo di Alia, non posso vendervele!- L'ortolano Leonardo si mise in difesa del suo carretto.

    Nonostante la sfuriata ad alta voce, il gruppetto di bambini non si scoraggiò e rimase in posizione.

    Ogni maledetta mattina di ogni maledettissimo giorno, tutti i marmocchi della città, che fossero scolari, schiavi o poveretti di strada, l'assediavano per avere le sue mele, le migliori di tutta Alia.

    Purtroppo per loro, ogni tentativo di avvicinarsi ai cassoni delle mele veniva bloccato dalla veloce scopa del venditore. Il fruttivendolo era stato attaccato da generazioni di scolari, dato che la scuola era giusto a due ponti di distanza, diventando molto esperto nel difendere la sua proprietà.

    -Ah! Credevate davvero di farla al vecchio Leonardo Melinda? Non potreste rubarmele neanche volando! BWAHAHAH!- Disse l'omone agitando la scopa di fronte alla folla di bambini.

    Ma mentre l’uomo rideva dei bambini inermi di fronte alla sua mole, un sandalo di taglia 36 si poggiava delicato sulla sua testa. Prima che potesse dire alcunché la calzatura si dileguò insieme al suo contenuto e a ciò che vi era collegato. Mentre bambini e ortolano giravano lo sguardo verso l'alto, Tessa stava già atterrando e correndo per la via di fronte, addentando di fretta una mela. Avrebbe dovuto scusarsi della garguglia con l'ex-prete e col fruttivendolo, ma almeno aveva fatto colazione.

    Leonardo era confuso su ciò che era appena successo, ma si accorse di avere ancora qualcosa sulla testa: una moneta piccola, giusto per una mela.

    Guardando stupito il denaro e la ragazza in fuga, al negoziante sfuggì un mezzo sorrisetto, che si dileguò subito appena si accorse che i bambini si erano avvicinati di più al carretto.

    -Indietro, Pesti!- Melinda decise di passare alle maniere forti.

    Allargò le sue enormi braccia come a volerli circondare. Un passo alla volta, avanzò verso di loro. Alla fine, tutta la folla indietreggiò come un sol uomo. Anzi, ragazzino.

    Troppo facile, pensò Leonardo Melinda.

    I bambini sembravano davvero intimoriti. Rilassò le braccia. Ma se fosse stata una trappola?

    Allargò di nuovo le  braccia di colpo. I bambini si spaventarono, ma stavolta rimasero fermi. Stavano guardando in alto.

    -Ma cosa...- Anche il fruttivendolo guardò verso l'alto. Non pensò che fosse una trappola.

    Anche perché non lo era.

    Ma un orribile rumore di spappolamento gelò la scena.

    I bambini arretrarono inorriditi. Alcuni svennero, sorretti dai compagni. Altri scoppiarono a piangere, cadendo a terra o rimanendo inebetiti in piedi. Molti distolsero lo sguardo, colpiti da conati di vomito. Nessuno riuscì a rimanere indifferente.

    La gargolla era caduta. Si era staccata dal basamento sui tetti dato il brusco atterraggio di Tessa.

    Leonardo Melinda si sentì come estraniato dal suo corpo. Guardava la garguglia che aveva appena spiaccicato la sua vita.

    Lentamente i bambini si dileguarono uno ad uno, alcuni facendo un cenno, altri lanciando un bacio di addio, altri ancora lasciando una margherita rubata da un'aiuola lì di fianco.

    I cassoni delle mele di Leonardo Melinda erano stati spiaccicati dalla gargolla, giusto a qualche centimetro dalla sua persona. A parte qualche schizzo di polpa di mela, all'ortolano non era capitato nulla. A lui non rimaneva che pulire.

    E trovare una buona scusa per il capo di Alia.

    Tessa correva per le vie, schivando i passanti e saltellando sui muri di tanto in tanto, per evitare i carrelli dei venditori ambulanti e le bancarelle del rione del mercato. Sebbene qualche mercante e chi era sovrappensiero si spaventasse ancora, per il resto dei suoi concittadini, la corsa sfrenata di Tessa era accettata come una cosa normale. Poteva scalare una pila di casse di frutta mentre veniva spostata da un uomo senza che questi se ne accorgesse di alcunché. La sua leggerezza era ben conosciuta in Alia, tanto che i suoi lavori principali erano quelli da messaggera.

