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Potere globale: Il ritorno della Russia sulla scena internazionale
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Potere globale: Il ritorno della Russia sulla scena internazionale

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La Federazione Russa di Putin e Medvedev si è posta, in questi ultimi quindici anni, come un cruciale attore strategico, dopo che, per tutti gli Anni '90, presunti studiosi o esperti, nemici o falsi amici della Russia, ne avevano decretato la sua fine storico-strategica. Grazie all'enorme afflusso di capitali derivanti dall'esportazione verso l'Occidente delle risorse naturali dei giacimenti siberiani e artici, il Cremlino ha potuto rigenerare, invece, le sue forze armate che oggi come ieri rappresentano il baluardo fondamentale della Russia nel respingere ogni tentativo di ingerenza esterna, non solo sul suo territorio, ma anche in quella zona d'interesse strategico che rispecchia esattamente i Paesi una volta parte dell'Unione Sovietica. Con questa chiave di lettura vanno lette la nuova crisi ucraina e quelle sempre vive georgiana e dello Scudo ABM americano in Europa Orientale, che hanno visto Mosca protagonista di una dura battaglia nel fronteggiare le ambizioni della NATO a cingerla in un ristretto anello di sicurezza e relegarla definitivamente a Stato di secondo ordine, che certo oggi la volontà della Russia di rispolverare i suoi sogni di potenza globale non permettono semplicemente nemmeno di pensare.

LanguageItaliano
Release dateMar 12, 2014
ISBN9781311060228
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    Book preview

    Potere globale - Alessandro Lattanzio

    Prefazione

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    Nel corso degli ultimi due decenni, la Russia è stata il luogo ove si sono manifestati due eventi geopolitici talmente importanti da condizionare in profondità sia la politica internazionale dell’intero Pianeta sia, sul piano teorico e speculativo, i consueti paradigmi interpretativi utilizzati dagli analisti di questioni geopolitiche e geo-strategiche. Ci riferiamo, ovviamente, alla caduta dell‟Unione Sovietica ed alla riconfigurazione geopolitica dell'area russa quale elemento costitutivo del nuovo as-setto mondiale postunipolare.

    Occorre subito segnalare che la ricostruzione-riconfigurazione dello spazio geopolitico russo, avviata da Putin ed ora proseguita da Medvedev, ha la peculiarità di essere iniziata in un tempo tutto sommato breve - dopo neanche dieci anni dalla dissoluzione ufficiale del-la potenza sovietica - se si tiene conto dei lunghi archi temporali tipici dei cicli geopolitici e, soprattutto, del con-testo economico, politico e sociale, nonché psicologico, entro il quale la ricostruzione è venuta maturandosi. Tut-ti ricordiamo il profondo stato di prostrazione in cui era caduta Mosca agli inizi degli anni novanta, e il timore, avanzato dagli osservatori, dai politici e dagli esponenti del mondo finanziario, commerciale ed industriale riguardo al terremoto che il vuoto, prodotto dalla caduta

    verticale del sistema sovietico, avrebbe potuto produrre su scala mondiale.

    Il crollo dell’URSS, come noto, ha permesso il dilagare della Potenza d’Oltreoceano nello spazio centroeuropeo, vicino orientale e centro asiatico per tutti gli Anni ‘90. Tra le tappe più significative della marcia degli USA verso Oriente, ricordiamo: la prima guerra del Golfo (1990-1991), l’aggressione alla Serbia (1999) nel quadro della programmata disintegrazione della Confederazione jugoslava, l’occupazione dell’Afghanistan (2002), la devasta-zione dell’Iraq (2003).

    Parallelamente alle sue azioni belliche, Washington ha condotto l’allargamento della propria sfera d’influenza sul Vecchio Continente mediante l’inclusione nella NATO dei Paesi dell’Europa centrale, membri dell’ex Patto di Varsavia. L’allargamento della NATO inizia, come noto, con l’inclusione di fatto della Germania dell’Est il 3 ottobre 1990, dopo la riunificazione delle due entità germaniche, prosegue il 12 marzo 1999 con quella della Polonia, dell’Ungheria, della Repubblica ceca, e, il 29 marzo 2004, con l’inclusione della Slovacchia, della Romania, della Bulgaria e della Slovenia. All’ex nemico sovietico non viene risparmiato neanche un simbolico, ma geostrategicamente rilevante, colpo: il 29 marzo 2004 entrano nella NATO persino tre ex-Repubbliche Sovietiche, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania. Recentemente, il 4 aprile 2009, sono divenuti membri dell’Alleanza anche la Croazia e l’Albania.

