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Geni e Graniti
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Geni e Graniti

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About this ebook

Geni e Graniti propone avventure in posti originali, episodi d'azione, flash back nel passato, parallelismi col presente; parla delle nuove frontiere della neuroscienza, di biotecnologie, di siti preistorici. Le dinamiche dei rapporti umani non sempre sono ovvie, le storie si intrecciano, l'incalzare degli eventi evidenzia le caratteristiche individuali e l'attitudine comunicativa. Lo sfondo è quello di un mondo cinico, nel presente come nel passato, pronto a trarre beneficio dalle eccellenze e a sfruttare le risorse del pianeta senza rispettarle. I protagonisti si mettono in gioco, ognuno cercando il suo obiettivo, che per alcuni diventa comune. La vita difficilmente rende completa soddisfazione, ma offre la possibilità di concretizzarne il sogno impegnandosi per averla, il che è forse anche di più.

LanguageItaliano
PublisherDiego Minen
Release dateApr 25, 2013
ISBN9781301347582
Geni e Graniti
Author

Diego Minen

Diego was born in Udine in 1958. He lives and works there, but very often travels around the world for his job. He holds an engineering degree and is co-founder of an international software company which develops mechanical simulation programs. Among his favorite sports, mountain-biking, windsurfing, off-road motorcycling, swimming and skiing. Besides math homework with his teens kids, reading, crosswording and sudoku are among his passions in the remaining free time. Diego is at his first experience as a novelist, and if somebody asks him why did he decide to write, the answer would likely be “After lots of reading why not challenging myself writing”

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    Book preview

    Geni e Graniti - Diego Minen

    1. Vertigini

    Stava inseguendo un branco di orate, lo avevano attratto per numero e dimensioni. Si muovevano rapide disegnando forme cangianti, ampi ventagli, lunghe cordicelle, membrane elastiche, mazzi di fiori, fiocchi di neve, stelle filanti. Le guidavano complessi automatismi rifiniti in millenni di fughe: fingevano a volte di inseguire un individuo fuorviante, per disorientare il cacciatore. Era riuscito ad acchiappare un paio di esemplari che si erano sfilati durante una delle tante virate acrobatiche. Il branco deviò seguendo una mossa del capo, che non si sarebbe lasciato sfuggire. Non era ancora risalito per respirare, avrebbe dovuto farlo, ma la foga della caccia lo aveva coinvolto. Vide davanti a sé la rete troppo tardi: le maglie erano di una fibra semitrasparente, e il chiarore dei raggi penetranti vi si rifrangeva indistinguibile. In breve, sentì il corpo avvolto tutto in una trappola inaspettata. Provò a dimenarsi pinneggiando, forzando le maglie con grandi strattoni. Provò a vincerne la resistenza torcendosi e mordendone le fibre. Nulla. La rete si strinse progressivamente intorno a lui fino a impedirgli tutti i movimenti. Dopo un poco, pensò quanto a lungo avrebbe ancora potuto resistere senza respirare. Gli sforzi fatti per divincolarsi gli avevano fatto consumare quasi tutta la poca aria rimastagli. Gli si avvicinò il capo branco. Gli nuotò a un palmo con aria di scherno, lui lo allontanò spaventandolo con grida che avrebbero messo in fuga uno squalo. Avvolto nella morsa della rete, con poca aria nei polmoni, non gli restava che l'oblio. D’un tratto, sentì uno strattone verso l'alto, si torse di scatto per capire cosa stesse succedendo sopra di lui e vide la sagoma di una chiglia. Trovò quella forza che si trova quando tutto sembra perduto. Resistette immobile quasi implodendo per lo sforzo e sperando che la risalita fosse rapida; non appena fuori, insufflò quanta più aria potè. Una volta a bordo, sentì le voci ovattate di alcuni uomini che discutevano su come adagiarlo. Lo portarono a poppa, in mezzo all'imbarcazione, disteso sulla pancia, ancora tutto avvolto dalla rete. Gli si avvicinò un tizio in camice bianco e guanti di lattice. Impugnava un grosso cilindro nero, che terminava a punta. In un attimo sentì un dolore acuto in testa. Vide il mondo intorno a sé diluirsi e perse completamente i sensi.