    Ma non i più redditizi.

    La mattina era ancora giovane, ma le vie erano occupate perlopiù da maggiordomi e governanti con seguito di portantini, scesi dalle case nobiliari per preparare la giornata delle loro magioni.

    Nonostante stesse correndo nel centro da una decina di minuti, il suo viaggio era ancora lungo. Soprattutto perché avrebbe dovuto scendere. La città era più sviluppata verso l'alto che in larghezza, sebbene l'ingresso del mercato che cercava fosse dall'altra parte del centro rispetto a casa sua. Dopo un paio di vie sempre più affollate di gente scesa dai quartieri più alti, Tessa decise di prendere una scorciatoia.

    Stanca della tanta gente, la ragazza saltò da un piccolo ponte per finire nel fiumiciattolo sottostante.

    Era formato da uno dei condotti della neve aperto, una discesa inclinata di almeno 60°.

    La neve che ogni mattina veniva buttata da quel quartiere di Alia si scioglieva per il calore proveniente dal basso, formando un piccolo canale di acqua fresca, uno dei tanti che raggiungevano le fondamenta della città. Tessa scivolò lungo il fiumiciattolo insieme all'acqua. Il condotto era aperto per l'immissione di neve da qualsiasi livello. Passava sotto a molti ponti, ma la ragazza riuscì a riconoscere il ponticello di una strada per i sotterranei. Tessa contrasse i muscoli e portò le ginocchia al petto, accovacciandosi per darsi la spinta con i piedi. Il suo salto la fece volare fino al parapetto del ponte davanti a lei.

    Appesa alla ringhiera, Tessa rimase a sgocciolare sul canale qualche istante. Il bagno l'aveva svegliata, ma il calore dello scivolo l'aveva rilassata.

    Si tirò su con la sola forza delle braccia e fece la verticale sul parapetto. Si scrollò la lunga coda di capelli, mentre l'acqua scivolava dai suoi abiti in cuoio trattato. Atterrò sul ponte con una piroetta e si ricontrollò il vestiario. Strizzandosi ancora la coda di cavallo per finire di asciugarsi, non notò l’avvicinarsi di un’ombra alle sue spalle.

    Quando si sentì abbastanza asciutta, si voltò per continuare il cammino. Ma la visione davanti a lei la fece fermare terrorizzata. Sul muro in fronte a lei, opposto al parapetto che dava sul canale, si stagliava un’enorme ombra. Non la sua.

    Tessa rimase impietrita. Sapeva che se si fosse girata, al suo fianco non avrebbe visto nulla. Quella non era un ombra normale. Non era di un corpo, bensì di uno spirito.

    Il cuore di Tessa accelerò enormemente dopo aver perso un battito.

    Come ci si dimostrava indigeribili per un'anima errante? L'ombra rimaneva ferma, immobile sul muro nonostante tutti i pensieri vorticanti di Tessa.

    Poteva essere una teiera davanti ad una luce? Poteva.

    Poteva essere un gatto davanti ad una luce? Poteva.

    Poteva essere un'ombra impaziente di trovare un corpo? Poteva.

    Ma Tessa si salvò ricordandosi una particolare frase da dire in questi casi: gliel’aveva insegnata l'ex-prete.

    -Ti lascio il passo come prego tu lascerai la mia vita.- Pronunciò le parole eseguendo un inchino maldestro. Non tanto perché parte del rito, ma perché quando l'ex-prete gliel’aveva mostrato si era fermato a metà, bloccato dalla schiena dolorante.

    Restò a testa bassa per almeno cinque minuti, sentendo solo una goccia di sudore scenderle per la guancia, lenta come la morte in fila al mercato.

    Quando si decise ad alzare la testa, vide il muro davanti a lei con una sola ombra: la sua.

    Enorme però.

