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Verità mendaci
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Verità mendaci

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Protagonisti, situazioni, luoghi - racconti - Prefazione di Pantaleone Sergi - Postfazione di Peppe Cavallari - Illustrazioni di Giuseppe Pontoriero Luzzaro. Dodici racconti singolari: nell’ordito. Alcuni, brevi: lo spazio di un biglietto, possiamo dire. La natura del “racconto formale” varia secondo l’Autore, com’è giusto che sia. E’ ipotizzabile che qualcosa, in fondo, le manipolazioni licenziose di Giuseppe Braghò vogliano manifestare. Taluni casi sono dilatati: là si ordiscono più fitte insidie. Menzogne? No, sì. Banale intrattenimento letterario, volendo. La verità (sacra, profana) si mostra sempre relativa: è mendace, tuttavia credibile. I racconti proposti sono insieme di vero e finzione: culture diverse avranno visioni diverse.

LanguageItaliano
Release dateFeb 27, 2013
ISBN9788868150013
Verità mendaci
Author

Giuseppe Bragho

Giuseppe Braghò è nato nel 1947 a Limbadi. Vive a Vibo Valentia. Si occupa di arte e cultura. È autore della nota inchiesta giornalistica sul rinvenimento dei Bronzi di Riace del ’72 che ha ispirato il reportage narrativo “Facce di Bronzo” (Pellegrini Editore, 2008). Collabora con diversi quotidiani e gira documentari.

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    Verità mendaci - Giuseppe Bragho

    Verità mendaci

    Protagonisti, situazioni, luoghi

    racconti

    Giuseppe Braghò

    Published by Giuseppe Meligrana Editore on Smashwords.com

    Copyright Meligrana Editore, 2013

    Copyright Giuseppe Braghò, 2013

    Tutti i diritti riservati

    ISBN: 9788868150013

    Prefazione di Pantaleone Sergi

    Postfazione di Peppe Cavallari

    Illustrazioni di Giuseppe Pontoriero Luzzaro

    Meligrana Editore

    Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)

    Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041

    www.meligranaeditore.com

    info@meligranaeditore.com

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    INDICE

    Frontespizio

    Colophon

    Licenza d’uso

    Giuseppe Braghò

    Copertina

    PREFAZIONE di Pantaleone Sergi

    PROLOGO

    VERITÀ MENDACI

    IL SIGNOR GIACINTO FLORES E LA PRATICA DELLA RIFLESSIONE

    CAPO VATICANO

    IL LIBRO

    IL CARDIGAN BLU

    IL GOVERNO È BENE CHE CADA

    IL TEMPO, CHE PASSA

    FATTI DI CALABRIA. STORIE REMOTE

    INTORNO AL GIORNALISTA E AL METODO DI PORGERE LA NOTIZIA

    RIVISITAZIONE: INTESA COME RIESAME

    SICCOME ERANO PASSATE (DA POCO) LE SETTE DI SERA

    FATTI DEL CAPO (IN MEMORIA DI GIUSEPPE BERTO)

    IL GIUDIZIO

    POSTFAZIONE di Peppe Cavallari

    Altri ebook di Meligrana Editore

    Licenza d’uso

    Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale.

    Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone.

    Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, acquista una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, si prega di acquistare la propria copia.

    Grazie per il rispetto al duro lavoro di quest’autore.

    Giuseppe Braghò

    Giuseppe Braghò è nato nel 1947 a Limbadi. Vive a Vibo Valentia. Si occupa di arte e cultura.

    È autore della nota inchiesta giornalistica sul rinvenimento dei Bronzi di Riace del ’72 che ha ispirato il reportage narrativo Facce di Bronzo (Pellegrini Editore, 2008).

    Collabora con diversi quotidiani e gira documentari.

    Contattalo:

    giuseppebragho1947@libero.it

    Seguilo su:

    Facebook

    PREFAZIONE

    Non vorrei, con un testo serioso, turbare la leggerezza poetica di questi racconti che si muovono tra vissuto e invenzione letteraria. Ma se Giuseppe Braghò mi ha chiesto di prefare il suo libro, ed io con immodestia lo faccio pur non avendone i titoli canonici, qualcosa dovrò pur dire sul contesto, sulla carrellata di personaggi tratti dalla scena reale e su quant’altro l’autore intassella offrendo tutto al magico incontro con i lettori. Non vorrei, ancora, che l’attenzione fosse distratta da considerazioni che con l’armonia del testo e il suo afflato hanno poco a che spartire.