    Si risvegliò mezzo a mollo, con la pancia sulla sabbia. C'era buio ovunque, ma si vedeva un punto di luce lontano. Provò a capire dove fosse, si guardò in alto ed emise suoni in rapida successione per cercare l'eco giusta. Fu sorpreso di riceverla distorta, ritardata, non familiare. Pensò di essere in preda alle allucinazioni. Provò ad emettere clicks secchi consecutivi, intervallati da pause più lunghe. Anche quelli provocavano cupi rimbombi. Improvvisamente, gli parve di udire dei sibili provenire dall'alto. Vide svolazzare nel semibuio centinaia di pipistrelli. Giustificò allora il puzzo di guano, vista e olfatto sembravano essere a posto. Inarcando il capo in alto, sentì una fitta di dolore. Vide l'acqua intorno a sè macchiarsi di rosso. Assaggiò appena: sangue, il suo. Avrebbe dovuto uscire da quel posto. Pinneggiò con prudenza nel basso fondale, aiutandosi con la vista: gli eco sonori continuavano a provocargli vertigini. In breve fu fuori. Nuotò sottocosta, cercando a fatica di capire dove fosse.

    Da quel giorno ebbe la sensazione sgradevole di non saper riconoscere i luoghi dove era cresciuto. Passava il tempo, e rimaneva confuso, con un senso di ottundimento e distacco. Aveva visto altri come lui, apparentemente normali, al largo, aveva rivolto loro una voce di saluto, a distanza. Aveva trovato rifugio notturno vicino agli scogli, ma di giorno non si fidava a uscire in mare aperto. Si sentiva fuori luogo e fuori tempo. Tutto gli sembrava distorto e confuso. Si chiedeva come avrebbe potuto continuare in quel modo, ogni giorno più debole e depresso. La testa gli faceva male, sentiva un ronzio continuo, acufeni fastidiosissimi lo tormentavano a raffica. Aveva ripetutamente cozzato contro gli scogli inseguendo irraggiungibili prede e aveva anche scambiato una medusa gigante per una cernia. Le si era avventato addosso con la foga di chi non cattura da mesi, ma si era preso un’urticata dolorosa sul muso. Si accontentava da allora di qualche imprudente mollusco in fase di cambio guscio, incapace di mimetizzarsi a sufficienza tra sabbia e conchiglie. Ogni giorno che passava la sua debolezza aumentava. Una mattina, mentre nuotava vicino alla costa, si perse nei fondali bassi, nonostante avesse bene impressi nel cervello tutti gli anfratti, le nicchie di roccia, i nascondigli delle castagnole, le dune sottocosta. Si avvicinò alla spiaggia, passò tra gli scogli, lasciandosi trasportare dalla risacca. Era un angolo nascosto, non lo avrebbe trovato nessuno. Chiuse gli occhi. Non aveva più voglia di nulla.

    2. GenMax

    Non si sarebbe lasciato scappare l'occasione. Quei documenti l'avevano molto colpito, se anche solo metà di quelle notizie sfuggite al controllo di qualche funzionario ubriaco fosse stata confermata la sua vita sarebbe cambiata. Chi l'avrebbe mai detto che ci potesse essere una tale quantità di soldi? Era il momento per proporre la sua idea per quel sistema. Gli sarebbero serviti i dati di rilevamento dell'attività cerebrale durante gli esperimenti, quelli che erano stati mantenuti riservati e non erano stati illustrati nei documenti preliminari che era riuscito a procurarsi. Come avrebbe potuto accedere ai risultati delle ultime ricerche? Quanto ci sarebbe voluto per convincere i committenti della US Navy che il sistema della GenMax sarebbe stato il migliore? Come avrebbe messo a punto sul campo il prototipo di acquisizione e trasmissiome che aveva solo preliminarmente sperimentato? Domande cui avrebbe dovuto rispondere prima che lo facessero altri. La chiave di tutto erano quegli italiani. La loro collaborazione sarebbe stata indispensabile, i documenti relativi alle ricerche non sarebbero stati sufficienti. Avrebbe dovuto convincerli a lavorare per lui. Sapeva che non avrebbe avuto molto tempo. Quasi tutti gli scienziati cui vengono offerte opportunità di denaro, prima o poi, cedono.