    L’Europa, per la prima volta nella sua storia, è completa-mente ostaggio di una alleanza egemonica extracontinentale. Il rientro nel Comando militare integrato della NATO (aprile 2009) della Francia di Sarkozy costituisce, in ordine di tempo, l’ultimo atto di subordinazione euro-peo agli interessi di Washington.

    L'erosione dell’estero vicino ex sovietico da parte degli USA viene perseguita, nel corso degli Anni 2000, anche attraverso la conquista delle cosiddette società civili dei paesi che lo compongono. A tale scopo, assistiamo alla messa in atto della strategia delle rivoluzioni colorate, il cui fine è insediare governi filo occidentali in Serbia (5 ottobre 2000), in Georgia (Rivoluzione delle Rose, 2003-2004), in Ucraina (Rivoluzione arancione, 2004), in Kirghizistan (Rivoluzione dei Tulipani", 2005). La con-quista delle società civili di alcuni paesi, come la Georgia e l’Ucraina, teorizzata da think tank come l’Albert Einstein Institution sulla base delle indicazioni fornite dagli studi del suo fondatore, lo statunitense Gene Sharp, pare sia stata finanziata dal noto filantropo e speculatore George Soros, mentore dell’attuale presidente Obama.

    Per un lungo decennio è sembrato che a dettare le regole della politica e dell’economia mondiali fosse il solo sistema occidentale guidato dagli USA.

    Per tutti gli anni novanta, infatti, gli Stati Uniti, l’hyperpuissance, come ebbe a definirli, con motivata preoccupazione, un ministro degli esteri francese, Hubert Védrine, o la nazione necessaria, secondo la nota espressione, messianica ed arrogante ad un tempo, dell’ex Segretario di Stato Madeleine Albright e del suo presidente Clinton, hanno imposto il proprio approccio unilaterale in quasi tutte le iniziative politiche, economiche e militari del Pianeta.

    Ma con l’arrivo di Putin alla presidenza della Federazione Russa il quadro internazionale comincia a cambiare.

    Il primo episodio che può essere valutato come l’inizio della riaffermazione della nuova Russia nell’agone internazionale è forse quello collegato alle tensioni che emergono in seno al sistema occidentale, in margine all’aggressione militare degli USA all’Iraq di Saddam Hussein. Nel 2003, Parigi e Berlino si oppongono ai voleri di Washington: Mosca gioca di sponda, e, per un istante, l’asse Parigi-Berlino-Mosca sembra essere una realistica alternativa all’unipolarismo statunitense. Da parte russa, la tensione provocata in campo occidentale è un primo chiaro successo del nuovo corso avviato in politica estera dal giovane ex agente del KGB. La Russia, dopo lo smacco subito in Serbia, inizia a reagire.

    Nel volgere di meno di un decennio, Mosca ha riconfermato il suo ruolo di stato pivot dell’intero spazio eurasiatico. Ciò è stato possibile, certamente, grazie a due rile-vanti fattori geoeconomici: le concomitanti crescite economiche della Cina e dell’India. I peculiari sviluppi socio-economici di questi due Paesi asiatici si sono integrati coerentemente nelle strategie dei rispettivi governi, desi-derosi di espandere congiuntamente la sfera di influenza sino-indiana in Eurasia. Beijing e Nuova Delhi, consape-voli di poter concorrere alla realizzazione di un futuro sistema multipolare, e di contare successivamente su una Russia forte, quale pilastro fondamentale di ogni intesa eurasiatica, si sono ben guardate, nel periodo più buio della recente storia russa, (l’era el’ciniana), dall’umiliare Mosca.