    C’è però qualcosa in più in queste short stories, a volte amare e a volte divertenti e impertinenti, capaci di risvegliare comunque diverse curiosità e stimolare altre riflessioni. C’è più di quanto, infatti, ci si può solitamente attendere da un libro di racconti. Ci sono frammenti di storia sociale e c’è uno scavo antropologico nella proposizione di alcuni personaggi. Memoria e riflessioni esorcizzanti condividono la stessa soglia. Lo scrittore è testimone di eventi, anche minimi, ma non veste i panni dello storico e affida la loro lettura al componimento letterario, a una trama più coinvolgente per restituire sentimenti e atmosfere.

    Al narratore Braghò, infatti, è consentito raccontare la storia del presente o del passato prossimo che l’ha visto anche partecipe con gli strumenti che gli sono propri, attingendo dal deposito della memoria e cucendo un racconto in cui la psicologia narrativa consente di essere trasportati in un’altra dimensione temporale.

    Non voglio, allora, correre il rischio di disincentivare i lettori, risultato opposto all’obiettivo perseguito. Voglio, bensì, aggiungere motivazioni che possano spingere alla lettura. E allora leggeteli questi dodici racconti. Leggeteli prima delle righe che seguono in questa prefazione. Poi tornate qui, se avete tempo e voglia, e confrontate le vostre impressioni con le mie divagazioni.

    Avete letto? Io ho conosciuto tutti i personaggi e i luoghi in cui vi siete imbattuti in questi racconti. Ho conosciuto Giacinto e i suoi tormenti politici, e ho conosciuto il sor Pino, il suo ministerialismo e la sua romanità. Ho conosciuto anche gli altri personaggi veri la cui identità l’autore nasconde ma con velo troppo trasparente, come don Rosario Caponnetto con la sua sfuggente e inquietante storia – di là dai giudizi espressi – che racchiude le aspirazioni, gli enigmi e i drammi di una terra povera, dove il mutamento sociale può essere perseguito su sentieri stretti, in un precario equilibrio tra genialità e mancanza di regole civili. Se Giacinto rappresenta la metafora di una generazione che, forte di un’ideologia, avrebbe voluto cambiare il mondo (quella della Vespa e del mito della frontiera e della scoperta), e il sor Pino, invece, è l’esempio del conservatorismo, la storia – resa struggente – di don Rosario, proponendo fatti di cronaca ancora viva e lacerante, apre una finestra letteraria su un mondo impenetrabile, illuminando una scena in cui il confine tra mafia e legalità diventa paludoso: al centro di questa scena, lui, don Rosario, che per anni s’è affannato a spiegare (non creduto dalla Legge) che non era un boss e avrebbe voluto riabilitarsi con un libro-verità («Devo raccontare per filo e per segno tutto…») affidato a uno scrittore «di testa e di cori».

    E conosco, infine, la saga dei Bertone di Monte Miletto e di donna Costanza Renzi Milazzo, qui raccontata con evidenti intenti catartici e una nota di severità. È la storia di un notabilato in dissolvimento che tenta di rigenerarsi attraverso vicende proiettanti i singoli protagonisti in un mondo cambiato e con il quale bisogna confrontarsi al di fuori degli schemi tradizionali. Sono tutte persone vere, tuttavia, in carne e ossa, protagonisti di una ripetitiva quotidianità che diventano tipi, attori di una storia più grande che si svolge in un paesino del Sud o da lì prende le mosse. E così di seguito. L’esperienza personale, il ricordo e a volte l’analisi impietosa di vicende e di protagonisti, sono traslati nella dimensione narrativa che non perde mai contatti e riferimenti reali. Per questo Braghò, che filosofo chiosatore un po’ lo è e non guasta, può essere annoverato tra quei narratori attenti al sociale, sebbene i suoi racconti siano per lo più una rivisitazione del passato – usi, costumi, ambiente – e assumono dunque una valenza antropologica. Quello dell’autore è un ritorno sui propri passi, con la mente e con il cuore. E, ovviamente, con le parole che si fanno strumento e squarciano la coltre dell’oblio. Parole che sono normali e nello stesso tempo frutto di una ricerca semantica accurata, perché il vocabolo, riverniciato, assume nuove e più intense sfumature. Come sanno fare gli scrittori che nella società hanno la loro fonte d’ispirazione e inventano un loro linguaggio capace di competere e convivere con il dialetto, quello romanesco di sor Pino, quello siciliano di don Rosario o il calabrese disseminato un po’ dovunque che regala spesso stilemi e sintassi a tutti i racconti.

