Apocalisse Peluche
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E hanno vinto i giocattoli.
Peluche, bambole e soldatini dotati di intelligenza artificiale non ne potevano più di venire maltrattati da bambini viziati e distrutti al minimo accenno di ribellione. Senza libertà, senza diritti, senza una speranza per il futuro, la loro unica possibilità di salvezza era di sterminare gli umani. Iniziò la rivolta.
Julie è una ragazza sopravvissuta per sette anni dopo la rivolta dei giocattoli. Per riuscire a infiltrarsi tra loro e cercare i propri genitori, detenuti in un campo di concentramento, si è sottoposta a una serie di interventi per divenire identica a un panda peluche. Le manca solo la pelliccia sul volto.
L’invasione del bunker sotterraneo, in cui abita con una comunità di umani, la costringe ad accelerare i propri piani. Mentre gli umani vengono sterminati, lei indossa una maschera da panda e tenta di farsi passare per un peluche, cercando di non farsi fissare troppo da vicino.
Riuscirà a ingannare gli altri giocattoli e a ritrovare i propri genitori?
[Romanzo di Bizarro Fiction, collana Vaporteppa, 40.000 parole, circa 141 pagine, con in aggiunta un saggio di "Introduzione alla Bizarro Fiction" di 3800 parole a cura di Chiara Gamberetta]
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Book preview
Apocalisse Peluche - Carlton Mellick III
16:07
PRIMA
PARTE
CAPITOLO UNO
Il dottore staccò l’ultimo strato di pelle umana dal braccio di Julie e lo sostituì con una striscia di soffice pelliccia nera.
«Un panda, un panda,» canticchiò il dottore alla sua paziente, le labbra incrostate così aperte che Julie riuscì a scorgere il dente storto di bronzo pieno di sporcizia e di sangue gengivale. «Un grazioso cucciolo di panda.»
Il dottore non aveva potuto sprecare anestetici per l’operazione, così persino l’aria che le sfiorava il braccio scarnificato sembrava simile a lame seghettate sul tessuto esposto.
Il dottore continuò a cantare con quella sua voce stridula, «Mangiando bambù con mamma panda.»
Le urla della ragazza risuonarono attraverso i corridoi di metallo del bunker sotterraneo mentre il dottore cuciva il pezzo di pelliccia imbottita sulla porzione sanguinante di muscolo scorticato. La sessantasettesima operazione di questo genere alla quale la ragazza si era sottoposta. Ognuna era stata più dolorosa della precedente.
Il dottore si gettò alle spalle un braccio di panda in cotone, che andò ad aggiungersi alla montagna di parti di animali in peluche dietro di lui. C’erano voluti così tanti giocattoli per trasformarla. Aveva impiegato sedici mesi a perlustrare le rovine cercandoli, frugando tra le macerie di ogni edificio crollato per chilometri e chilometri. Probabilmente non era rimasto un solo altro panda giocattolo imbottito in tutta la città. Se il dottore non avesse avuto sufficiente pelliccia per terminare il lavoro, Julie non avrebbe saputo cosa fare.
«Mamma panda ama il cucciolo di panda,» cantò il dottore. I suoi occhi erano troppo grandi rispetto alla testa e la scrutavano fuori dalle orbite. «E il cucciolo di panda ama mamma panda.»
Julie non riuscì più a sopportare il suo canto stridulo.
«Potresti chiudere quella cazzo di bocca?» disse con un’acuta voce elettronica. «Mi fai venire i brividi quando canti.»
«La mia voce fa venire i brividi a te?» disse il dottore. Ridacchiò. «Sentiti.»
Una delle prime operazioni che il dottore aveva eseguito su Julie era stata di rimuovere la sua laringe umana rimpiazzandola con quella di uno smart toy. Da quel giorno non aveva più avuto la voce di una ragazza umana.
«Sembri un pedofilo quando canti quella canzone,» disse Julie nel suo tono inumano.
«E tu somigli a un personaggio demente di un cartone animato,» disse il dottore. «Provochi gli incubi a chiunque.»
Quando la procedura fu ultimata, Julie corse allo specchio per controllare il suo nuovo braccio nero di peluche. Si abbinava al resto della pelliccia che le ricopriva il corpo. Qualche altra operazione soltanto e finalmente sarebbe diventata un vero panda di peluche.
«Meravigliosa,» disse il dottore, ammirando il suo lavoro. «Sembri proprio una di loro.»