    L’urlo terrificante e terrificato che ne conseguì fece scappare i due alti passanti venuti a vedere perché una ragazza stava inchinata davanti a un muro. Poche ore dopo i due pedoni si iscrissero per la legione dei campi, posti dove ragazze spaventose come quella non sarebbero mai arrivate.

    Senza neanche sentir allontanare i due passanti, Tessa si controllo un po’ dappertutto per vedere se aveva alterazioni di sorta nel corpo, rallegrandosi a sapere di essere ancora tutta originale. Anche l'ombra sembrava essere tornata normale.

    Non ho proprio tempo per farmi prendere dagli incubi ad occhi aperti! Pensò.

    Dopo questa parentesi paurosa si rimise a correre verso le scale per il sotto-città: temeva di aver perso troppo tempo. Era probabile che tutti gli schiavi a basso costo fossero già stati venduti!

    Il corridoio che si apriva appena dopo il ponte era completamente diverso dall'ambiente che aveva appena passato. I mattoni rossi lasciavano il posto a paratie bianche metalliche con numerose croci della Santa Bianca disegnata in vari punti.

    Correndo accanto a mercanti e trasportatori di merci per svariati chilometri di zig-zag, raggiunse finalmente il salone del mercato sotterraneo.

    Una bassa camera, larga centinaia di metri quadri, la piazza più grande di Alia. Anche se sotterranea.

    Moltissimi corridoi si dipanavano dalla stanza, con numerosi passaggi di carretti, schiavi con sacchi di merce e altri servi che seguivano artigiani, maggiordomi o semplici padroni.

    Nella sala i bottegai e i negozianti minori discutevano di prezzi e quantità con i grossisti del governo cittadino. Fogli e prodotti agricoli per terra, urla a più non posso e un sacco di gente rendevano la stanza più calda di quello che già fosse, tanto da essere rinominata Inferno dei Soldi.

    Non potendo fare altro che tentare di sgusciare tra la gente, Tessa venne compressa, schiacciata e spintonata per almeno mezz’ora, il tempo per fare le poche decine di metri che la separavano dal banco degli schiavi. La stanza era alta meno di due volte lei anche se larga centinaia di metri. Se avesse camminato sulle teste dei commercianti come all'esterno avrebbe dovuto farlo a carponi.

    Tutto il cibo, i prodotti delle altre città e gli schiavi catturati nei campi venivano smerciati in quell'ampia sala. I mercanti dalla pelle scura, gialla e rossa erano come al solito pochi, sia ricercati che emarginati, dato che le guerre tra le città erano senza fine.

    Una volta avvistata la parte del mercato che cercava, Tessa spinse fino ad uscire dalla calca principale, trovando un ristretto spazio libero per fermarsi a respirare. Era finalmente arrivata alla zona di smercio degli schiavi. La gente era così assiepata davanti ai vari palchi che il percorso in mezzo risultava quasi libero.

    Si posizionò davanti al palchetto dove avveniva  la vendita dei servi di Abramo, volutamente rialzato dal venditore per mostrare meglio la mercanzia. Chiaramente nessuno aveva mai osato dire al facoltoso schiavista che la rialzata avrebbe costretto i suoi prodotti a stare chinati. D’altronde, Abramo il commerciante era basso. E pure suscettibile.

    Mentre Tessa si avvicinava al banco, notò che stavano ancora mostrando gli schiavi adulti, quindi nonostante il suo ritardo c’era ancora tempo prima degli… scontati.

    Dopo una vendita di un set di giovani muscolosi a una vecchia signora dallo sguardo famelico, il venditore venne spinto da parte dallo schiavo successivo. Questi scese dal palco, ma non con l’intenzione di allontanarsi. Semplicemente, per poter stare dritto in piedi.

    Appena si alzò accanto all'impalcatura, rimase lì fermo ad osservare gli acquirenti davanti a lui, indietreggiati intelligentemente. Questo perché anche se aveva le catene, un uomo di quasi due metri con spalle larghe molto invidiate dai triceratopi in genere, è un po’ minaccioso se ti viene incontro con un’aria da potresti morire guardandomi.

