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Identità Globale. Episodio 1: La Genesi
Identità Globale. Episodio 1: La Genesi
Identità Globale. Episodio 1: La Genesi
Ebook494 pages6 hours

Identità Globale. Episodio 1: La Genesi

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About this ebook

A Washington, un uomo in tenuta da jogging viene trovato morto.
A Manhattan, un giovane broker è arrestato.
A Palo Alto, una donna muore in circostanze misteriose.
Inizia in questo modo il nuovo romanzo di David A. R. Spezia che, attraverso un puzzle di eventi, approfondisce il tema del furto d’identità, della manipolazione della verità e delle fake news nell’era della Rete.
In una San Francisco apocalittica che attende l'arrivo del devastante uragano Bercy, il protagonista è un giornalista e blogger, amante del cioccolato, di nome Roy Zarf. Una mattina Roy pubblica un articolo sul quotidiano più diffuso della città e, da quel momento, ha inizio l’epidemia sociale. Attraverso regole e attori inconsapevoli, la menzogna diventa verità grazie alla condivisione.
Questa è la nuova società, dove il cyber terrorismo è terra di nessuno e tutti sono potenziali bersagli.

Nuova edizione del romanzo uscito in libreria nel 2011.

- Ora capisco. Il messaggio che si vuole far passare è che nessuna ingiustizia rimane impunita. È come se ci fosse un grande vendicatore super partes che provvede a garantire l’equità sociale. Intervenendo quando è necessario.
- Sì. Il messaggio è proprio questo e non sarei riuscito a spiegarlo meglio di te!
- Il problema è definire il termine “giusto”. Anche qui vale la prima regola: la realtà è ciò che la maggioranza definisce tale. La Giustizia è opinabile. È il frutto di canoni sociali definiti. Chi si arroga il diritto di decidere?
LanguageItaliano
Release dateJul 23, 2014
ISBN9786050314427
Identità Globale. Episodio 1: La Genesi

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    Book preview

    Identità Globale. Episodio 1 - David A. R. Spezia

    David A. R. Spezia

    Identità Globale. Episodio 1: La Genesi

    UUID:

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice

    ...

    Introduzione

    1.01

    1.02

    1.03

    1.04

    1.05

    1.06

    1.07

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    1.75

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    1.77

    1.78

    1.79

    WINLANG - Principi Generali

    DIZIONARIO WINLANG - ITALIANO

    Bibliografia

    David A. R. Spezia

    ...

    La Parola Sulla Massa

    Batte la Tattica Militare

    Words On Mass

    Beat Army Tactics

    Roy Zarf

    Introduzione

    La diffusione dei computer prima e dell’accesso a Internet poi, ha trasformato le nostre vite in nodi di una rete globale costantemente interconnessi. Facciamo parte di un network di elaboratori di cui non si conosce il centro stella. Ammesso che esista. Questo ci porta certamente ad avere innumerevoli vantaggi in termini di comodità, con disponibilità di servizi che, fino a un decennio fa, appartenevano alla sfera della fantascienza, ma il rovescio della medaglia appare evidente: una perdita assoluta della privacy e il rischio che l’Informazione non possa essere più certificata.

    Ognuno oggi ha la possibilità di postare se stesso attraverso il web e di raggiungere un numero enorme di destinatari, di connettersi con sconosciuti, creando un universo d’idee frutto di tale interazione. Ancora una volta, siamo di fronte a qualcosa che è la stessa tecnologia a rendere disponibile.  

    Così come accade in natura quando compare un nuovo virus, non siamo pronti a fronteggiare quanto sta accadendo. Nessuno sa come il mondo reagirà. Ci saranno Paesi pronti ad alzare le barricate della censura, altri tenderanno a schedare ogni utente in modo da poterne controllare il traffico, altri lasceranno totale libertà. Certo è che da qui a qualche anno il nostro modo di vedere le cose cambierà radicalmente.

    Dieci anni fa, in Italia, non tutte le aziende avevano un sito web.

    Oggi, in Italia, non tutti i privati hanno un sito web.

    Che differenza c’è tra queste due affermazioni?

    Una sottile differenza linguistica, ma una grande diversità generazionale e tecnologica: ciò che era proprietà del business, adesso è della sfera privata.

    Che necessità abbiamo di avere un sito web, se non per lavoro? Nessuna. Il motivo è che ognuno di noi ha un’innata voglia di esprimersi. Lo facciamo quotidianamente a gesti, a parole. Lo facciamo via email, blog e siti di varia natura come Facebook. Questo ha allargato la base dell’Informazione, sottraendo agli storici produttori di conoscenza, come gli editori, il primato.

    La grande rivoluzione moderna è proprio questa: il centro stella sta morendo.