    La piena e veloce riaffermazione della Russia nello scacchiere mondiale, si deve, però, alle molteplici iniziative messe in campo da Vladimir Putin. L’ex primo ministro di El’cin nel corso di due mandati presidenziali riesce, sul fronte interno, a riportare sotto il controllo dello stato russo le industrie strategiche del paese, debellare la criminalità organizzata, contenere con fermezza il secessioni-smo ceceno e daghestano, infondere fiducia alla popola-zione; mentre sul fronte esterno, inizia a tessere una rete di relazioni internazionali con le repubbliche centroasiatiche, inclini a seguire la sirena statunitense, e, soprattut-to, riannoda i legami con la Cina popolare.

    Mosca non trascura neanche il versante delle molteplici identità culturali e religiose delle popolazioni della massa eurasiatica.

    Infatti, nell’ambito di una logica eurasiatica, sensibile all’incontro tra le variegate civiltà del Continente, e in netta opposizione alla strategia islamofoba degli anglo-statunitensi, Putin presenta alla Conferenza islamica di Kuala Lampur del 2003 la Russia come difensore storico dell’Islam.

    Tale significativa dichiarazione, che tiene certamente conto del fatto che l’Islam è la seconda religione della Federazione russa (nonché la sola in espansione in area russa), è il primo passo ufficiale che porterà la Russia a divenire membro osservatore dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC).

    Il tentativo statunitense di provocare ed alimentare, a partire dalle tensioni identitarie locali, archi di crisi lungo frontiere etnico-religiose, viene pertanto tenuto sotto controllo dalla lungimiranza di Mosca.

    Sul piano geostrategico il Cremlino, consapevole delle mire statunitensi nell’Asia Centrale, rafforza l’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO) della quale è membro anche la Cina popolare. Lo scopo è la stabilizzazione dell’intera area considerata altamente insicura dagli strateghi di Washington che la definiscono come il ventre molle dell’Eurasia.

    La dirigenza russa, inoltre, contribuisce, nel 2002, all’istituzione dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva dei Paesi della Confederazione degli Stati Indipendenti (CSTO).

    Le due organizzazioni eurasiatiche dimostrano al mondo intero - e principalmente agli USA - che i problemi in materia di sicurezza e di difesa dell’area sono ben assicu-rati dai paesi interessati e che, pertanto, non c’è alcun bisogno di supervisori o aiuti provenienti dall’Occidente, tanto meno di presidi della NATO.

    Grazie al risveglio dell’Orso russo, la marcia degli USA in Asia Centrale sembra, per il momento, terminata.

    Un nuovo ciclo geopolitico si profila all’orizzonte.

    Tiberio Graziani

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    Introduzione

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    All’inizio degli anni ’90, il giornalista militante antimperialista Filippo Gaja, con il suo testo Il Secolo Corto, volle tracciare la parabola del XX secolo quale secolo americano, ovvero il periodo in cui gli Stati Uniti d'America hanno dominato totalmente la scena internazionale. Per Gaja, tale periodo ha coinciso inizialmente con il monopolio dell'arma atomica da parte degli USA: luglio 1945 (test atomico di Alamogordo, in Texas) - agosto 1949 (primo test atomico dell'URSS).

    Contemporaneamente al libro di Gaja, veniva pubblicato il testo del politologo brasiliano Alfredo Valladao Il XXI secolo sarà americano, dove l'autore affermava che con la caduta del Comunismo si era aperta la nuova era Americana, o meglio dell'America-Mondo come egli l'ha definito. In sostanza, la tesi dell'autore affermava che gli Stati Uniti d'America si stavano trasformando in un Impero Democratico esteso su tutto il pianeta; un impero che avrebbe americanizzato, inevitabilmente, il Mondo facendo di Washington la capitale universale della democrazia e del libero mercato.

    Valladao presentava tale eventualità come un evento inevitabile e fausto, la diffusione della democrazia e del benessere materiale su tutti i popoli. Certo, non ipocritamente, definiva tale radioso futuro come l’instaurazione dell’impero USA che trascendendo i gretti e angusti confini ed interessi nordamericani, avrebbe portato ad una fantomatica età dell’arcadia nel XXI secolo, dove chi era dentro al nuovo recinto da cowboy planetario avrebbe goduto dei frutti divini del way of life statunitense, mentre chi per disgrazia ne fosse rimasto escluso, sarebbe stato afflitto dalla barbarie e dall’inedia. Probabilmente Valladao è un estimatore del film Zardoz.