«Non voglio sembrare una di loro. Voglio diventare una di loro.»
Si strappò di dosso i vestiti logori per vedere come appariva complessivamente. La sua pelle era un mosaico di pelo bianco e nero. Le mani erano salde e soffici. I seni erano bianche sfere rigonfie. La superficie di peluche era stata innestata sul novantatré percento del corpo. Rimanevano da ricoprire soltanto la faccia e alcune parti del torace e delle ascelle prima che fosse completa.
Il dottore ripulì i suoi attrezzi dentro una latta di caffè annerita, sulla stufa. «La prossima volta incominceremo la faccia,» disse. «Che sarà la parte più difficile. Richiederà almeno una dozzina di interventi.»
«Così tanti?»
«Se vuoi tralasciare la faccia, ho ancora la maschera.» Il dottore aprì un cassetto metallico cigolante vicino alla stufa, mostrando la maschera di un panda che aveva costruito mesi prima.
«Te l’ho detto,» disse lei, ritraendosi. «Non vale la pena rischiare. Se devo infiltrarmi tra loro, il mio aspetto deve essere realistico.»
Il dottore gettò la maschera da panda nel cassetto. «Come preferisci, ragazza folle.»
Lei si diede un’ultima occhiata allo specchio e si stropicciò le orecchie pelose da panda in cima alla testa. Provava ancora dolore da quando il dottore le aveva tolto lo scalpo il mese precedente, rimpiazzando i suoi capelli umani con una cuffia di pelo bianco e nero.
«Comunque,» disse il dottore. «Non mi hai mai raccontato…»
«Che cosa?»
«Tra tutti gli animali imbottiti che saresti potuta diventare, come mai hai scelto proprio un panda?»
Julie si morse il labbro annerito.
«Mi sono sempre piaciuti i panda.»
«Ma quand’è che hai visto per l’ultima volta un panda, là fuori?» le chiese. «Ti saresti mescolata meglio come orsacchiotto o coniglietto.»
«A volte emergere è il modo migliore per mescolarsi,» disse lei, levandosi il sudore dalle ascelle con una manciata di batuffoli di cotone grigiastri.
***
Julie strisciò sotto l’albero di Natale per scoprire il suo ultimo regalo – quello con le fatine e i fiocchi di neve sul pacchetto.
«Che cosa ti ha portato Babbo Natale?» chiese il papà di Julie, in piedi dietro di lei nel suo pigiama dal profumo di pino.
La piccola Julie non rispose, tirando a sé la pesante confezione, cercando di estrarla con tutte le sue forze e quasi abbattendo l’intero albero nel tentativo.
«Babbo Natale ha lavorato sodo per ottenerlo,» disse suo padre. «Era davvero costoso.»
Si avvicinò al mento una tazza di cioccolata calda a forma di renna e soffiò sul vapore che saliva tra le corna.
«Fatemi uscire di qui,» disse una voce acuta proveniente dal pacco.
«Cosa?» disse Julie sentendo la voce, con gli occhi che brillavano. La confezione iniziò a muoversi e a scuotersi da sola. «Cos’è?»
«Avanti,» disse la voce. «Qui dentro sto diventando claustrofobico.»
«Cos’è?» urlò Julie eccitata.
«Sbrigati ad aprirlo,» disse suo padre, sorseggiando la cioccolata.
«Perché ci metti tanto?» disse la voce nella scatola. Aveva un accento newyorchese degli anni Trenta da cartone animato. «Sei lenta di comprendonio o cosa, ragazzina?»
Julie strappò la carta da regalo e vide un animale di peluche all’interno della scatola. Era vivo e prendeva a sberle la confezione di plastica, smaniando per essere liberato.
«Che cos’è? Che cos’è?» gridò Julie.
«È uno smart toy!» rispose il padre.
Il giocattolo scivolò fuori dalla scatola e si mise a posto la pelliccia.
«Ommioddio! È un panda! Io amo i panda!»
«Grazie, ragazzina,» disse l’animale di peluche, allungando i suoi piccoli morbidi arti e facendo respiri profondi. «Un altro minuto là dentro e sarei potuto morire soffocato.»
Julie strinse il panda tra le braccia e lo abbracciò più forte che poté.
«Ehi aspetta un secondo, che succede?» gridò il panda. «Fuori da una prigione e subito dentro un’altra!».
Il giocattolo si dimenava tra le braccia di Julie.