    Chi non se n’è ancora accorto fa parte della vecchia generazione. Quella convinta che la Storia faccia parte di un quasi infinito loop e che ciclicamente si ripeta, alternando periodi di pace a momenti di guerra. Queste persone non vogliono accettare il cambiamento perché troppo spesso coincide con la perdita dei loro interessi economici. Tale miopia conduce a una serie di azioni dissennate atte a mantenere lo status quo, fino a quando il numero dei contestatori è tale da divenire incontrollabile. In quel preciso momento della Storia possono accadere due fatti: il primo è la nascita di un movimento politico che riesce a imbrigliare l’energia della contestazione, canonizzando le idee e democratizzandole. Il secondo è la perdita totale di controllo che origina sommosse popolari. In entrambi i casi, prima o poi, si assiste al cambio generazionale dei vertici e all’inizio del processo di cambiamento.

    L’acume politico sta proprio nel capire quando un ciclo storico è al suo esaurimento. Io credo che in questo preciso istante siamo al giro di boa. La mancanza di un centro stella, rende evidente la situazione e i segnali che arrivano dal mondo, forti o deboli, parlano di questo.

    A un livello più basso, rispetto alle vicende narrate nel romanzo, ci sono proprio tali convinzioni.

    Siamo alla Genesi del cambiamento.

    Sarà un processo democratico o violento?

    Sarà il solito ciclo storico, oppure un bivio verso un universo parallelo?

    Attraverso la gestione della Verità, i potenti sono sempre riusciti a controllare la Massa. Oggi, grazie ai blog e all’interconnessione non è più possibile.

    Wikipedia e Wikileaks ne sono la prova.

    Identità Globale racconta La Genesi del nuovo.

    1.01

    Un uomo in tenuta da jogging invernale correva nella fitta vegetazione.

    Era oramai sera e pochissima luce filtrava attraverso le piante seco­lari che si infittivano man mano che ci si allontanava dal sentiero battu­to. Nel silenzio della natura, si udiva il respiro ansimante e lo spezzarsi dei rami secchi calpestati dalle Nike, mentre il passo diveniva sempre più goffo e pesante per la fatica.

    Quando si sentì sufficientemente distante, l’uomo fermò la corsa ri­manendo a scrutare nella direzione dalla quale era giunto. Trattenne il fiato per fare silenzio, divenendo paonazzo in volto. Qualche secondo dopo, emise un mugolio e riprese a respirare, riempiendo i polmoni d’aria fredda. Fece un paio di boccate, poi si fermò nuovamente ad ascoltare.

    Silenzio.

    Sgranò gli occhi nel buio.

    Fissò il vuoto oltre un albero, a cinque metri da dove si trovava, come se qualcuno dovesse comparire da un momento all’altro. Si era sentito osservato e seguito fin da quando era passato vicino alla piccola cascata di Peirce Mill.

    Ne era certo.

    A un tratto si udì distintamente un rumore di fogliame a poca distan­za. Una scarica di adrenalina raggelò la pelle in un brivido di paura. Al limite estremo del buio, nei pressi di un tronco caduto di traverso, il sottobosco si mosse.

    Qualunque cosa sia, non starò qui ad aspettare.

    Con uno scatto riprese a correre nella direzione opposta.

    Dietro di sé, sentì rami spezzati e foglie mosse da qualcuno nel ten­tativo di accorciare la distanza.

    L’uomo, dal fisico ben allenato, con pantaloni e maglia pesante di colore blu, stava dando fondo alle proprie energie: erano quasi due ore che correva senza sosta. Sapeva che non avrebbe resistito più di qualche minuto con l’attuale andatura.

    A un tratto, scavalcò un avallamento e si ritrovò in una radura. Fece alcuni passi, quindi si fermò, voltandosi a prendere fiato. Si guardò at­torno: uno spiazzo di una decina di metri per lato era comparso inaspettato e, nello stesso momento, gradito. L’idea di essere al centro di un luogo aperto e poterne controllare i confini, lo rasserenò.

    Si sentì in grado di gestire la situazione.

    Con il respiro impazzito e le gambe trafitte da migliaia di spilli, posò le mani sui fianchi e tentò di recuperare, ripensando alle ragioni che lo avevano condotto a iniziare la fuga. Si rese conto in quel momento di essersi allontanato a tal punto dal sentiero, da non sapere minimamente in che zona del parco fosse finito.

    Si voltò in ogni direzione per scorgere qualcosa di familiare. Guardò verso l’alto: il cielo era bluastro con pochissime tonalità arancio all’o­rizzonte ad annunciare l’imminente scomparsa del sole.

    Il panico si fece strada con un brivido lungo la schiena.

    Cazzo, tra poco è buio!

    La gola si chiuse e le mani sudarono.