    Anche se lontana da quello schiavo, Tessa si sentiva impaurita da lui. Ma più che per la sua possanza, per colpa del suo occhio chiuso: su tutta la palpebra era tatuato uno strano cerchio con simboli molto astrusi. Mentre l’occhio sinistro, marrone scuro, scrutava tutti quelli che aveva davanti, l'occhio decorato invece rimaneva sempre chiuso.

    Forse l’uomo era guercio? Oppure…

    I pensieri della ragazza furono però interrotti dalle grida del commerciante di schiavi, adirato per quella presa di posizione di una sua merce.

    Tessa si allontanò dal palco per avvicinarsi  a una fontanella che pendeva dal soffitto per schiarirsi le idee. Si sciacquò la testa e bevve vari sorsi d'acqua, derivante anch'essa dallo scioglimento delle nevi, quindi abbastanza fresca. Quando finì di bere, si accorse solo allora che il cuore stava battendo a una velocità poco salutare. Quasi più di prima.

    Se un Ombra può mutarti in un mostro, vuol dire che è la più grande minaccia esistente al mondo. Ma allora perché il suo corpo gli diceva che quell’uomo era comunque più pericoloso?

    È uno schiavo. Tra poco sarà venduto, non devo preoccuparmi. Si calmò con questo pensiero.

    Mentre riprendeva fiato e tranquillità aggrappata alla fontanella, udì delle acclamazioni stupite dal banco degli schiavi. Temendo l’inizio degli sconti , Tessa si precipitò a chiedere a uno dei presenti:

    -Scusate? Sapete dirmi se è già iniziata la vendita dei schiavi scontati?-

    -Cosa?- Uno degli uomini del pubblico si girò sorpreso. Cercando la voce dietro di lui, scorse solo dopo qualche ricerca la ragazzina alle sue spalle.

    -Mpf, No, hanno solo appena venduto il gigante di prima.- Gli rispose guardandola con un’occhiata di scherno.

    Tessa non fece caso al tono e tornò ad aspettare davanti al palco, ringraziando con un cenno l’uomo. La sua ingenuità era conosciuta come la sua agilità. Su Alia, questa l’aveva già messa nei guai alcune volte. Non quando era portata in trappola da semplici banditi, il cui problema maggiore che gli dava era sempre spiegare all'ex-prete come finivano sulle gargolle della chiesa.

    Il danno più grave provocato dalla sua ingenuità fu quando ebbe speso un’ingente somma per un oggetto… di cartapesta. Non aveva mai ritrovato i truffatori, ma solo ora, a distanza di anni dall'accaduto, era riuscita a racimolare una somma simile, se non minore.

    Ormai era vicina a concretizzare il suo sogno, ma aveva bisogno di un paio d’occhi in più. Da qui la decisione di prendere uno schiavo. Un servo che la seguisse anche nei suoi affari le sarebbe stato utile. Anche per altro che il semplice seguire.

    Dopo altri strani schiavi vestiti con abitini comprati sempre dalla stessa vecchia signora di prima, finalmente il banditore dell’asta mostrò gli ultimi articoli.

    -Ecco i rimas… ehm, le occasioni di questa settimana! Un gruppo di marmo… giovinetti provetti apprendisti direttamente dalle campagne! Comincino le offerte, vendiamo paia, singoli e in blocco!-

    Abramo era vestito con una tunica sgargiante e uno strano cappello che assomigliava più ad un asciugamano arrotolato. Lui diceva che gliel’aveva regalato un mercante dell'est, ma era piuttosto ridicolo. Il motivo per cui nessuno lo prendeva in giro era principalmente per evitare le sue grida stridule. Nessuno faceva mai battute su Abramo.

    Magari un bimbetto di quattordici anni non era proprio quello mi aspettavo, pensava Tessa, ma bisogna adattarsi a quello che c’è, o più che altro a quello che posso permettermi.

    Si spinse a forza davanti al palchetto tra artigiani, maggiordomi e preti che cercavano di camuffarsi.