    Valladao precisava che chi doveva inevitabilmente entrare nella nuova terra promessa, doveva assumersi le sue responsabilità. Nella neolingua farneticante di Valladao responsabilità significa sottomissione ai desiderata ed agli interessi di Washington (noto anche come Washington Consensus). Valladao, trionfante, metteva le bandierine a stelle&strisce che indicavano le conquiste statunitensi: Francia, Germania e Giappone erano battute sul piano economico, l'Europa Orientale si era consegnata all'ex-nemico, l'America Latina adottava con entusiasmo il liberismo e la deregulation che, diceva nel 1994 Valladao, avrebbero portato ricchezza e benessere agli arretrati e svogliati popoli latinoamericani.

    In mezzo a questo radioso quadro, però, un Valladao crucciato notava due macroscopiche macchie: Russia e Cina.

    La Repubblica Popolare di Cina, dice Valladao, è uno spazio bianco nel risiko statunitense, lì non arrivava il messaggio di salvezza di Bush senior e di Bill Clinton; un paese refrattario che, se non avesse accettato di civilizzarsi accogliendo i parametri umanitari washingtoniani, avrebbe subito l’ira degli USA che, con l’embargo economico, ne avrebbe bloccato lo sviluppo socio-economico. Lungimirante, non c’è che dire, questo Valladao.

    L’altra macchia antiamericana era la Federazione Russia, un Paese sorto dalle ceneri dell'URSS, comicamente devastato e socialmente allo sbando. Valladao, novello Macchiavelli, consigliava i nuovi imperatori democratici di Washington di aiutare fermamente i riformisti liberaldemocratici. Questi riformisti dovevano portare la Russia dall’età della barbarie statalista al paradiso delle multinazionali yankee, anche se ciò avveniva tra un golpe e l'altro, tra una svendita di un kombinat minerario ed un bombardamento di parlamento. Ma, questa volta lungimirante per davvero, Valladao avvertiva che se non si fosse agito in tal senso, le forze oscure avrebbero ripreso il sopravvento a Mosca, risuscitando l’incubo del competitore strategico degli USA.

    Decisamente, le idee criminogene di Valladao erano chiare, Al contrario di tanti sprovveduti e romantici combattenti anti-sistemici. Il bardo studioso filo-americano avvertiva che per assicurarsi il dominio globale del Pianeta Terra, bisognava smantellare il cuore industriale della Russia.

    - Valladao afferma apertamente che Washington, nel 1992, aveva avuto la seria intenzione di distruggere l’industria cosmonautica russa, ma che poi dovette ripiegare su un programma che permetteva di monitorare da vicino l’attività spaziale di Mosca;

    - Washington, afferma sempre Valladao, doveva finanziare il programma di smantellamento dell’arsenale ex-sovietico; gli arsenali nucleari di Belarus, Kazakhstan e Ucraina, dovevano essere smantellati con l’aiuto della Russia di El’cin, e quindi passare alla liquidazione del grosso delle scorte nucleari belliche di Mosca e controllare (se non cancellare) ciò che restava delle forze strategiche russe;

    - Introdurre i concetti americani di libertà individuale e democrazia responsabile. Per non essere frainteso, Valladao afferma nettamente che la democrazia irresponsabile è quella che porta le classi politiche locali a dipendere dagli umori della popolazione, come insegna Kissinger. La democrazia responsabile è, invece, quella che porta ogni stato, popolo o nazione ad integrarsi nel nuovo Impero Democratico dell’America-Mondo.

    - La NATO doveva essere rivoluzionata, non essendoci più il pericolo comunista, la NATO doveva servire da strumento di dominio dell'area sovietica; di minaccia sicuritaria verso un Terzo Mondo irresponsabile; come strumento di deterrenza verso le velleità nazionaliste della Francia, Germania, Giappone e altre potenze sconfitte nella Seconda Guerra Mondiale. Perciò, nel giugno 1992, il saggio presidente George Bush senior faceva approvare il primo e autentico documento che modificava il ruolo della NATO: ora diveniva il braccio armato della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE), con diritto d'intervento armato in ogni settore di competenza della conferenza, dall'Atlantico agli Urali.