    Un ramo schioccò alle spalle e lui non ebbe neanche la forza di girarsi, irretito dalla paura. Era certo che se avesse tentato di urlare, non ci sarebbe riuscito e, vista la distanza dal sentiero battuto, nessuno lo avrebbe sentito.

    Qualcosa si mosse proprio di fronte a lui.

    Le ginocchia questa volta si piegarono, costringendolo a una seduta forzata sull’erba umida.

    Con un immenso sforzo di concentrazione, tentò di riprendere il controllo.

    Doveva calmarsi.

    Prese a fare lunghi e profondi respiri per convincersi che la sensazione di mancanza d’aria non era dovuta a qualche ignota reazione allergica, bensì alla sola agitazione che lo stava portando a un attacco di panico. Con quella certezza, sgomberò la mente e, piano piano, rilassò i muscoli, facendo esattamente come gli aveva insegnato il dottore.

    Ci vollero un paio di minuti per riportare il battito alla regolarità e iniziare a sentirsi più calmo.

    Una grande fiducia lo rinforzò: si sentì fiero di com’era riuscito a ricacciare l’angoscia da dov’era venuta.

    Il sorriso comparve sul suo volto stanco e sudato.

    Ora non doveva far altro che tornare indietro.

    Si alzò al centro della radura e rimase in silenzio per qualche istante a cercar conferma.

    Alcune fronde, ai confini estremi, si mossero portate dal vento, men­tre le lunghe ombre crepuscolari erano svanite.

    Mi aiuterò con la luna e starò calmo.

    Si diresse verso il punto della boscaglia dal quale era venuto poco prima. Quando toccò un ramo all’altezza del viso, sentì distintamente qualcosa muoversi di fronte a lui. Ne percepì lo spostamento d’aria.

    Si fermò all’istante per ascoltare: di nuovo fruscio.

    Si chinò, guardando diritto in mezzo ai tronchi e al sottobosco. Il cuore prese ad accelerare, mentre un tuono in lontananza spezzava il momento di attesa.

    Ci manca solo la pioggia!

    Il fruscio cessò, seguito da un ansimare non molto distante.

    Nell’attimo in cui l’uomo ebbe la certezza di non essere più solo, si sentì sfuggire la situazione di mano. I palmi divennero gelati, la gola seccò in un istante, le gambe tremarono, l’aria iniziò a mancare. A ogni boccata, l’ossigeno pareva sempre meno, obbligando l’uomo ad acce­lerare il ritmo respiratorio. Sapeva che in poco tempo quel vortice lo avrebbe condotto a iperventilazione da panico, facendogli perdere il controllo. Svenire sarebbe potuta essere la soluzione migliore per esclu­dere l’angoscia. Con un po’ di fortuna avrebbe aperto gli occhi diretta­mente il mattino seguente.

    Al diavolo tutto!

    I pensieri vennero bruscamente interrotti dall’ansimare che si fece più vicino. Nella penombra oramai lunare, apparvero due puntini di colore giallo.

    L’uomo si accovacciò, immobile e terrorizzato.

    Senza alcun dubbio, di fronte, a non più di tre metri, erano comparsi due occhi che lo fissavano.

    Trovò la forza di reagire: si alzò e iniziò a correre per allontanarsi. Lo fece il più velocemente possibile, in mezzo alla vegetazione, tentan­do di evitare gli ostacoli naturali con la poca luce a disposizione.

    Il suo peggior incubo, il sogno che fin da bambino lo perseguitava, si era avverato. Non ricordava più quante volte gli era capitato di sve­gliarsi di notte completamente sudato e impaurito. Si immaginava di essere inseguito da un mostro e di rifugiarsi all’interno della boscaglia, di correre e correre, senza mai riuscire a seminare l’inseguitore.

    L’incubo terminava solitamente con una caduta e il mostro, dalle ap­parenze di un diavolo, che si avvicinava con gli artigli alzati e il sorriso beffardo. Gli ultimi istanti erano i peggiori: impossibilità di muoversi e consapevolezza di non avere nessuna via di scampo. Il risveglio av­veniva con il ghigno malefico della bestia satanica a un palmo di naso.

    Corse senza meta per dieci minuti, schivando rami, tronchi, sassi.

    Nel buio.

    La speranza era di riuscire ad allontanarsi il più possibile, magari sbucando sul sentiero oppure direttamente sulla strada.

    Sarebbe stato salvo.

    Avrebbe fatto ritorno alla sua auto, poi sarebbe partito verso casa, protetto dalla chiusura centralizzata.

    Con un salto evitò un piccolo arbusto di slancio. Quando mise il piede sul terreno, si accorse di essere sul ciglio di una discesa. Fu spinto dalla forza di gravità in una pericolosa corsa senza freni.