    -Abramo, ehi, Abramo!- Urlò per farsi vedere dal venditore. -Ho qui il buono sconto che mi avevi dato!-

    Fu notata. Ma Abramo finse di non vederla.

    Per un po’ guardò in alto ( ma non essendoci altro che soffitto spostò subito lo sguardo), guardò in basso, parlò con un cliente, si grattò, controllò gli schiavetti, si grattò ancora.

    Ma la ragazza continuò a chiamarlo.

    Sfortunatamente, dopo 5 minuti di urla i clienti iniziavano ad andarsene.

    Quindi Abramo cedette.

    -Sì sì, quel buono te l'avevo dato io!- Il mercante si avvicinò al bordo del palco, inchinandosi vicino alla ragazza.

    -Ma era così, per ringraziare, un pensierino e basta, non era mica da usare! Non è esattamente valido...- Gesticolava freneticamente, come per allontanare l'oscuro spettro degli omaggi gratuiti.

    Tessa alzò un fiero cipiglio di confusione e prese a due mani il buono tenendolo come un editto statale:

    -IL QUI PRESENTE BUONO SCONTO DÀ DIRITTO AD UN CREDITO USUFRUIBILE AL MERCATO DI 1865 ...- La ragazza parlava proprio come un portavoce governativo. Scandendo le parole ad alta voce.

    -Ho capito! Ho capito! Fai silenzio!-

    -Se c’è scritto così con la TUA scrittura vorrà dire che è valido! Allora, chi posso permettermi? Mi serve un volenteroso e robusto schiavo!-

    Abramo guardò nervosamente i ragazzetti sul palco. Arrivavano dai campi, più giovani che forti, perciò più di svenderli al minuto pensava di trattare un alto prezzo per il blocco. Ma doveva adempiere alla promessa, o avrebbe perso la faccia.

    Mentre si crucciava facendo conti a mente, vide lui.

    Sguardo perso nel vuoto e braccia afflosciate lungo i fianchi.

    Basso e magro, più vecchio dell'età media degli altri schiavetti.

    Vestiti da straccione come ogni orfano dei campi e capelli scarmigliati come un cespuglio di rovi.

    Il perfetto prodotto da fondo scaffale!

    Abramo il venditore si girò verso la ragazza con un luccichio nuovo negli occhi: quello del risparmio. Le prese delicatamente il braccio come in un baciamano.

    -E sia piccola Tessa, per il ritrovamento del mio anello scomparso, ti donerò uno di questi schiavi!-

    Va detta una cosa riguardo alla storia dell’anello perso. Alcune settimane prima, Abramo stava bevendo alla fontana del mercato superiore in una giornata afosa. Quando terminò di dissetarsi si accorse che gli mancava proprio il suo anello preferito, quello che aveva sempre paura di danneggiare, anche di far arrugginire con l’acqua del lavabo, un regalo del governante.

    Ruggiva e gridava al ladro per tutta la piazza, piagnucolando per la sua dolorosa perdita.

    Mentre il venditore stava lì a disperarsi, Tessa, che sopraggiungeva in quel momento anche lei per dissetarsi, ascoltò i lamenti dell’ometto. Intenerita, per aiutarlo gli porse l’anello che vide sopra la fontana, un posto raggiungibile dalla mano del venditore, ma non dal suo occhio.

    La gioia dello schiavista procurò il buono alla ragazza. E anche parecchia perplessità.

    Tornando al presente, Abramo accompagnò la ragazza tenendole la mano da sopra il palchetto, facendola procedere fino al ragazzino. Tessa rimase un attimo esitante osservandolo.

    -...Ha un bel viso.- Esclamò alla fine per riuscire a dire un commento positivo. Il ragazzetto non sembrò averla sentita, tranne per una leggera alzata di sopracciglio.

    -Il più sognatore! Con il miglior portamento! Con un fantastico vestito! E con un’acconciatura invidiabile! Eccolo qua! Il suo nome è…- Ma mentre con gesti eloquenti Abramo illustrava la merce a Tessa, venne stoppato dalla voce ferma e severa del ragazzino.