    Tale programma, anche se fortunatamente solo parzialmente attuato, ha rappresentato una sfida mortale per la Federazione Russa. L’assalto all’industria strategica e all’arsenale nucleare è stato respinto, dopo una breve, ma intensa e sotterranea, battaglia ignota ai più. Le riforme hanno rappresentato la tomba per sette milioni di cittadini russi, ma sono state anche la tomba della nuova classe politica sponsorizzata dalle varie consorterie di Washington, un esempio su tutti: l’Open Society di George Soros, che ha utilizzato gli strumenti della Guerra Fredda Culturale (dall'editoria controllata ai liberi giornalisti telecomandati, dalla guerra economica alle cosiddette rivoluzioni colorate), per cercare di abbattere Mosca, o ridimensionarne il peso geopolitico; una battaglia combattuta, da una vita, dallo stratega Zbignew Brzezinsky, ex-consigliere della sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter. Brzezinsky non è un ipocrita, non vuole riformare la Russia, la vuole distruggere, nel suo testo La Grande Scacchiera afferma apertamente che la Federazione Russa deve essere spaccata in tre macroregioni: Russia europea, sovraffollata e senza risorse, e Siberia divisa in due, in balia delle multinazionali, delle ong e dello spirito disinteressato dei nuovi missionari nordamericani.

    Non è un caso che sia Soros che Brzezinsky, come altri attenti e disinteressati osservatori della realtà Russa, Europea ed Eurasiatica, (Albright, Holbrooke, ecc.) si ritrovino nella squadra del nuovo presidente degli USA, Barack Obama, che oggi deve affrontare un'alternativa, data la grave situazione economica attuale: una ritirata inevitabile da vari scenari regionali, scegliendo da quali accomiatarsi.

    Probabilmente, ciò sarà il nucleo della politica estera della futura amministrazione statunitense. «Riacquistare la nostra forza economica è fondamentale per la nostra sicurezza nazionale e fonte della nostra leadership globale», afferma il presidente Obama introducendo il rapporto sul budget per la difesa degli USA, «ecco perché questo bilancio stabilisce importanti investimenti nella ricostruzione del nostro settore militare». Sebbene il nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama, abbia aumentato per l'anno fiscale 2010 gli stanziamenti per il Dipartimento della Difesa (DoD), portandoli da 654 a 664 miliardi di dollari, la nuova amministrazione ha dovuto razionalizzarle scegliendo i programmi da abbandonare e quelli da sostenere. Bisogna però leggere la cifra della spesa, con Bush, e tolte le spese per l’Iraq e l’Afghanistan, nel 2010 la spesa scende leggermente da 666 a 664 miliardi di dollari, ma il calo è aggravato dall'inflazione del 5/6%. Il DoD riceve altri 7,4 miliardi di dollari per il Recovery Act. Le spese saranno destinate ad aumentare gli effettivi dell'esercito e dei marines, portandoli a 547.000 e 202.000 entro la fine del 2009, mentre i tagli saranno diretti sull'acquisizione dei nuovi sistemi d'arma (ad esempio il caccia stealth F-22 Raptor). Inoltre la «forza residua» che resterà in Iraq nel 2010, è prevista tra i 35.000 e i 50.000 militari (sui 142.000 oggi presenti), mentre 17.000 militari saranno spostati dall'Iraq all'Afghanistan, sommandosi ai 33.000 già presenti.

    A confronto, la Federazione Russa ha avviato anch’essa un programma di ristrutturazione e riorganizzazione delle proprie forze armate. Il capo di stato maggiore della Russia, Generale Nikolaj Makarov, sta completando la ristrutturazione, delle forze armate russe per i prossimi quattro anni. Stiamo progettando di completare la riforma militare nei prossimi tre o quattro anni. Il calendario stabilito non è stato modificato, ha annunciato. La Russia sta progettando di aumentare le sue spese per la difesa del 50%, nei tre anni futuri. Secondo un deputato: Il bilancio della difesa della Russia si ritiene sia meno di un decimo di quello degli Stati Uniti, ma la spesa militare del paese sta sviluppandosi costantemente in questi ultimi anni.