    Stava per cedere e lo sapeva.

    Un movimento sbagliato gli fece mettere malamente la caviglia, obbligandolo a un urlo di dolore. Poco dopo, iniziò a rotolare nella fitta vegetazione senza più alcuna direzione. Durante i primi due o tre giri completi, gli parve quasi un’ottima alternativa alla fatica di scendere correndo. Poi realizzò. Quando un grosso sasso gli diede un colpo tal­mente forte alla schiena da lasciarlo senza fiato.

    Nuove e tremende botte lo indussero a pregare che la discesa si esau­risse il prima possibile, ma parve un’eternità.

    Quando si fermò, rimase a boccheggiare a labbra spalancate con la viva sensazione di centrifuga. Ci mise un po’ a capire l’alto e il basso. Lo smarrimento passò con la contemporanea comparsa dei primi forti dolori per la caduta: schiena, fianco, polso e coscia pulsavano di soffe­renza.

    Con la mano che non gli doleva, tastò la fronte: percepì qualcosa di viscido e caldo. Capì che si trattava di sangue quando, all’altezza della tempia, sentì un rigonfiamento e una lacerazione.

    Provò ad alzarsi, ma fu trattenuto dal tremendo dolore alla caviglia e da vertigini incontrollabili. Stette sdraiato, immobile, a prendere fiato nel silenzio del bosco.

    Ora che cazzo faccio! pensò annebbiato.

    «Merda. Merda!»

    Il panico iniziò a farsi strada.

    Un fruscio alle spalle lo indusse a scattare e fu seduto senza neanche rendersi conto.

    L’ansimare dell’inseguitore si fece vicino.

    Senza provare alcun dolore, si voltò a scrutare nella penombra. I due occhi comparvero a intermittenza, non molto distanti e lui urlò per la paura: «Aiuto! Aiuto! Aiutatemi! Sono qui!».

    Prese un ramo e lo scagliò.

    Gli occhi svanirono per ricomparire alla sua destra, più vicini.

    «Vai via! Vai via! Voglio andare a casa!» gridò.

    Tastò attorno, fino a trovare un sasso. Lo scollò dal terreno umido e, con tutta la forza, lo scaraventò quasi a casaccio. Sentì un tonfo sordo, immediatamente seguito da un guaito.

    Ci fu un bagliore che illuminò per un istante l’ambiente. Sentì il sottobosco muoversi, di nuovo, poi un tuono echeggiò per secondi fino ad amalgamarsi al silenzio.

    Si lasciò cadere con il battito che andava all’impazzata, ma felice di aver scoperto che il suo inseguitore, con tutta probabilità, altro non era che un coyote. Sapeva che nel parco era presente un branco che però non aveva mai attaccato l’uomo.

    Si tranquillizzò.

    Una goccia di pioggia gli bagnò il volto, seguita da un fulmine che parve ancora più vicino.

    Respirò con affanno, sdraiato a pancia su.

    Oltre le cime degli alberi, appena visibili, scorse la fioca luce della luna. Con il temporale in arrivo, sapeva che di lì a poco non avreb­be avuto a disposizione neanche quel tenue bagliore per orientarsi.

    In uno sforzo, tentò di alzarsi. Istantaneamente avvertì una fitta lan­cinante alla coscia. Toccò il punto del dolore, trovando con sorpresa qualcosa di duro. Lo palpeggiò studiandone i contorni e capì: un ramo conficcato nella carne viva.

    Il panico ebbe il sopravvento. Iniziò a respirare all’impazzata, poi si bloccò, udendo un ramo spezzarsi.

    Rimase in silenzio.

    «Ancora! Ancora quel coyote di merda!»

    «Vai via!»

    Un rantolo lo fulminò, dove si trovava.

    Quel verso era qualcosa d’inaspettato.

    Stette immobile.

    Un nuovo rantolo, seguito da un urlo demoniaco.

    «Cazzo! Cazzo! Chi sei!» gridò.

    Sgranò gli occhi, mentre la pioggia aumentava d’intensità.

    Una serie di fulmini e tuoni caricò l’aria.

    I bagliori gli permisero di osservare a intervalli ciò che aveva attor­no: solo vegetazione.

    Passarono alcuni minuti, poi si udì uno spostamento a breve distanza. Poco dopo, un urlo e un sogghigno confermarono una presenza ostile.

    L’uomo si alzò in uno sforzo di disperazione. Quando mosse il primo passo, sentì forte il dolore alla caviglia e l’impedimento del ramo conficcato nella coscia. Fece per cadere, ma si trattenne, terrorizzato da un grido maligno proveniente da dietro.

    Un brivido ghiacciato corse lungo la schiena.