    Janette, chiamami Bryan a Los Angeles perfavore

    Ma direttore, sono solo le due del pomeriggio qui, le ricordo che...

    Buttalo giù dal letto rispose secco. La segretaria fece il numero di cellulare di Bryan Worsite. Il telefono squillò a lungo.

    "He-Hello? Whom the hell is calling?" rispose la voce roca di qualcuno svegliato suo malgrado.

    "Sorry waking you up, Bryan, Janette speaking" la segretaria cercò di giustificarsi usando un tono molto dimesso.

    Non importa, credo di sapere chi voglia parlarmi

    Ciao Bryan, spero che tu stia bene

    Buon pomeriggio, Antoine

    Si pardon, è un po' prestino. Mi serve che tu vada a San Diego, partenza immediata gli impose, perentorio.

    Ma scusa, mi avevi detto che avrei dovuto occuparmi di contattare quei tizi dei pesci abissali luminescenti, o no? Hai cambiato idea?

    Quello lo fai un'altra volta. Ora devi andare a San Diego, devi contattare un italiano che lavora allo SSC.

    Il Warfare Centre della marina? E come faccio a entrare?

    Non devi entrare. Ti ho detto che lo devi contattare, ovviamente fuori

    Per cosa? Che devo dirgli? Scusa Antoine ma come si può lavorare in questo modo? Avevo appuntamento al laboratorio a Santa Barbara stamattina, mi avevi detto che era urgente, non volevano nemmeno incontrarmi, mi sono dato da fare, ho promesso loro che la GenMax avrebbe pagato una ricerca preliminare, e ora devo annullare tutto?

    "Trova una scusa. Hai l'auto ferma, ti sono entrati i ladri in casa, un ascesso a un dente, le emorroidi esplose, insomma non farmi perder tempo, diamine! Annulla e basta! Devi trovare un italiano, Rudy Bellozzi, lavora presso lo SSC da tre anni, prima era all'università di San Diego, mi risulta che abiti da qualche parte a Serra Mesa, vedi con Janette. E mi serve un feedback entro stasera, digli che la sua recente pubblicazione potrebbe interessare la GenMax. Ma senza enfatizzare troppo, vedi cosa ti risponde"

    Ma scusa, Antoine, sono a Santa Ana, sono le cinque di mattina di lunedì, ho molto da fare in ufficio prima e avrei l'appuntamento che ti ho detto, sai cosa vuol dire andare a San Diego? Vuol dire perdere la giornata! Oltre a tutto quello lavorerà se Dio vuole normalmente, e dovrei beccarlo prima delle otto? Da qualche parte tra Serra Mesa e la Pacific Highway, non proprio due posti vicinissimi? Antoine? Mi hai sentito?

    Sono Janette, scusa tanto Bryan. Mi ha passato la linea. Mi ha detto di dirti di partire subito, così forse trovi meno coda sulla highway cinque

    "Al diavolo. Digli che vada a quel paese, fucking bastard. Va bene parto subito ma mandalo affanculo da parte mia. Sto cazzo di GenMax mi sta sconvolgendo la vita. Non solo. Mi sputtano continuamente. Mi sto scavando la fossa, Janette, non potrò mai più lavorare in California, te lo assicuro!"

    "Joly, potessi io lavorare in California! Invece sono qui a Ivry, che di Parigi ha pochissimo, periferia orribile! Tu almeno sei a Santa Ana, insomma, messieu, sei a un passo da Newport Beach, e c'è la belle vie della costa del Pacifico là, o no?" la ragazza non riuscì a nascondere un tono d'invidia.