    Progredisce, inoltre, il programma di smantellamento della flotta sottomarina ereditata dall’Unione Sovietica. La maggior parte dei battelli dovranno essere smantellati entro il 2015. Secondo il Presidente russo Dmitrij Medvedev, la Russia sta riprendendo la produzione di sottomarini nucleari per la propria marina, poiché la flotta sottomarina della Russia è in una condizione critica e richiede un rinnovamento. Perciò si procede alla realizzazione di nuove classi di sottomarini, come gli SSBN Progetto 935 Borej e gli SSN/SSGN Progetto 885 Severodvinsk. Ma il rateo di sostituzione non sarà più di uno ad uno, ma molto più elevato. Ciò è dettato anche dalla carenza di personale specializzato e addestrato. Nel campo aeronautico, la Russia punta alla collaborazione con l'India per progettare e realizzare il nuovo caccia da superiorità aerea di quinta generazione mentre continua ad esportare i Mig-29 e, soprattutto, i Su-27/30 che stanno registrando un notevole successo. Si continua a produrre a ritmi tutt'altro che sostenuti i nuovi cacciabombardieri Sukhoj Su-34 Platypus e i Tupolev Tu-160, mentre modernizza e rimette in sesto i più vecchi Tupolev Tu-20MS-16 e Tu-22M3. L'aviazione da appoggio tattico utilizza velivoli poco 'sofisticati’ come i Su-25 Grac, comunque efficaci, come ha mostrato la guerra dell'agosto 2008 contro la Georgia. Nel settore delle forze strategiche, si assiste a un processo simile a quello presente nel campo aeronautico e navale, lenta modernizzazione, con aggiornamento degli equipaggiamenti meno recenti ed parsimoniosa introduzione di nuovi sistemi d'arma. Nel settore degli armamenti terrestri, oltre al mercato dell'export militare, si punta ad un programma di investimenti riguardanti soprattutto i sistemi C4I (Comando, Controllo, Comunicazione, Computer ed Informazione) che non ha dato molta soddisfazione durante la summenzionata guerra d'estate caucasica.

    In sostanza si assiste ad un processo di riequilibrio tra le grandi potenze mondiali. Gli USA sostanzialmente arretrano, e arretreranno sempre di più man mano che si acutizzerà la grave crisi economico-finanziaria che sta colpendo soprattutto gli Stati Uniti (Cinque milioni di nuovi disoccupati nel solo 2008). Anche la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese soffrono per la cattiva congiuntura economica. Ma Mosca e Beijing sono state colte dalla crisi mentre si trovavano in fase espansiva, e avendo accumulate notevoli riserve valutarie e avendo comunque un’economia dinamica, soprattutto la Cina Popolare, non rinunciano ai loro programmi di aggiornamento e ampliamento degli arsenali strategici e delle forze armate.

    La decisione di permanere nei loro programmi di spesa militare, da parte di Mosca e Beijing, è una conseguenza diretta della politica aggressiva ed interventista portata avanti da Washington, non solo durante l’amministrazione di Bush jr., ma anche dalle fazioni del Partito Democratico (Brzezinsky, Rohatyn e Soros) che hanno determinato le scelte geopolitiche dell’era Clinton (si pensi alla Jugoslavia degli anni ‘90) e che oggi sono ritornati in sella nell’ambito dell’amministrazione Obama. Le minacce di intervento armato contro il fumettistico Asse del Male; lo schieramento dello Scudo Antimissile USA in Europa Orientale; la Corsa alle Risorse in Africa, Caucaso e Asia Centrale, l'agitazione propagandistica sui Diritti Umani sollevata dalla potente centrale propagandistica e di disinformazione di Hollywood; sono tutti fattori che mettono in guardia Mosca dal rinunciare a gestire al meglio il suo scudo difensivo, ovvero le proprie forze armate. Altrettanto si può dire del nuovo corso geopolitico avviato dalla leadership putinista, con cui si perseguono costantemente e nettamente gli interessi di Mosca e della Federazione Russa; che si tratti del Caucaso o della nuova frontiera dell'Artico, oppure dei gasdotti per l'Europa o delle basi logistiche statunitensi nel Turkestan ex-sovietico, difficilmente sarà permesso oggi ciò che fu permesso al gruppo di Gorbachev e Shevardnadze, durante lo studio terminale dell'URSS.