    Senza curarsi del male, impugnò il ramo e lo tirò con un movimento secco, estraendolo. Finalmente libero, riprese a correre, zoppicando.

    È venuto a prendermi! È reale! Esiste!

    La pioggia si fece copiosa, iniziando a inzuppare il terreno e renden­do la fuga sempre più difficile.

    Corse a più non posso, facendosi largo attraverso le sagome scure delle piante, con volto e braccia graffiati da rami che parevano filo spinato.

    Dietro, sentì vicina quella presenza che continuava a emettere versi, urla e rantolii. Un passo oscuro e pesante manteneva la distanza, dando l’impressione di poter raggiungere la preda in ogni istante.

    Sfinito e indebolito, si scoprì a terra con la faccia in una poltiglia di fango, sassi e foglie. Respirò melma, poi tossì, piangendo come un bambino. Con la coda dell’occhio vide i lampi illuminare a giorno gli alberi.

    Pregò.

    Poi, un’enorme scarica, seguita da un boato, lo tramortì. Quando ria­prì le palpebre, vide un fusto a non più di dieci metri bruciare. Il tronco era squarciato a metà e, proprio da quella ferita lignea, divampavano imponenti fiamme come fossero zampilli di sangue. Fu allora che scor­se ciò che non avrebbe mai voluto vedere: poco distante, una sagoma, dalle sembianze umane, rimaneva immobile e nascosta nella penombra.

    Il corpo non ben definito, appariva stilizzato.

    La testa sembrava un tutt’uno con il resto.

    Un mugugno coincise con l’affievolirsi del fuoco soffocato dalla pioggia.

    In quegli istanti tutto parve immobile.

    Quando la fiamma esalò l’ultimo respiro, l’uomo vide la sagoma muovere un passo nella sua direzione.

    Scattò in piedi in uno smisurato sforzo e riprese a correre per fug­gire.

    Il pianto gli faceva mancare il fiato, la pioggia bruciare gli occhi, il buio e la fatica rendevano impossibile evitare gli ostacoli.

    Un violento urto contro un albero, lo obbligò a cedere. Di nuovo a terra, singhiozzò, tossendo e annaspando con le mani nel fango.

    Si voltò infine a pancia su, stremato e arreso.

    La pioggia gli riempì la bocca, obbligandolo a tossire e a girare la testa di lato.

    Udì qualcuno avvicinarsi.

    Pianse, gemendo in preda al panico.

    «No! Ti prego! Lasciami stare! Ti prego! Risparmiami! Voglio andare a casa! Voglio andare a casa!» supplicò.

    Nel gelo della boscaglia, tra tutti i dolori, con lampi e tuoni che pa­revano non voler allentare la presa, un’inaspettata sensazione di caldo alla coscia lo rapì.

    Si toccò, senza capire che cosa fosse.

    Non poté fare a meno di pensare al suo sogno, al suo incubo premonitore. Tutto era come lo aveva immaginato: la fuga tra gli alberi, la percezione della paura, lo smarrimento, il terrore, la bestia satanica, quel tremendo verso. Non riusciva a capire come un sogno potesse essere stato così vicino alla realtà. Si chiese come la mente avesse potuto anticipare quanto stava accadendo. Si domandò come sarebbe stato morire e se il dolore avrebbe occupato lo spazio della paura.

    Un senso di fatalità si fece largo, quasi tranquillizzandolo.

    Poi un lampo, un tuono.

    Alzò la testa e vide la sagoma scura a pochi passi.

    «No! Ti prego!» urlò.

    «Ti prego!» pianse.

    Un rantolo dalla parte opposta attirò l’attenzione.

    Si voltò.

    Un fulmine illuminò un’altra sagoma identica.

    Erano due, forse.

    La sensazione di caldo alla coscia svanì improvvisamente, lasciando il posto a un’ondata gelida che si propagò per tutto il corpo.

    Poco dopo, si sentì mancare le forze.

    Sfinito, chiuse gli occhi e perse i sensi.

    1.02

    L’isola di Manhattan si estende per ottanta chilometri quadrati. È il cuore finanziario e culturale di New York City.

    Quando Dean fu assunto alla Bradford Investments, in Pine Street, non credeva che avrebbe direttamente assistito, e in maniera così ravvi­cinata, al crollo delle due Torri. Di quella mattina ricordava chiarissimo il primo impatto. Era appena entrato nel suo ufficio quando udì, ravvici­nato, il tonfo sordo dell’aereo contro la struttura della Torre nord.

    Il mondo tremò quel giorno e lui con esso.