    "Guarda, in teoria. Per fare la belle vie non bisogna lavorare per la GenMax, e soprattutto non per Antoine. Quello ti assorbe ogni energia residua, ti munge, ti strizza come uno strofinaccio. Ogni piano viene regolarmente sconvolto. Devi vivere alla giornata, anzi, per le prossime poche ore. Tu cosa credi, ora parto, mi metto sulla cinque bumper-to-bumper nel traffico del lunedì mattina, e lui mi chiamerà tra non molto con qualche altro programma per la testa, ne sono sicuro"

    "Indifferenza, Bryan, indifferenza. Io lo sopporto tutto il giorno. Ti saluto ora, cerco di anticipare la sua prossima trovata. A bientot".

    Ciao. Goditi Ivry

    Antoine vide la linea di Janette di nuovo libera. Impaziente, riprese la cornetta.

    Janette, prepariamoci per il consiglio di amministrazione, hai finito quelle slide?

    Ehm, veramente mi aveva detto che le finiva lei...Io le ho messe nel nuovo template, avrei dovuto fare dell'altro?

    "Vieni qui, per favore, subito -disse con tono molto brusco- Sta arrivando o no quella lumaca di Dominique? Merde, quello è sempre in ritardo!"

    Bryan si alzò con aria triste. Aprì il balcone della camera del residence. Le luci rosse del Domino's Pizza di fronte si confondevano con quelle dei semafori dell'incrocio tra la McFadden e la Main, riflettendosi sull'asfalto lucido di pioggerella leggera. Non fosse stato per le piccole palme ai lati delle strade, quello avrebbe potuto essere un posto qualsiasi degli Stati Uniti. Altrochè Orange County. Altrochè Newport Beach. Altrochè belle vie. La pioggia gli fece venire in mente che il tragitto sulla cinque verso sud sarebbe stato ancora più caotico. Sentì il beep della mail appena arrivata. Janette gli aveva mandato una foto e un identikid del Bellozzi, il suo indirizzo di casa a Serra Mesa e di lavoro alla SSC, oltre ad un dossier completo di informazioni su di lui e un abbozzo di proposta economica. Stampò velocemente tutti i documenti, ripromettendosi di guardarli in dettaglio più tardi, preferendo mettersi in viaggio prima possibile. Si chiedeva come avrebbe fatto a trovarlo. Scese al parcheggio e si mise in macchina. Antoine gli aveva concesso una 911 Carrera Turbo Cabrio del novantasette: argento metallizzata, cerchi ribassati, codolini, spoiler posteriore, gran bella macchina. Pensò che anche quel giorno sarebbe stata utile solo per qualche sgasata, nei punti di massimo ingorgo. Impossibile pigiare troppo il pedale sulle affollatissime highways californiane. A volte per sfogarsi andava fino a Pasadena, deviava verso nord verso la Canada Flintridge e prendeva la Angeles Crestway fino a Wrightwood: ottanta miglia di curve, sessanta miglia di media, quaranta litri di 98 ottani, qualche millimetro di battistrada in fumo. Look trendy, guida disinvolta, sovrasterzi, rumore cupo, la tedesca d’argento faceva sempre una gran figura, sia in movimento che parcheggiata aperta sul lungomare di Huntington Beach. Muta addosso, con la tavola del surf tra il sedile del passeggero e gli pseudo-sedili posteriori, parcheggiava nel primo posto libero, saltava fuori senza aprire la portiera, prendeva la tavola sotto il braccio e attraversava di corsa l'arenile col brivido delle onde sotto i piedi e il sapore del sale in bocca. Il Pacifico aveva le sue giornate e i suoi orari, specialmente per i surfisti accaniti: bisognava amarlo e sfidarlo, ora come allora, cercando di resistere alla sua possenza disarcionatrice. Rispetto a quando era un teen-ager da bay watch, la differenze che si notavano erano qualche piegolina sulla pancia, capelli più radi, una ridotta capacità di risalire le onde e la Porsche parcheggiata.