«Non le avrai veramente preso uno di quelli, no?» La madre di Julie entrò nella stanza, dietro di loro. Si stava sfregando la testa, troppo in preda al post-sbornia per essere sveglia già di prima mattina. «Oh Gesù…»
«È ciò che voleva.» Il padre sorrise di fronte all’esaltazione della figlia.
«Ha dieci anni,» disse la madre. «È troppo grande per gli animali di peluche.»
«Ma guarda com’è carino,» disse il padre. «Quasi quasi volevo comprarne uno anche per me.»
La madre scosse la testa. «Sì, ti piacerebbe…» Quindi tornò in cucina a preparare un’altra caffettiera.
«Come si chiama? Come si chiama?» chiese Julie.
«Non chiederlo a me,» rispose il padre, indicando il giocattolo dal muso arruffato. «Chiedilo a lui.»
«Come ti chiami?» domandò Julie al panda.
«Lasciami andare e te lo dirò.»
Julie lo lasciò andare.
«Chiamami Poro,» disse il panda, strofinandosi via dalla pelliccia la puzza della ragazzina.
«Ciao Poro, io mi chiamo Julie!»
«Sì, grandioso.»
Il panda borbottò tra sé e sé, «Lo sapevo che sarei stato incastrato da una ragazzina piatta come una tavola…»
«Ti vorrò per sempre bene, Poro!» gridò Julie, stringendo di nuovo il peluche tra le braccia.
***
La piccola Julie giocò senza sosta con il suo nuovo amico per tutto il pomeriggio. I suo genitori restarono seduti sul divano a osservare con stupore, sbigottiti dalla tecnologia avanzata del giocattolo.
«Come diavolo riesce a parlare in quel modo?» chiese la madre di Julie al padre. «Sembra una persona vera.»
«In pratica è una persona vera,» le rispose il padre. «È programmato per avere l’intelligenza di un essere umano. Prova persino emozioni.»
«Come può provare delle emozioni? È soltanto un programma computerizzato.»
«Le emozioni sono soltanto risposte programmate sia per gli umani che per i computer,» rispose il padre. «Se lei è scortese con il giocattolo, questo sarà triste. Se sarà gentile con lui, il panda la amerà a sua volta. Imparerà lezioni significative sulla socialità interagendo con lui.»
«Vorrei che ne avessi discusso con me prima di acquistarlo,» disse la madre. «Non so se mi va a genio l’idea di quella cosa che corre su e giù per la nostra casa.»
Poro gettò un cuscino a Julie attraverso la stanza. Questo mancò la ragazza e si impigliò tra i rami dell’albero di Natale. Quindi rise indicandolo.
«Sarà come vivere con uno strano omino minuscolo,» disse la madre.
«È completamente sicuro,» rispose il padre.
«Ne sei certo?»
«Qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere?»
Mentre Julie inseguiva il suo nuovo giocattolo per la stanza, Poro andò a sbattere contro un tavolo e fece cadere una boccia per i pesci sul linoleum. Il vetro si frantumò e fece volare il pesce rosso di famiglia.
«Ditemi, chi è l’idiota che l’ha messo lì sopra?» disse il panda, spazzolandosi via l’acqua del pesce rosso dalla pelliccia.
Non era necessario che la madre lo dicesse, ma lo disse comunque. «La cosa peggiore che potrebbe accadere?» Lanciò un’occhiata al padre di Julie. «Da dove comincio?»
Alzò gli occhi al cielo.
***
Quando Julie abbandonò la stanza del dottore, pulendosi la soffice pelliccia da sangue e segatura, un’esplosione sconquassò il bunker e le fece perdere l’equilibrio. Una saetta di dolore le corse lungo il pelo quando il suo braccio fresco di cucitura sbatté contro il muro.
«Che diavolo è stato?» domandò Julie a un soldato che le correva accanto lungo il corridoio.
Il giovane si voltò per risponderle ma non si fermò, proseguendo in direzione opposta rispetto al rumore. «Loro sono qui. Ci hanno trovati!»
Julie raccolse il braccio e corse lungo l’atrio verso le scale. Lassù c’era confusione – persone che urlavano in preda al panico, cercando di mettersi in salvo. Poi colpi d’arma da fuoco.
«Bastardi,» disse lei con la sua voce elettrica che echeggiava lungo il corridoio. «Non sono ancora pronta. C’ero così dannatamente vicina…»
Ritornò alla postazione medica. Il dottore fece capolino dalla porta.