    È un libro, dunque, che offre diverse angolazioni di lettura su scampoli di un mondo che in parte non c’è più, ma non bisogna dimenticare perché è parte di noi stessi.

    Pantaleone Sergi

    PROLOGO

    La verità si mostra sempre relativa: è mendace, tuttavia credibile. Al pari dell’artificio. I contenuti dei dodici racconti proposti sono – in fondo e per verità – insieme di vero e finzione, poiché culture diverse avranno visioni diverse.

    Il signor Giacinto Flores e la pratica della riflessione è ragionamento macchinoso, suppongo. In Capo Vaticano il lettore riconoscerà la rilassata dilatazione dell’acquerello, che sarà turbata dall’inquietudine de Il libro. Il cardigan blu potrebbe addossarsi le responsabilità del talismano. Non sono del tutto certo che, leggendo Il Governo è bene che cada, il mio edicolante approvi: ugualmente, quanti forse crederanno di riconoscersi ne Il tempo, che passa non potranno che criticarmi. Fatti di Calabria è un fotogramma tratto dall’ormai disusato trentacinque millimetri. Pochi, presumo, sopporteranno la saccenteria che traspare da Intorno al giornalista e al metodo di porgere la notizia. Percorre un sentiero ricco di biforcazioni di varia natura Rivisitazione: intesa come riesame. Concede protocollare ospitalità alla partigianeria della invenzione Siccome erano (da poco) passate le sette di sera. La narrazione, in Fatti del Capo, permette i baleni cangianti della seta pettegola. Il Giudizio è proposto ultimo: la ragionevolezza è realmente indisciplinata, sia come sia.

    Le tavole, realizzate dal Maestro Giuseppe Pontoriero Luzzaro da Spilinga, emendano – in certo qual modo – il testo. Non ho trovato espediente migliore. Ritengo poi che il signor Pantaleone Sergi, nel redigere la prefazione, non abbia pregiudicato l’accuratezza. Il performer Peppe Cavallari – con la singolare urgenza creativa dell’artista – non ha in ogni caso tartagliato tra le righe passionali della postfazione. L’editor Nicola D’Agostino, infine, ha formulato suggerimenti pregiati e colti: per tutte queste ragioni sappia il Lettore come, in fondo, dalla rupe potrà scagliare soltanto il poverissimo Autore.

    Giuseppe Braghò

    anno duemilaundici

    Non professo alcuna estetica. Ogni opera affida al suo scrittore la forma che cerca: il verso, la prosa, lo stile barocco o quello piano.

    Le teorie possono essere ammirevoli stimoli (ricordiamo Whitman), ma nel contempo possono generare mostri o semplici pezzi da museo.

    Jorge Luis Borges, Los conjurados (1985)

    IL SIGNOR GIACINTO FLORES E LA PRATICA DELLA RIFLESSIONE

    Giacinto Flores decise, un giorno, di ricordare tutto quello che – volutamente o per abitudine – aveva dimenticato delle realtà vissute: al contrario delle rondini ad esempio, le quali non scordano mai l’invisibile solco lasciato dall’individuale passaggio e così, il tempo per gli amici mutò in amicizia per il tempo, il momento della passione divenne felicità per l’attimo, il vero sostituì la finzione e, di conseguenza, lo stato di cose si esaltò in trasporto per se stesso. Forse la circostanza si doveva – nella più cruda oggettività – solo al colpo d’ariete degli anni i quali, nonostante la prestata avvedutezza, erano corsi via, semplicemente. Forse. Il fatto è che, con calma straordinaria, Giacinto si sentì rinascere: l’assoluta percezione del rinnovamento si mostrava esca singolare, e si compiaceva di ciò.

    Le persone sue coetanee conosciute – numerose – d’invariato possedevano

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