    Guidava annoiato nel traffico verso sud, e cercò rifugio nei ricordi delle mille surfate in cresta con epilogo nel tunnel. Sfiorandolo con la mano, il piede di controllo sulla tavola era fondamentale per un passaggio indenne; similmente, il tocco doveva essere delicato sul pedale del gas della nervosa del Baden Wuttemberg. Aveva già preso un paio di multe sulla cinque, inseguito dalla police car che non aveva notato parcheggiata nella grande corsia d'erba intermedia. La regola era chiara: il limite, cinquantacinque miglia all'ora, poteva essere superato, ma oltre le settantacinque l'intercettazione era sicura. Giungendo a San Diego, la highway rientrava verso l'interno: sapeva che avrebbe fatto prima a prendere la costiera, con quell'auto poteva sfruttare ogni minimo spazio per superare. Trecento cavalli per fargli passare il mal d'Antoine. Giunse di fronte allo SSC prima delle otto e parcheggiò nelle vicinanze. Ebbe il tempo di riguardarsi i documenti. Janette gli aveva comunicato l'orario di lavoro del Bellozzi, dalle otto e trenta, sperava che fosse puntuale. Indossò gli occhiali a specchio, sentendosi molto Roger Moore in un episodio di Attenti a Quei Due. Di fronte al laboratorio della US Navy c'era uno Starbucks, pensò che il suo uomo potesse fare un passaggio. Il locale era abbastanza frequentato e si potevano riconoscere molti tipi da serie tv JAG. Alcuni erano in borghese, ma il taglio di capelli, i sorrisi stereotipati e le mandibole squadrate non lasciavano dubbi. Ordinò un mocha double cold e aspettò il suo turno, dando il nome di Burt. Si guardò in giro. Su un tavolo d'angolo, vicino alla vetrata, gli parve di riconoscere l'uomo dell'identikid. Cominciò a controllarlo con la coda dell'occhio. Stava sfogliando una rivista. Era un tipo smilzo, chiaro di carnagione, capelli lisci scuri portati abbastanza lunghi sulla nuca. Aveva la barba corta e incolta, e rispetto all'identikid indossava un paio di occhiali da vista leggeri. Non aveva l'aria di essere un marine, semmai un ricercatore universitario. Bryan continuava a tenere un occhio su di lui e uno sulla barista che stava ultimandogli la preparazione. Temette che il suo uomo si stesse per alzare quando lo vide chiudere il giornale, togliersi gli occhiali e guardarsi in giro. Fortunatamente per lui entrarono nel locale due tipe, una bionda chioma fluente e una mora capelli corti, entrambe in camice bianco. Chiacchieravano fitto. Vide il suo obiettivo seguirle attentamente con lo sguardo dall'ingresso alla cassa. Capì che avrebbe avuto ancora qualche attimo prima che si alzasse, e alla chiamata del suo nome si affrettò al banco, sfilò rapido la cannuccia e, con il grande bicchiere in mano e gli occhiali sulla fronte si avviò verso il tavolo d'angolo. Si accorse di essere sulla traiettoria di osservazione, il suo uomo si sporse di lato per continuare a controllare le nuove entrate. Quando fu a due metri, infastidito per l'imprevisto ostacolo, lo guardò in faccia in modo contrariato.

    "Hi, my name is Bryan Worsite, I assume you are Rudy Bellozzi, aren't you? Nice to meet you" Gli disse porgendogli la mano con fare cordiale. Rudy lo guardò stupito e, senza alzarsi, gli allungò la mano con poca convinzione. Insistette nel tentativo di allungare lo sguardo di lato.

    "Well, ye-yes, it's me. How...how do you know my name?" Rudy replicò sorpreso, piegando in due la rivista, come chi sta per alzarsi e andarsene. Bryan notò essere l'ultimo numero di NBA's Week.