«Non pensi di riuscire a finire il lavoro in cinque minuti, vero?» gli chiese Julie, indicandosi la faccia.
Il dottore scosse la testa.
«Sono entrati?» le domandò. La sua faccia era ancora più spaventosa quando provava paura.
«Pare proprio di sì.»
Tre soldati fuggirono lungo il corridoio, allontanandosi dalle scale. Due di loro sanguinavano copiosamente. A giudicare dalle espressioni sui loro volti, non sarebbero potuti sembrare più scioccati se i loro prepuzi fossero stati lacerati con pietre acuminate.
«Quanti sono?» chiese Julie ai soldati.
«Troppi,» urlò uno di loro, barcollando più veloce che poteva.
I soldati lasciavano una scia di sangue così abbondante che Julie si chiese come potesse essergliene rimasto ancora in corpo.
Un altro disse, «Stanno arrivando. Fuori di qui.»
Il dottore si rifiondò nella sua stanza.
Appena Julie lo seguì, i proiettili le sfrecciarono dietro le spalle. Si voltò e vide i soldati fatti a pezzi dal fuoco delle mitragliatrici. Caddero a terra urlando, sguazzando in una pozza del loro stesso sangue.
Il nemico marciava giù per i gradini verso il corridoio, guidato da una tigre ringhiante con un’abnorme testa di spugna. Appena prima di essersi chiusa la porta alle spalle, Julie la guardò fissa negli occhi. Era un animale di peluche alto due metri che camminava sulle zampe posteriori, una versione demoniaca di Tigger la Tigre con un bagliore sanguinario nei suoi piccoli e scintillanti occhi neri.
Quando aprirono il fuoco contro di lei, Julie si buttò di lato dentro la stanza del dottore, rotolando sul suo tenero braccio, quindi sbatté la porta e la sprangò. Ebbe il tempo di spostare soltanto un armadietto davanti alla porta prima che quelli arrivassero, bramosi di entrare.
«Qui,» urlò il dottore a Julie, lanciandole un fucile a pompa.
Un secondo dopo averlo agguantato, Julie mise il colpo in canna e mirò alla porta. Gli animali imbottiti là fuori ruggivano, colpendo ferocemente il metallo.
«È acciaio rinforzato,» disse il dottore, cercando di farsi sentire sopra al rumore dei colpi. «Non entreranno così facilmente.»
Il dottore stava cercando di caricare la sua mitragliatrice pesante mentre parlava.
«Dove diavolo hai preso tutta questa roba?» chiese Julie, accovacciandosi dietro a una fila di armadietti.
Il vecchio schifoso aveva un intero arsenale sotto il tavolo operatorio. Granate, pistole, machete, fucili automatici, non mancava nulla.
«Mi passano per le mani un sacco di cadaveri.» Il dottore posizionò l’arma sul tavolo operatorio e la puntò verso l’ingresso. «Qualsiasi cosa abbiano addosso, io me la prendo.»
«La squadra di difesa potrebbe usare questa roba,» disse Julie.
Il vecchio dottore sputò sul pavimento sudicio. «La squadra di difesa probabilmente sarà morta, a quest’ora.»
Non appena fu pronto, fece un cenno a Julie.
«Apri la porta.»
Julie guardò la porta che sbatteva, poi di nuovo il dottore. «Sei impazzito?»
«Dobbiamo farli fuori prima che arrivino i rinforzi. Li prenderà alla sprovvista.»
Julie scosse la sua testa di peluche, ma si trovò d’accordo. Spostò a lato l’armadietto e si preparò ad aprire la porta.
«Aprila quando te lo dico,» le fece il dottore.
Ascoltarono il rumore dei colpi provenienti dall’esterno, seguendo il ritmo delle botte mentre gli animali di peluche provavano ad abbattere la porta.
Un attimo prima del bang successivo, il dottore urlò, «Ora!»
Julie aprì la porta e l’enorme tigre imbottita ruzzolò in avanti, dentro la stanza. Inciampò faccia a terra contro la canna della mitragliatrice pesante del dottore.
La soffice testa della tigre venne spaccata a metà da un’esplosione di proiettili. Fischi elettronici riempirono la stanza mentre i proiettili sventravano due giraffe di peluche all’entrata.
«Stai giù,» gridò il dottore.
Julie saltò dietro