    -Non è il mio nome.- Disse scioccando venditore, acquirente e  resto della merce.

    I rimanenti prodotti infatti avevano viaggiato con lui sin dai campi da dove erano cresciuti. Fin dalla partenza aveva sempre tenuto uno sguardo la cui intelligenza era maggiore appena delle mosche che gli volavano vicino. Forse.

    Abramo si riprese per primo:

    -Non mi interessa che problemi esistenziali hai, tu ti chiami…-Ma di nuovo il ragazzino soverchiò la sua voce, con più volume e il tono un po’ alterato.

    -Quello non è il mio nome! Non so perché ma ne sono sicuro! E comunque, dove mi trovo?- Si grattò gli scompigliati capelli neri per nervosismo.

    Mentre parlava infatti prese a guardarsi in giro. Era come se vedesse per la prima volta cosa aveva intorno. I suoi occhi non sembravano più quelle pozze stagnanti di prima. Le iridi verde scuro scrutavano tutto quello che aveva intorno, nuovo come se ci fosse appena entrato.

    Ora vedeva: un grande e basso sotterraneo di metallo pieno di gente che urlava di vendita, compravendita e… maiali?

    Il frustino del venditore lo riportò al presente, insieme alla sua paffuta faccia irosa e all'asciugamano. L'arma schioccò proprio di fronte ai suoi piedi.

    -SILENZIO STUPIDO MARMOCCHIO! Sei fortunato che ti ho venduto ora e non ho ancora usato Jolanda su di te! Portatelo via subito ragazza! Non lo incarto questo!-

    Prima che il ragazzino confuso potesse dire qualcosa, la giovane salì sul palco e se lo prese in spalla. Come portasse un cuscino , senza nessuna difficoltà di trasporto, si diresse verso un'uscita dello stanzone, la più vicina e vuota che riusciva a intravedere attraverso la calca.

    Anche grazie alle scalcianti gambe del ragazzino, i due raggiunsero in fretta l'uscita della sala.

    -Arrivederci! Alla prossima! Attento agli anelli!- Salutò la ragazzina mentre si allontanava in fretta nel tunnel.

    Tessa non aveva avuto nessun motivo di obbiettare alla scelta di Abramo: il ragazzo era quello che voleva, deciso e fermo!

    Eh eh , pensava, così potrò passare anche quel punto utilizzandolo come… AHIA!

    L'ultima parte la urlò non solo nella sua testa, visto che il ragazzo, confuso ma non inerme, gli aveva tirato la coda dei capelli.

    -Brutto manigol…- Non finì la frase che il ragazzino riuscì a svincolarsi dalla sua presa, peraltro indebolita dato il dolore alla nuca.

    Sceso dalla sua spalla, si mise a filare nel tunnel, non con una direzione precisa, semplicemente verso la libertà. Tutte le pareti erano in metallo, ricoperti di vernice bianca in pochi punti, facendo sembrare i resti di quella vecchia vernice come ceree macchie sulla ruggine.

    Ma appena Tessa si riprese dalla sorpresa e dal dolore, si mise a corrergli dietro gridando.

    -Aspettami Pallino! Non scappare!-

    Il ragazzo inciampò nei suoi stessi piedi a quelle parole, ma la fifa lo riassestò in un istante e la fuga riprese.

    -Sarebbe il mio nome quello?! Sono certo che non lo è!!!-

    -Ti prego, ho sempre desiderato avere... Qualcosa con quel nome!- Senza neanche il fiatone, Tessa stava raggiungendo il ragazzino, il quale rinunciò alla replica dell’ultima affermazione per dare più ossigeno ai suoi muscoli.

    Mentre le speranze di salvezza lo stavano abbandonando come i topi da una nave che affonda, notò una luce in fondo al tunnel: la libertà!

    Percorse gli ultimi metri con uno scatto ferino, sfuggendo al braccio di Tessa che era ad un pelo dal prenderlo. Compì l’ultimo passo con uno slancio,  rimanendo in aria per così tanto che si stupì da solo. Era all'aria aperta ora.