    Aveva perso due amici nell’attentato, o meglio, due colleghi. Nel mondo della finanza, nessuno si nascondeva dietro al fatto che l’amici­zia non poteva resistere davanti alle opportunità. Ognuno era pronto a sfruttare qualsiasi informazione pur di avere la dritta giusta. In periodo di crisi planetaria, soprattutto nella Grande Mela, così colpita dai giochi finanziari degli ultimi anni, una settimana positiva era una rarità che faceva immediatamente salire alla ribalta il nome del broker che aveva garantito guadagni ai propri clienti. Dean sapeva benissimo che non era dal giorno alla notte che il mondo era improvvisamente divenuto povero. Gli investitori di una volta c’erano ancora, anzi, la voglia di affari era aumentata con il disastro economico. Ciò che mancava era la fiducia negli uomini.

    Con l’onda anomala della crisi, moltissime teste erano saltate. I col­letti bianchi che una volta gestivano milioni di dollari, si erano ritro­vati a fare immense code, il mattino, davanti agli sportelli d’impiego. Un’intera classe di consulenti finanziari era stata buttata via come mer­ce avariata. In compenso, solo pochissimi dirigenti, i diretti responsabili del sistema malato, avevano pagato. Oggi erano ancora lì, in attesa che lo tsunami passasse, semplicemente riducendosi i bonus milionari per mantenere un basso profilo.

    Lo sapevano tutti: la gente ragiona d’istinto, ma poi tende a dimen­ticare.

    Con una situazione tale, gli investitori ricominciavano a puntare, ma su cavalli giovani e promettenti. Non si fidavano dei vecchi lupi di Wall Street. Preferivano giocare poco, su beni rifugio, per tastare il proprio consulente. Poi, magari, avrebbero alzato la posta con qualche rischio in più. Funzionava maggiormente il passaparola all’interno di qualche circolo, piuttosto che la pubblicità degli istituti storici.

    Dean era esattamente questo: incarnava il perfetto broker in ascesa. Era riuscito a ottenere utili da investimento per diciotto settimane con­secutive: un record assoluto.

    Domani sarebbe iniziata la diciannovesima.

    Sapeva che non sarebbe durato in eterno e voleva approfittare del momento per avere tutto: successo, soldi, lusso, donne. Ai primi tre ci aveva pensato la sua compagnia, ricoprendolo di premi e alloggiando­lo in una magnifica casa nel Midtown West di Manhattan. Lo sfarzo dell’abitazione quasi lo nauseava, ma gli tornava comodo per moltis­simi motivi, soprattutto per rimorchiare bellissime donne inebriate dal successo che amava ostentare. Quella sera aveva un appuntamento con Jessica Bouls: una trentenne rampolla di una delle famiglie più ricche d’America. La ragazza, dedita all’alcool e alle droghe, spesso fotogra­fata sui principali giornali scandalistici di tutto il mondo, aveva fatto in modo di conoscere Dean durante una festa.

    Per l’appuntamento c’era voluto pochissimo.

    Era stata lei ad avvicinarsi con malizia all’orecchio: «Mi piacerebbe conoscere meglio l’uomo che ha un cervello che fa impazzire gli uomi­ni e un fisico che fa innamorare le donne».

    Un bigliettino con il numero personale di Jessica era stato l’epilo­go dell’incontro durato appena un paio di minuti. Si era poi eclissata, scomparendo tra personaggi famosi e uomini dell’alta finanza e con un bicchiere di Champagne tra le mani.

    Dean si stava radendo, davanti allo specchio gigante del bagno. Can­ticchiava. A piedi nudi sul pavimento in marmo di Carrara, assaporava il gusto della felicità.

    Avrebbe portato Jessica al 21 Club: un’istituzione per la clientela d’elite newyorkese. Un ex locale clandestino che, durante gli anni del proibizionismo, riuscì a eludere diverse retate della polizia grazie a una cantina segreta. Era possibile prenotare quella cantina per organizzare party esclusivi. Dean aveva deciso di non badare a spese: aveva riserva­to l’intero ambiente e, con un privè di quel tipo, la ragazza non avrebbe resistito.

    Già si immaginava le foto e i titoli sulle riviste.

    Giovane rampante della finanza visto con Jessica Bouls

    Nuovo amore per Jessica

    Chi è il misterioso uomo con Jessica?

    Dopo Pitt, arriva Dean Jones

    Tamponandosi il viso con un asciugamano color panna, non poté fare a meno di intonare You can’t always get what you want dei Rolling Stones: un gruppo che aveva recentemente riscoperto.

    Si sentì soddisfatto.

    Lasciò il bagno e percorse nudo il corridoio.

    Il suo fisico era statuario, perfetto: una bilanciata combinazione di muscolatura e snellezza. Se non fosse stato per il metro e settantotto di altezza, avrebbe incarnato l’archetipo del modello da sfilate. Lui lo sapeva, ma se questo era bastato ai tempi del college per rimorchiare, ora, nell’ambiente del jet set, ci voleva ben altro. La bellezza era solo l’ultimo dei requisiti che le vip cercavano in un uomo.