    I gruppi decisionali russi, sono oramai consapevoli del carattere vitale rappresentato dal controllo di risorse, aree strategiche, strumenti economici e mezzi militari; e sono anche consapevoli dal fatto che l’Occidente, soprattutto Washington, era ed è pronto ad approfittarsi d’ogni debolezza di Mosca. Il vuoto geopolitico, geostrategico e geoeconomico lasciato dall’implosione dell’URSS è stato lestamente riempito da Washington, Londra, Berlino, persino da Ankara e Riyad. Ma anche gli spazi ed i varchi aperti all’interno della società post-sovietica sono stati occasione di devastazione e rapina da parte delle società occidentali ai danni dei popoli dell’ex-URSS. Difatti, questi quasi vent’anni di liberalismo sono stati atroci per i popoli ex-sovietici, che nel XX secolo hanno subito tre catastrofi demografiche: la Prima Guerra Mondiale e la Guerra Civile Russa, la Grande Guerra Patriottica del 1941-45 e il genocidio imposto dalle riforme liberali (si calcolano in sette milioni le vittime di esse, dieci volte le vittime del Grande Terrore del periodo staliniano).

    Un’amara esperienza tremenda per gli attuali russi. Si tratta di una lezione che i russi hanno appreso a caro prezzo, e che certo non dimenticheranno nel momento di debolezza di Washington e dei suoi alleati.

    «Riacquistare la nostra forza economica è fondamentale per la nostra sicurezza nazionale e fonte della nostra leadership globale», afferma il presidente Obama introducendo il rapporto sul budget per la difesa degli USA, «ecco perché questo bilancio stabilisce importanti investimenti nella ricostruzione del nostro settore militare». Sebbene il nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama, abbia aumentato per l'anno fiscale 2010 gli stanziamenti per il Dipartimento della difesa (DoD), portandoli da 654 a 664 miliardi di dollari, la nuova amministrazione ha dovuto razionalizzarle scegliendo i programmi da abbandonare e quelli da sostenere. Bisogna però leggere la cifra della spesa, con Bush, e tolte le spese per l’Iraq e l’Afghanistan, nel 2010 la spesa scende leggermente da 666 a 664 miliardi di dollari, ma il calo è aggravato dall'inflazione del 5/6%. Il DoD riceve altri 7,4 miliardi di dollari per il Recovery Act. Le spese saranno destinate ad aumentare gli effettivi dell'esercito e dei marines, portandoli a 547.000 e 202.000 entro la fine del 2009, mentre i tagli saranno diretti sull'acquisizione dei nuovi sistemi d'arma (ad esempio il caccia stealth F-22 Raptor). Inoltre la «forza residua» che resterà in Iraq nel 2010, è prevista tra i 35.000 e i 50.000 militari (sui 142.000 oggi presenti), mentre 17.000 militari saranno spostati dall'Iraq all'Afghanistan, sommandosi ai 33.000 già presenti.

    A confronto, la Federazione Russa ha avviato anch’essa un programma di ristrutturazione e riorganizzazione delle proprie forze armate. Il Capo di Stato Maggiore della Russia, Generale Nikolaj Makarov, sta completando la ristrutturazione ed il rinnovamento, delle Forze Armate Russe per i prossimi quattro anni. Stiamo progettando di completare la riforma militare nei prossimi tre o quattro anni. Il calendario stabilito non è stato modificato, ha annunciato il Generale Makarov. La Russia sta progettando di aumentare le sue spese per la difesa del 50%, nei tre anni futuri. Secondo un deputato della Duma, il Parlamento russo: Il bilancio della difesa della Russia si ritiene sia meno di un decimo di quello degli Stati Uniti, ma la spesa militare del Paese sta sviluppandosi costantemente in questi ultimi anni. Inoltre, progredisce il programma di smantellamento della flotta sottomarina ereditata dall’Unione Sovietica. La maggior parte dei battelli dovranno essere rottamati entro il 2015. Secondo il Presidente russo Dmitrij Medvedev, la Russia sta riprendendo la produzione di sottomarini nucleari per la propria marina, poiché la flotta sottomarina della Russia è in una condizione critica e richiede un rinnovamento. Perciò si procede

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