    Il panorama era marino, ma in lontananza si vedeva terra. Il problema fu quando si accorse che la terra era solo in lontananza ma nulla sotto di lui. Precipitava.

    Tra i ragazzi schiavi della partita di Abramo il ragazzino era ormai famoso come soprammobile.  Dove lo mettevi, stava.

    Ora, a pochi minuti dopo la sua vendita, stava volando giù.

    Velocemente.

    Da un’altezza proibitiva.

    Senza nessuna possibilità di atterrare dolcemente.

    Normalmente alle persone vengono in mente le fasi della loro vita, ma lui non era sicuro di aver vissuto.

    Morire a quattordici anni è possibile, pensava, ma cavolo, almeno qualche ricordo lo dovrei avere! Il mio nome? Boh. Parenti? Boh. E poi da dove cavolo cado? Boh. Crepare nell’ignoranza. Beh, c’erano modi peggiori di andarsene. Cancro ai testicoli ad esempio. Se sapessi che cos’è un cancro.

    Decise che non era più il momento per certi pensieri. Aspettò il peggio chiudendo gli occhi.

    Avrebbe dovuto chiudere anche la bocca però, visto che il contraccolpo gli fece mordere la lingua.

    Qualcosa aveva fermato la sua caduta di colpo.

    Riaprendo gli occhi per capire cos’era successo si ritrovò all’interno di un’enorme rete, sdraiato sopra dei sacchi pieni di pane secco. L'intreccio di corde era agganciato con un cavo ad una struttura metallica sovrastante, una vecchia gru. la rete ondeggiava lentamente, e alla stessa velocità tornava verso l'uscita del tunnel da cui era caduto.

    Fu in quel momento che vide la città nella sua interezza.

    Un enorme disco convesso, grande come… una città. Se si tentasse di descrivere quest'unità di misura, come si farebbe? Osservarla da un colle o anche da una montagna darebbe l'impressione corretta?

    Solo il ragazzino avrebbe dato la definizione giusta. Aveva appena visto una città da sotto.

    -Cos...co... ma...- Dimentico di aver appena rischiato un volo di almeno qualche chilometro, il nuovo schiavo continuava a balbettare.

    Mentre la rete saliva lui non faceva altro che fissare l'enorme disco di metallo. Su di un lato c'erano enormi lettere, alcune cancellate da striature nere.

    Quindi quello dev'essere il nome di questo posto. A lia. Ragionò.

    Raggiunta l'apertura, rivide la ragazza che l'aveva appena comprato. Tessa girava la manovella a tutta forza, ringraziando la Santa Bianca di non averle fatto perdere i suoi soldi.

    Perderlo in acqua a quell'altezza le avrebbe azzerato la quotazione da usato.

    Fortunatamente il suo nuovo schiavo aveva imboccato un tunnel di carico dove qualcuno aveva già preparato una rete per la discesa. Lanciarla verso il suo schiavo era stato semplice, anche se la ragazza era sicura che senza l'intervento divino non l'avrebbe mai preso al volo.

    Recuperarlo fu facile, aveva ormai smesso di scalciare. Forse per lo shock della caduta, ma si era praticamente cementificato.  

    Una volta arrivata al livello del tunnel, la ragazza riportò sul pavimento la rete, accovacciandosi accanto ad essa e sganciandola dalla gru. Aprendo i legacci per liberare il ragazzino, questi si sbloccò di colpo.

    Artigliò le spalle di Tessa scuotendola violentemente.

    Ma era sempre lui ad essere il più spaventato.

    -Dove siamo!? Che posto è questo?! Ma soprattutto, chi sono?!-

    Tessa era ancora scioccata per lo spavento ricevuto e non riuscì a rispondere subito. Anche perché era più preoccupata che spaventata.

    Il suo primo acquisto importante e forse era fallato! Funzionava male! Si faceva persino delle domande sulla propria esistenza, quando anche lei le evitava.

    Proprio pensando a quell'argomento Tessa ebbe un moto di stizza. Una rabbia oppressiva al petto come un vestito troppo stretto per il proprio passato.

    Si liberò di scatto dalla presa del ragazzino e si alzò.