    "May I sit here for a minute?" gli chiese. Rudy ci pensò un attimo prima di rispondere. Non lo conosceva, ma gli sembrava gentile.

    In cosa posso aiutarla? disse con tono neutro.

    Ecco, non voglio farle perdere tempo, cercherò di essere sintetico, capisco che magari lei ha da fare e che la colgo di sorpresa

    In effetti ho degli animali in vasca e un paio di esperimenti da iniziare precisò Rudy.

    Lavoro per la GenMax, la multinazionale biotech, immagino la conosca

    Ne ho sentito parlare, di Santa Ana, vero?

    Esatto

    "Bene, la GenMax è probabilmente interessata ai suoi studi" Bryan andò subito al sodo.

    Beh, ci lavoro da quindici anni, mi meraviglio se ne siano accorti ora

    In realtà se ne sono, anzi, ce ne siamo accorti da un bel po', ma è l'ultimo lavoro che sta per essere pubblicato al congresso in Italia che ci ha fatto decidere di venirla a trovare, così, per far due chiacchiere Bryan stava cercando di seguire le istruzioni di Antoine, che quelle che aveva letto rapidamente prima di entrare nel locale.

    Come scusi? Come avete avuto quel materiale? -chiese indispettito- Non è ancora stato pubblicato! L'americano sorrise a sua volta, e fu distratto dalle due bellezze entrate da poco che ora ridevano di gusto: la mora, nel goffo tentativo di togliere la protezione in plastica del bicchiere di carta, si era rovesciata parte del coffee-caramel sul camice.

    Le conosce? Chiese Bryan.

    Si lavorano nel mio laboratorio, sono state assunte da poco. Avrei voluto appunto invitarle, anzi se permette...

    "Nice girls, I understand. But I'd ask you just a minute, Mr.Bellozzi, if you don't mind" insistette Bryan, mettendogli una mano sul braccio. Temeva che l'approccio soft non avrebbe funzionato e temeva, come era già successo in passato, che Antoine lo rimproverasse per non aver giocato tutte le carte, subito. Il francese diceva sempre di partire prudenti con le trattative, ma se poi non otteneva ciò che desiderava diventava furente, e si chiedeva chi avesse mai detto di essere prudenti, e che lui avrebbe saputo concludere, eccetera, eccetera. Conoscendo il mondo degli scienziati che pubblicano, sapeva che non c'era peggior cosa di scoprire che un loro lavoro era stato rivelato prima della data di presentazione ufficiale. Si giocò tutte le carte allora, pensando che Antoine gli avrebbe suggerito la stessa cosa.

    "La GenMax è una ditta molto seria. Il suo lavoro è importante e innovativo, me ne congratulo. Dato il posto dove viene sviluppato, ovviamente qualcuno ne controlla il contenuto prima di far uscire notizie al riguardo e qualcuno ci ha informato. Siamo al corrente di parte dei programmi strategici di difesa marina del governo degli Stati Uniti. Mi capisce?"

    Cosa vuole? Gli chiese, carezzandosi i capelli sulla nuca e mantenendo lo sguardo sulla rivista ora arrotolata a tubo, facendola picchiettare sul tavolo nervosamente.

    La GenMax avrebbe un lavoro da proporle. Le consentirebbe di fare quello che le piace di più, continuare le sue ricerche e finalizzarle per un progetto rivoluzionario, con un budget infinitamente più ricco di quello della SSC.

    Impossibile, devo finire i miei programmi. Non posso lasciare la SSC per i prossimi dodici mesi, quando scade il mio contratto, e dunque mi dispiace moltissimo per lei e per la GenMax, ma non posso accettare Scosse la testa e aprì il palmo delle mani, per dar forza al concetto della sua indisponibilità. Accennò ad alzarsi, ma l'americano rimase seduto, e con una mano gli fece cenno di attendere. Lo scienziato si risedette.