    Estrasse dal guardaroba un completo scuro Armani andando a colpo sicuro, poi aprì l’anta dello scomparto, dove erano riposte una ventina di camicie ancora incellofanate.

    Molto rapidamente, scorse con lo sguardo i colori a disposizione e poi scelse un turchese di seta.

    Guardandosi allo specchio per tutto il tempo, si vestì, continuando a canticchiare e a sfoggiare un sorriso strafottente.

    Con una mossa da ballerino, infilò la giacca.

    Spense la luce e, ancora scalzo, rientrò in bagno.

    Nebulizzò un po' di Calvin Klein sul collo, sistemò i capelli e si osservò compiaciuto. La camicia slacciata sul petto glabro era da lui considerata come il messaggio perfetto per una notte di follia.

    Prima di uscire, infilò un paio di calze appoggiandosi al divano in pelle chiara del salotto, poi scarpe Dolce&Gabbana in vernice prese da una scatola lasciata all’ingresso dell’appartamento. Ci fece qualche passo per sentirsele sue, quindi si avvicinò al ci­tofono e lo alzò: «Buonasera, sto per scendere».

    Si chiuse la porta alle spalle e imbucò l’ascensore. Giunto nella hall, attraversò il breve corridoio, passò la porta girevole e scese i quattro gradini che rialzavano lo stabile dal piano stradale della Trentaseiesima Strada.

    «Buonasera, signor Jones» disse un uomo con uniforme rossa e cap­pellino con impresso il numero civico del palazzo.

    «Ciao Adam» rispose Dean.

    Una Porsche 911 cabrio illuminò l’asfalto. Scese un ragazzo con un gilet rosso che fece il giro della vettura correndo: «Prego signor Jones. La sua auto è pronta».

    Dean ringraziò con dieci dollari e salì al posto di guida.

    «New York, sei mia» disse partendo in sgommata.

    Poco prima dell’incrocio, il cellulare suonò.

    Lui premette un tasto dietro al volante, aprendo la linea.

    «Jones» disse.

    Si udì una voce sensuale di donna riempire l’abitacolo: «Ciao. Sono io».

    Sorrise: «Ciao Rebecca, come stai?».

    «Non tanto bene.»

    «Come mai. Che c’è?»

    «Prova a immaginare.»

    «Problemi con i titoli?»

    «No.»

    Ci fu un attimo di silenzio, poi Dean riprese con tono ironico: «Pro­blemi con tuo marito?».

    «No.»

    «Non essere timida con me…»

    «Ti sono sembrata timida l’ultima volta?»

    «Direi proprio di no.»

    «Allora ritenta, mister diciotto settimane.»

    Dean rise di nuovo. Poi aggiunse: «Forse ti senti sola questa sera?».

    «Bravo il mio ometto!»

    «Io però questa sera non posso.»

    La voce della donna si fece ancora più provocante: «Vuoi dire che il mio broker personale rinuncerebbe a un paio di milioni da mettere su qualche fondo arabo?».

    «No, assolutamente. Non dico questo. Dico solo che questa sera ho un altro impegno.»

    «Ah sì? E quanti anni ha questo impegno?»

    Lui non rispose.

    «Te lo dico io… trentuno» riprese la donna.

    «Hai delle ottime fonti.»

    «Dai, lo sanno tutti del tuo privè al 21. Sei la notizia della settima­na. Sei andato dall’estetista? Preparati a una bordata di flash quando arrivi.»

    «Addirittura? Sono già così famoso?»

    «No. Non sei tu quello famoso dei due.»

    «Ne sei sicura?» ironizzò.

    La donna smise per un attimo il tono di recita per divenire seria: «Lo sai, vero, che il tuo periodo fortunato, prima o poi, finirà? Gli amici che hai adesso, non esisteranno più. Diventerai un impiegato qualsiasi. Lo sai questo, vero?».

    Lui non se ne curò: «Stai tranquilla che i miei home run sono solo all’inizio e, comunque, prima che la mia carriera finisca, avrò portato a casa più titoli io degli Yankees».

    La voce femminile ritornò calda: «Wow! Così mi piaci. Sei un vin­citore nato. Quando ti posso vedere?».

    «Mercoledì. Dopo lo squash.»

    I cinquecento cavalli della Porsche ruggirono, entrando sulla Cin­quantaduesima Strada. Il 21 Club si trovava nel cuore di Manhattan, non molto distante dall’appartamento.

    «Faccio un passaggio davanti all’ingresso per vedere com’è la situa­zione» disse lui. Aggiunse: «Ora ti devo salutare».

    «Ok tesoro. Un bacio.»