    Squadrò il suo confuso acquisto giusto il tempo per decidere cosa fare.

    -Ehm, per favore?- Ritrattò il schiavo, intimorito dallo sguardo di Tessa.

    Lo prese per mano e lo fece alzare di forza. Prese a camminare velocemente, percorrendo a ritroso il corridoio in cui si erano appena rincorsi.

    Senza ascoltare le sue lamentele lo riportò istantaneamente nella piazza del mercato.

    Si fermò così di colpo che il ragazzino gli sbatté contro. Non da farsi male, ma lui si stupì del fatto che gli parve di schiantarsi contro un muro.

    Tessa era ferma con il dito indice puntato verso il mercato. In particolare, la zona di una piccola bancarella gestita da due nerboruti uomini.

    Quando il ragazzino iniziò a guardarli, quelli tirarono giù due pesanti spade seghettate, con conseguente divisione a metà di alcune angurie poste davanti a loro.

    -Spero che tu capisca quello che intendo. Ciò che succede agli schiavi riottosi.- Espresse Tessa con un tono di voce gelido.

    Il messaggio era stato chiaro. Netto, per il ragazzino.

    In realtà Tessa voleva solo fargli capire che non gli avrebbe dato da mangiare se non l'avesse ascoltata, ma il discorso aveva funzionato lo stesso. Ristabilita la supremazia, Tessa si mise a camminare quasi gioiosamente, fermandosi giusto all'uscita dalla piazza per far cenno al ragazzino di seguirla.

    -Muoviti Pallino.-

    Lo schiavo era ancora scioccato, ma si stupì ancora di più quando le sue gambe lo portarono a seguire lei. La sua acquirente. La sua tiranna. Ma anche la sua salvatrice.

    Decise quindi di seguire la decisione del suo corpo.

    Forse ora non poteva avere le risposte che cercava.

    Ma almeno stando con lei sarebbe sfuggito alle angurie.

    Tessa lo riportò all'aria aperta, nei vicoli di Alia appena sopra i sotterranei. Non erano propriamente in cima, dato che il cielo era lontano e si vedevano più palazzi di mattoni rossi che sprazzi di cielo.

    Le vie erano di terra rossa come i mattoni, in alcuni punti fangosa o con grosse pozze, oppure di pietre tonde, fastidiose sotto i calzari leggeri.

    Il servo di Tessa notò che l'acqua proveniva non da grondaie ma da veri e propri cumuli di neve, piuttosto in contrasto con il cielo terso e il calore ambientale.

    Un rumore di acqua lo fece girare verso la sua padrona.

    -Oh, maledettissimissima pozzanghera!- Esclamò Tessa capitando in un fangoso acquitrino in mezzo alla strada. Il ragazzino non aveva neanche la voglia di stupirsi per quella buffa uscita.

    Non sapeva com'era arrivato lì.

    Non sapeva dov'era.

    Non sapeva neppure il suo nome!

    Inoltre poco dopo aver preso coscienza di sé, si era trovato venduto ad una buffa ragazza.

    E qualcosa gli diceva che l'ambiente medievale intorno a se non era completamente corretto.

    I vestiari delle persone, le bancarelle, gli edifici... c'era qualcosa di sbagliato.

    E lui non poteva saperlo. Questo perché il suo cervello appena svegliato aveva appreso le informazioni di un mondo con schiavismo e armature di cuoio, bancarelle di legno e vecchi edifici di mattoni rossi prendendolo come corretto.

    Neppure una caduta chilometrica evitata per un soffio aveva fatto dubitare il suo cervello. Quella era una città medievale. Con stranezze, ma medievale. Anche se era sopra un enorme disco metallico volante.

    Tessa gli fece prendere scale su scale, attorno e dentro i palazzi, persino sull'esterno della città. Senza corrimano.

    Fecero frequenti pause per far riprendere fiato al ragazzino. Lui non sapeva se era un tipo atletico o no, non lo ricordava. Ma di certo sapeva che fare cento gradini al minuto potevano sfiancare chiunque.

    Tranne la

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