    Ascolti, non so esattamente quanto lei guadagni ora. Ma mi son fatto un'idea di quanto sia lo stipendio medio nella sua organizzazione. La GenMax è disposta a farle un contratto a tempo indeterminato e pagarla dieci volte di più da subito, se lei si impegna a trasferire le sue conoscenze ai nostri tecnici e a insegnare loro quanto da lei scoperto, permettendoci di industrializzare la sua idea. Ah, magari a trasferirsi temporaneamente in Europa Rudy smise di picchiettare la rivista sul bordo del tavolo. Smise anche di guardarsi in giro. Smise di carezzarsi i capelli e smise, per un attimo, anche di respirare. Guardò fuori dalla vetrata, mantenendo la testa immobile. Rimase in silenzio per alcuni interminabili secondi.

    Puttanissima quella fottutissima troia! Sbottò con forte accento emiliano, dando un colpo violento con la rivista sul bordo del tavolo, tanto che gli scivolò dalle mani e vi finì sotto. Riprese fiato e sbuffò a lungo, la proposta l'aveva messo in evidente difficoltà. Mise la testa tra le mani, e, per cercare di calmare il turbinio di pensieri, puntò i polpastrelli delle quattro dita massaggiandosi le tempie, tenendo i pollici a livello mandibolare. Bryan rimase impassibile, sorseggiando con la cannuccia. Pensò che il biberone fosse troppo zuccherato nonostante l'eccesso di ghiaccio. Rudy rimase nella posa del pensatore accanito per almeno un minuto. Poi sentenziò:

    Ora devo andare. Le lascio un mio biglietto. Ha una penna? Le aggiungo anche il mio numero di cellulare Bryan gli fece cenno di non averla. Rudy si alzò di scatto e si diresse verso la cassa. Vedendolo passare, la mora notò il suo sguardo allampanato e il viso inespressivo:

    "Hi Rudy, look a bit lost this morning! Had a bad night?" Non che Rudy fosse molto diverso normalmente, per lo meno da quanto aveva capito osservandolo in laboratorio. Lui si girò appena, neppure ricordandosi che fino a qualche minuto prima avrebbe voluto invitarla al tavolo.

    "Never mind -le rispose neppure fermandosi- I'm almost OK. See you later" Lei gli sorrise, poi si rivolse all'amica:

    Non mi sembra normale. Eh, gli scienziati, hanno sempre la testa nei loro esperimenti! Peccato, non se ne trova uno giusto...

    Hai ragione -replicò l'altra- gli uomini in giro hanno o elettroencefalogramma piatto o eccesso di pensieri per dominare tutto e tutti. Che dramma!

    Rudy tornò al tavolo e porse a Bryan un biglietto convesso e sbiadito.

    "Call me at any time"

    "I'll be around San Diego the whole day. I have a couple of appointments at Coronado. If you like, you could join me there, I will be at the main hotel of the island. Here is my business card" Gli porse il biglietto della GenMax, elegante e con caratteri in rilievo, che mise nella tasca posteriore, come sempre faceva con i biglietti da visita, per poi ritrovarli illeggibili dopo la passata in lavatrice.

    "You guys are crazy" Gli disse scuotendo visibilmente il capo. Se ne andò senza neppure porgergli la mano. Passando davanti al tavolo delle ragazze, si dimenticò anche di loro. Si rivolsero verso Bryan, che si era leggermente allungato sulla sedia e stava continuando ad aspirare il biberone. Colse il loro ammiccamento tra il curioso e l'interlocutorio, posò il bicchiere sul tavolo e, ricambiando l'occhiata, allargò leggermente le braccia, sorridendo e comprendendo la loro sorpresa. Le due fecero un cenno d'intesa. Per un attimo fu nel dubbio, poi si decise e si diresse al loro tavolo.

    "I hope I do not disturb you girls. May I join you and offer something to drink?" Bryan era alto un metro e novanta, aveva un fisico atletico, biondo scuro, barba incolta, giacca

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