    Si udì il tono di chiusura della conversazione.

    Dean guidò, senza rallentare, transitando di fronte al ristorante. Una limousine era ferma con attorno cinque fotografi che la illuminavano di flash. Fece in tempo a vedere Jessica vestita di bianco e aiutata da due guardie del corpo.

    Cazzo! Sono un grande!

    Voltando l’angolo per fare il giro dell’isolato, abbassò la capotte.

    Buttò un occhio allo specchietto per controllare i capelli e sistemò i polsini della camicia. Si sentiva un perfetto agente 007 pronto per girare una scena d’amore con la Bond girl di turno.

    In breve, fu di nuovo all’angolo della Cinquantaduesima.

    Accostò al marciapiede del 21, quindi aprì la portiera.

    I fotografi si guardavano attorno, in attesa.

    Un ragazzo con la divisa del ristorante si avvicinò alla Porche: «Buonasera, signor?».

    «Sono Jones» rispose Dean.

    Udendo quel nome, uno dei paparazzi si ringalluzzì immediatamen­te: iniziò a scattare una raffica di foto come tenesse in mano una mi­tragliatrice. Gli altri suoi colleghi lo seguirono, agitandosi per la breve distanza che separava l’auto dall’ingresso del locale.

    Dean si sentì al settimo cielo.

    Sfoggiando un teatrale fastidio per l’accoglienza ricevuta, infilò la porta.

    Un signore dai capelli bianchi, in perfetta tenuta del 21 Club, gli si fece incontro con un immenso sorriso sul volto paffuto: «Buonasera signor Jones. È un piacere averla ospite da noi. Se mi vuole seguire, l’accompagno alla cantina. La signorina Bouls la sta già aspettando».

    «Grazie» replicò lui senza tradire alcuna emozione.

    Poco dopo, la vide.

    Era bellissima: indossava un abito bianco tappezzato di paillets ar­gento che contrastavano magnificamente la carnagione ambrata. Aveva una scollatura vertiginosa fino all’ombelico, nel quale era incastonato un diamante principesco. I capelli, biondo cenere, si presentavano rac­colti con diversi ciuffi liberi di scendere dalle tempie. Un trucco legge­ro evidenziava l’incantevole azzurro degli occhi.

    «Sei il primo che arriva in ritardo» disse lei.

    Lui non rispose immediatamente. Si avvicinò, le prese dolcemente la mano, accostò le labbra al dorso, senza però toccarlo, e abbozzò un bacio silenzioso nell’aria.

    «Che galante. Forse ti perdonerò.»

    «Mi hai già perdonato.»

    Lei sorrise, flirtando con lo sguardo.

    Si sedettero all’unico tavolo lasciato al centro del locale. Sebbene lo spazio a disposizione fosse effettivamente eccessivo, l’originalità della cantina, assieme alle calde e soffuse luci, conferiva un tono d’intimità alla serata.

    Un cameriere si presentò: «Buonasera, sono il maître. Posso con­sigliarvi qualche vino per cominciare, oppure i signori hanno già una preferenza?».

    «Vorrei delle bollicine» disse lei con impostata ingenuità.

    Dean acconsentì con il capo, inducendo il cameriere a fare una pro­posta.21

    «Abbiamo un ottimo rosé Perrier-Jouët Blason de France.»

    Non conoscendo minimamente l’argomento, Dean bleffò: «Direi che forse c’è qualcosa di meglio e di più adatto. Qualcosa di più esclu­sivo. Che ne so… il più costoso forse».

    Il cameriere si sentì a disagio: «Certamente. Un Moët & Chandon Don Perignon del duemila credo sia perfetto».

    «Uuuu… io lo adoro!» miagolò lei.

    «Va bene quello» confermò Dean. Poi aggiunse: «E continui a por­tarlo. Non mi piace avere bottiglie mezze vuote a tavola. Dalla metà in giù, per me, sono da buttare».

    Jessica lo guardò con dichiarata intensità.

    1.03

    «Che mal di testa!»

    «Mi scoppia!»

    Roy buttò la mano sul comodino, rovesciando un bicchiere pieno di qualche liquido alcolico.

    «Che puzza! Che ore sono?»

    Tastando a casaccio, agguantò la sveglia a forma di palla da base­ball. Con un occhio ancora chiuso, mise a fuoco il display.

    «Le undici. Merda!»

    Si alzò di scatto: «Le undici… le undici? Ho dormito tutto il gior­no!».

    Tirò la sveglia contro un muro e si lasciò cadere sul letto, tenendosi la testa tra le mani.

    Mi devo alzare! Ce la posso fare! pensò, cercando di convincersi.

    In un tremendo sforzo, slanciò un piede oltre il materasso e si rad­drizzò insicuro.

    In

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